CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 maggio 2013, n. 12507
Irap – Piccoli studi associati – Reddito elevato in assenza di dipendenti – Diritto al rimborso – Non sussiste
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 159 del 4/10/2006, depositata in data 15/11/2006, la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna Sez. Staccata di Parma accoglieva, con compensazione delle spese di lite, l’appello proposto, in data 10/11/2005, dallo Studio B.R., avverso la decisione n. 26/08/2004 della Commissione Tributaria Provinciale di Parma, che aveva respinto il ricorso dello stesso Studio B.R. contro il silenzio rifiuto dell’Ufficio erariale, formatosi sulle istanze di rimborso presentate da detto contribuente in relazione all’IRAP versata negli anni 1998,1999, 2000 e 2001.
La Commissione Tributaria Regionale accoglieva il gravame del contribuente, in quanto, da un lato.
riteneva inammissibile l’eccezione, sollevata dall’Agenzia delle Entrate in sede di costituzione nel giudizio di appello, in ordine all’ inammissibilità dell’ istanza di rimborso, con riferimento agli anni 2000 e 2001, in caso di presentazione di domanda di condono fiscale, in quanto detta eccezione era stata respinta dalla Commissione Tributaria Provinciale (“per mancanza di prova da parte dell’ Ufficio dell’ avvenuta presentazione di tale domanda da parte dello Studio ricorrente”) e tale pronuncia era passata in giudicato, in difetto di autonomo atto di appello da parte dell’Ufficio, e, dall’altro lato, nel merito, rilevava che l’associazione professionale di dottori commercialisti risultava, “con affermazione non smentita né contestata dall’Ufficio”, “non avere alcun tipo di rapporto con collaboratori dipendenti o coordinati in via continuativa, disporre di un’autovettura per ognuno dei due commercialisti e di poche dotazioni strumentali di valore non particolarmente ingente”, cosicché non era presente “l’autonoma organizzazione richiesta dalla legge per l’assoggettamento all’IRAP”. I giudici tributari aggiungevano che i compensi a terzi versati, nei soli anni 1998 e 2000, erano congrui rispetto al “volume del fatturato di quegli anni” ed alla “necessità di acquisire servizi da terzi in relazione a specifici affari”, né un significato particolare poteva essere attributo allo svolgimento dell’attività “in locali dedicati”.
Avverso tale sentenza ha promosso ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo quattro motivi, per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360 n. 3 c.p.c. (Motivo 1, in relazione agli artt. 2909 c.c., 54 d.lgs. 546/1992 e 112 c.p.c., per avere i giudici tributari di secondo grado omesso di esaminare quanto dedotto dall’Ufficio, in sede di costituzione in appello, in punto di condono e di conseguente rinuncia alle istanze di rimborso dell’ IRAP versata per gli anni 2000 e 2001, non essendovi stata alcuna pronuncia autonoma sul punto da parte dei giudici di primo grado, suscettibile di costituire giudicato, e non essendovi dunque necessità di proposizione di appello incidentale; Motivo 2, in relazione all’art. 7 l. 289/2002, per non avere i giudici tributari rilevato che la definizione automatica, ai sensi dell’art. 7 citato, presentata anche con riferimento all’IRAP, determinava l’estinzione dell’eventuale diritto al rimborso di somme corrisposte in eccesso in relazione all’anno di imposta oggetto di definizione; Motivo 3, in relazione agli artt. 2 e 3 d.gs. 446/1997 e 2697 c.c., non avendo la CTR valutato che il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP deve ritenersi “insito nello svolgimento dell’attività professionale in forma associata”, a prescindere dalla dotazione di beni strumentali e dall’apporto di lavoro altrui), e per insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, ex art. 360 n. 5 c.p.c. (Motivo 4, non avendo giudici tributari correttamente valutato la struttura socio economica dello studio professionale, in rapporto ai ricavi conseguiti nel corso degli anni, nonché ai beni strumentali in dotazione).
Lo Studio B. ha resistito con controricorso, proponendo anche ricorso incidentale con un unico motivo, in punto di spese processuali. La stessa parte ha altresì depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
L’Agenzia ricorrente lamenta con i primi due motivi di ricorso principale la violazione e falsa applicazione del D.Lgs., art. 54, della L. n. 289 del 2002, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR ritenuto inammissibile l’eccezione, proposta dall’Ufficio in appello, in sede di costituzione in giudizio, anziché con appello incidentale, secondo la quale l’adesione al condono aveva determinato l’estinzione dell’eventuale diritto al rimborso di somme corrisposte in eccesso, in relazione alle annualità d’imposta oggetto di definizione (anni 2001 e 2001, per quanto qui interessa). I suddetti due motivi sono fondati.
La giurisprudenza di questa Corte ha, condivisibilmente, affermato in relazione al profilo della tardività dell’eccezione processuale riguardante l’adesione del contribuente al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 7, che “le questioni relative all’applicazione del condono, pur non risolvendosi interamente nei problemi processuali, partecipano anche di tale natura e sono, perciò, rilevabili d’ufficio, senza che occorra una specifica proposizione ad opera della parte interessata a farle valere” (Cass. n. 24987 del 2009 e Cass. n. 25239 del 2007; da ultimo, cfr. Cass. 3841/2012). Tale rilievo officioso concerne sia le liti relative all’accertamento dell’obbligazione tributaria, sia le liti relative ad istanze di rimborso, ed, in entrambi i tipi di giudizi, “l’operare officioso si connette ai riflessi di ordine pubblico nascenti dall’elisione della pretesa impositiva, realizzata in virtù dell’adesione al condono” (Cass. sent. citate). Ne consegue che, da un lato, sulla questione della rinuncia all’istanza di rimborso per l’adesione al condono non poteva formarsi un giudicato (essendo la questione oggetto di necessario esame officioso del giudice) e, dall’ altro lato, tale deduzione, ad opera della controparte, non costituendo eccezione in senso tecnico, poteva anche essere svolta per la prima volta in appello.
Inoltre, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass n. 5037 del 2010; n. 17142 del 2008 e, specificamente per l’IRAP, n. 3682 del 2007), il condono tributario premiale attribuisce al contribuente un diritto potestativo di scelta tra il procedimento amministrativo di accertamento ordinario, con conseguente pretesa all’eventuale rimborso del tributo indebitamente pagato, ed il procedimento amministrativo di accertamento straordinario di condono, con la conseguenza che l’opzione del contribuente per il condono preclude ad entrambi i soggetti del rapporto il ricorso al procedimento di accertamento ordinario e, quindi, anche ogni pretesa al rimborso da parte del contribuente.
Peraltro, la formulazione dell’ istanza di condono ai sensi dell’art. 7 l. 289/2002, da parte del contribuente, per gli anni 2000 e 2001, corredata dall’Ufficio da supporti documentali (vedasi, sul punto, la sentenza della C.T.R. ed il ricorso principale), non è stata contestata specificamente da quest’ultimo, che si è limitato ad eccepire l’inammissibilità della deduzione, in quanto tardivamente proposta. In relazione a detti motivi, la sentenza impugnata va cassata e, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo dei contribuenti, relativamente al rimborso IRAP per gli anni 2000 e 2001, stante la presentazione dell’istanza di definizione automatica della lite, ex art. 7 l. 289/2002.
In ordine poi all’istanza di rimborso relativa all’IRAP versata negli anni 1998 e 1999, pure oggetto del giudizio impugnatorio promosso dallo Studio B.R. (anni per i quali non risulta presentata dal contribuente l’istanza di definizione automatica, ai sensi dell’art. 7 l. 289/2002, per quanto emerge dagli atti), l’Agenzia delle Entrate ha proposto due ulteriori motivi di ricorso, inerenti il merito della pretesa impositiva, il terzo, implicante una violazione di legge, in relazione agli artt. 2 e 3 d.gs. 446/1997 e 2697 c.c., ed il quarto, contenente un vizio di motivazione.
I giudici della C.T.R., premettendo che anche ad un’associazione professionale, ai fini dell’assoggettamento o meno all’IRAP, va riconosciuta “la possibilità di dimostrare di prestare servizi in assenza di organizzazione”, hanno osservato che, nella fattispecie, l’associazione di dottori commercialisti aveva dimostrato di “non avere alcun tipo di rapporti con collaboratori dipendenti o coordinati in via continuativa, di disporre di un’autovettura per ognuno dei due commercialisti e di poche dotazioni strumentali di valore non particolarmente ingente”, nonché la congruità, con il volume del fatturato, dei compensi a terzi corrisposti (per quanto in questa sede interessa, stante quanto sopra esposto in ordine agli effetti del condono per le imposte versate negli anni 2000 2001), nell’anno 1998, per £ 1.757.000.
L’Agenzia delle Entrate, con il terzo ed il quarto motivo, lamenta sia la violazione del disposto di cui agli artt. 2 e 3 d.lgs. 446/1997 sia la mancata valutazione di concreti elementi dell’attività professionale svolta in forma associata, quali l’entità dei ricavi, conseguiti dallo studio associato (ritrascritti anche nel presente ricorso, sulla base del quadri RE delle dichiarazioni fiscali presentate dal contribuente), delle spese e delle dotazioni strumentali (del valore di £ 65.530.000, negli anni 1998 e 1999), idonei a far presumere che il reddito prodotto non fosse frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, bensì di detta organizzazione associativa, costituita proprio per potenziare la produzione di ricchezza (VAP) a vantaggio degli associati, integrante il presupposto dell’IRAP (valore della produzione netta, costituito dalla differenza tra i ricavi – o compensi dell’attività – e i costi della medesima. Come rileva la stessa ricorrente, a parte le affermazioni dì principio, la verifica della sussistenza del presupposto impositivo va fatta in concreto ed inoltre, trattandosi di giudizio promosso dal contribuente per ottenere il rimborso dell’imposta già versata, l’onere della prova della inesistenza del presupposto impositivo grava sul contribuente stesso.
Ora, la giurisprudenza di questa Corte ha oramai affermato il condivisibile principio secondo il quale “l’esercizio in forma associata di una professione liberale è circostanza di per sé idonea a far presumere resistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere economico, nonché dell’ intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell’espletamento di alcune incombenze, si da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio. Ne consegue che legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), a meno che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati” ( Cass. 3676 e 3680/2007; Cass. 24058/2009; Cass. 16784/2010 e Cass. 14853/2012). Anche i suddetti motivi del ricorso principale, ribadito che l’onere di dimostrare il fatto costitutivo della domanda di rimborso di un tributo spetta al contribuente – nella specie assenza di autonoma organizzazione nel senso sopra specificato-, sono dunque fondati.
Il ricorso incidentale, promosso dal contribuente, nella parte conclusiva del controricorso, relativamente al “risarcimento dei costi di lite relativi a tutti i gradi del giudizio”, va dichiarato assorbito, stante la cassazione della sentenza impugnata, anche in punto spese. Di conseguenza, accolto il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale dello Studio B.R., la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata, ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna, per nuovo esame, con riferimento alle istanze di rimborso dell’IRAP versata negli anni 1998 e 1999 (essendo invece venuto meno il diritto a rimborso delle somme corrisposte a titolo IRAP per le annualità 2000 e 2001, concionate), al fine di accertare, alla luce dei principi innanzi richiamati, se, in base alle concrete caratteristiche dello “studio impresa” associato provate dal medesimo, unitamente ad altre prove offerte, sia stata superata la presunzione, sussistente per le ragioni innanzi esposte, che il reddito sottoposto ad IRAP, di cui lo studio associato chiede il rimborso, è stato almeno potenziato derivato dalla struttura così come organizzata e non è quindi derivato dal solo lavoro professionale dei commercialisti.
Il giudice del rinvio provvedere altresì a liquidare le spese, anche, del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e a) cassa la sentenza impugnata senza rinvio,nella parte relativa ai rimborsi IRAP richiesti per gli anni 2000 e 2001, in relazione ai quali, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti, b) cassa la sentenza impugnata anche nella parte relativa ai rimborsi IRAP richiesti per gli anni 1998 e 1999, ma con rinvio alla C.T.R. dell’Emilia – Romagna, altra Sezione, anche per le spese del giudizio di legittimità. Dichiara assorbito il giudizio incidentale.
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