La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 15 maggio 2013, n. 11622, ha legittimato per il settore della ristorazione, l’accertamento induttivo basatoo sul consumo di acqua e caffè anziché sul “tovagliometro”.
La vicenda è iniziata con la notifica, ad un impresa ed ai suoi soci, di alcuni avvisi di accertamento per maggiori ricavi societari a fini IRAP e IVA e per redditi da partecipazione sociale più alti a fini IRPEF/SSN. I contribuenti ricorrono in Commissione Tributaria Provincia che accoglie le doglianze dei contribuenti. L’Agenzia propone appello in Commissione Tributaria Regionale, la quale confermava gli atti impositivi, considerando la ricostruzione induttiva dell’Agenzia basata sui consumi di caffè e di acqua minerale era legittima e portava a conclusioni favorevoli per i contribuenti, posto che non tutti i commensali consumano le due bevande, sicché il dato oggettivamente riduttivo rispetto alla realtà assorbe anche il rilievo dell’eventuale consumo diretto da parte di soci, camerieri e cuochi.I contribuenti ritenendo non corretto le conclusioni e la sentenza della Commissione Tributaria Regionale propongono ricorso alla Corte di Cassazione, ritenendo che il giudice di merito, aveva ritenuto di maggior valenza indicatori, quali il consumo di acqua e caffè, più adatti all’attività di bar e comunque ritenuti dallo stesso giudice non esaustivi rispetto ad indicatori più maggiormate confacenti all’attività di ristorazione, come, per esempio, il lavaggio dei tovaglioli.
La Cassazione sezione Tributaria respinge il ricorso dei contribuenti poiché ha ritenuto che nell’accertamento tributario, sia presuntivo del reddito d’impresa (art. 39, primo comma, lett. d) del D.P.R. 600/73) sia induttivo in materia di IVA (articolo 55 del D.P.R. n. 633/72), è legittima la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione anche sulla base del solo consumo d’acqua, essendo la stessa un elemento fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate (v. anche Cass. n. 1748/2010). Per i Giudici di Legittimità riguardo al settore della ristorazione non esiste un indicatore “principe” per la ricostruzione presuntiva dei ricavi, “ben potendo gli indici rivelativi variare da caso a caso ad essendo compito del fisco, prima, e del giudice tributario di merito, poi, quello di cogliere i peculiari nessi da applicare alla singola fattispecie concreta”. Pertanto l’apprezzamento dei fatti e delle prove di competenza esclusiva del giudice tributario di merito cui compete il potere di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove e controllare l’attendibilità e la concludenza, scegliendo tra le risultanze istruttorie quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare i fatti di causa.La Cassazione, in conclusione, ritiene di poter confermare la sentenza emessa dai giudici di appello. Infatti la Commissione Tributaria Regionale più confacente i dati sul consumo dell’acqua minerale, il cui utilizzo estimativo è confermato dalla giurisprudenza di legittimità rispetto ai dati sul consumo unitario dei tovaglioli risultanti dalla fatturazione dei lavaggi. I giudici della Commissione Tributaria regionale, inoltre, hanno potuto riscontrare una relazione tra le unità di pasto e il consumo di caffè. Il risultato finale è stato approssimato per difetto, dunque più che favorevole per i contribuenti e tale da coprire anche l’incidenza dell’autoconsumo (soci, personale di sala e cucina).
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