CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 maggio 2013, n. 11179
IRAP – Intermediario di commercio – Istanza di rimborso
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 189 del 16/10/2006, depositata in data 5/12/2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sez. 36, rigettava, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 21/3/2005, dall’Agenzia delle Entrate, avverso la decisione n. 19/38/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso di V. M. contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio di Roma 6 sull’istanza di rimborso dei versamenti effettuati a titolo IRAP nell’anno 1999.
La Commissione Tributaria Regionale respingeva il gravame dell’Agenzia delle Entrate, in quanto riteneva mancante il presupposto dell’imposta, rappresentato in base all’art. 2 DPR 446/1997 dall’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, esercitando, nella specie, il contribuente “la professione di intermediario di commercio con il solo apporto lavorativo personale, senza avvalersi della collaborazione di dipendenti e senza l’ausilio di beni strumentali di rilievo”. Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo un unico motivo di ricorso, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1742 e ss. e 2195 c.c., 3, comma 144, L. 662/1996, 2, 3, 8, 27, 36 d.lgs. 446/1997, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., non essendo necessario, per l’agente di commercio che dichiari quindi un reddito di impresa, ex art. 2195 c.c., ancorché in contabilità semplificata, alcun accertamento in fatto finalizzato a verificare il presupposto impositivo, ai fini IRAP, costituito dall’autonoma organizzazione, intrinseco alla natura stessa dell’attività professionale. Non ha resistito il contribuente con controricorso.
Motivi della decisione
Con l’unico motivo, rispondente ai requisiti prescritti dall’art. 366 bis cod. proc. civ., l’amministrazione ricorrente, denunciando violazione di legge, assume che per gli imprenditori quali gli agenti di commercio, intermediari autonomo degli imprenditori commerciali, il requisito dell’autonoma organizzazione sarebbe intrinseco alla natura stessa dell’attività svolta e quindi sussisterebbe sempre il presupposto impositivo dell’ IRAP, senza spazio per alcuna indagine relativa al caso concreto.
La ricorrente si rifà all’orientamento secondo il quale la similare attività di agente o rappresentante di commercio (ancorché operante in regime di contabilità semplificata) – i cui redditi, riferendosi a un’attività commerciale secondo la previsione dell’art. 2195 c.c., sono per questa sola circostanza qualificabili come redditi ‘d’impresa – sarebbe comunque soggetta ad IRAP (cfr.. Cass. Trib., 30 marzo 2007, n. 7899 – Foro it. 2007, 11, 1, 3121).
Il motivo appare infondato, ove si consideri che questa Corte ha affermato che, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. e), l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1, e l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 2, sono escluse dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzate. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre “quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’ “id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass. n. 21122 e n. 21123 del 2010, rese, rispettivamente, in relazione alle attività di coltivatore diretto e di tassista; cfr. Cass.Trib.4660 e 8120/2012, in fattispecie relativa ad un promotore finanziario: “In tema di IRAP, l’attività svolta dal promotore finanziario non è qualificabile automaticamente come attività di impresa, di per sé assoggettata ad imposta, ma, anche alla stregua dell’interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 156 del 2001, richiede una valutazione complessiva, da parte del giudice di merito, degli elementi di fatto offerti dalla fattispecie concreta, poiché essa, a norma dell’art. 31 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, può essere svolta “in qualità di dipendente, agente o mandatario” e, quindi, può assumere connotati variabili tra la figura del lavoro subordinato dipendente, esente da imposta, quella del lavoro autonomo, assoggettabile ad imposta solo in presenza di un ‘autonoma organizzazione, e quella dell’attività d’impresa, pacificamente sottoposta ad imposizione”). Si è altresì chiarito come, in tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di piccolo imprenditore è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata.
In effetti, erano sorti contrasti in ordine al trattamento degli agenti di commercio e dei promotori finanziari, in quanto, ad un orientamento che assumeva, anche per questi contribuenti, la necessità del requisito dell’autonoma organizzazione, si contrapponeva quello che li riteneva, per il mero l’atto di svolgere attività considerate come d’impresa dall’art. 2195 c.c., sempre soggetti al tributo. Il contrasto si è palesato all’interno di questa sezione, dopo che a Cass. 30 marzo 2007, n. 7899, per la quale gli agenti di commercio, in quanto esercenti attività d’impresa, erano senz’altro soggetti all’attività d’impresa, aveva fatto seguito Cass. 2 aprile 2007, n. 8177, che aveva affermato la necessità per i promotori finanziari non operanti come imprenditori di correlare l’obbligo tributario al requisito dell’autonoma organizzazione.
Le sezioni unite hanno risolto il contrasto con le sentenze coeve del 26 maggio 2009, nn. 12108, 12109, 12110 e 12111, con le quali hanno escluso che gli agenti di commercio siano ineluttabilmente compresi nel novero dei contribuenti comunque tenuti al pagamento dell’imposta (cfr. in seguito, Cass. Trib. 22590/2012 e Cass.Trib.15586/2011). Occorre dunque anche per costoro verificare la sussistenza del requisito della autonoma organizzazione, costituendo in ogni caso onere del contribuente, che chieda il rimborso della imposta asseritamente non dovuta, dare la prova della assenza delle predette condizioni.
Nella specie, i giudici tributari hanno accertato in fatto, con vaglio insindacabile in questa sede di legittimità, anche in difetto di contestazione circa vizio di motivazione, che si tratta di “intermediario di commercio con il solo apporto lavorativo personale, senza avvalersi della collaborazione di dipendenti e senza l’ausilio di beni strumentali di rilievo”, con conseguente difetto di un’autonoma organizzazione. La sentenza impugnata appare pertanto avere fatto corretta applicazione degli artt. 3 d.lgs. 446/1997 e delle altre norme, in materia, indicate in ricorso.
La Corte rigetta il ricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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