CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2013, n. 12961
Frode carosello – Fattura soggettivamente inesistente – Detrazione – Negazione – Prova a carico del fisco – Presunzioni – Sufficienza
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa il 18 aprile 2007 la CTR dell’Emilia Romagna confermava la sentenza resa dalla CTP di Ravenna che aveva accolto il ricorso proposto dalla E. spa avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Lugo aveva rettificato ai fini IVA la dichiarazione relativa all’anno di imposta 2000 compiendo due distinti rilievi, il primo riguardante l’indebita detrazione IVA per acquisti di pneumatici con operazioni soggettivamente inesistenti da parte delle società P. srl e S.. ed il secondo l’omesso versamento dell’IVA in relazione a cessioni fittizie di pneumatici alla T..
2. Osservava il giudice di appello che, quanto al primo rilievo, le tesi difensive esposte dall’Agenzia non erano meritevoli di accoglimento, in quanto le società venditrici potevano qualificarsi come mere intermediarie commerciali e, come tali, non necessariamente dotate di strutture, dipendenti e beni strumentali.
2.1 Aggiungeva che la falsità della dichiarazione di esportatore abituale da parte delle venditrici era irrilevante, non avendo il compratore alcun onere di controllo in ordine alla veridicità della dichiarazione stessa.
2.2 Evidenziava, infine, che rispetto alla dedotta incertezza in ordine alla parte venditrice relative alle ulteriori riprese a tassazione aveva rilievo l’esistenza di operazioni reali e materialmente avvenute risultando provato l’acquisto, la contabilizzazione ed il pagamento della merce da parte della E. spa che aveva posto in detrazione l’IVA assolta.
3. L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi, al quale ha resistito la società contribuente con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad un unico motivo e memoria.
Motivi della decisione.
4. Con il primo motivo l’Agenzia lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 21 dpr n. 633/1972 e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia in tema di operazioni inesistenti.
4.1 Deduce, in particolare che la detrazione dell’imposta dovuta in tanto era da considerare possibile ed inerente all’esercizio dell’impresa, in quanto coincidesse con un’effettiva operazione negoziale, non essendo sufficiente la mera indicazione dell’IVA in fattura od il fatto che l’IVA sia stata corrisposta al cedente, essendo necessario che il cessionario non fosse a conoscenza del fatto di partecipare ad una frode relativa all’IVA che, per contro, gli elementi offerti dall’ufficio – e segnatamente l’assenza di struttura aziendale delle società figuranti come venditrici, l’emissione da parte di queste ultime di false dichiarazioni di intento ed il mancato versamento dell’IVA dichiarata in fattura – avevano ampiamente confermato.
5. Con il secondo motivo l’Agenzia ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., deducendo che se questa Corte avesse ritenuto che l’accertamento della CTR costituiva valutazione in fatto, la motivazione era carente tanto nella parte in cui aveva ritenuto che le società venditrici potevano essere considerate come mere intermediarie tralasciando l’esame di elementi di segno opposto, per contro valutando come irrilevante la falsità delle dichiarazioni di esportatore abituale che costituiva, invece, elemento decisivo per affermare l’esistenza del meccanismo illecito in cui la società contribuente era inserita.
5.1 Aggiungeva, ancora, che la CTR aveva peraltro omesso l’esame di ulteriori elementi – quali le modalità di consegna della merce – che avrebbero dovuto determinare l’accoglimento dell’appello.
6. Con il terzo motivo l’Agenzia, con riferimento al secondo rilievo contestato originariamente alla società contribuente, ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 comma 2 e 21 dpr n. 633/1972, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., evidenziando che gli elementi offerti confermavano l’inesistenza della vendita dì pneumatici dalla società contribuente alla T., ragion per cui l’operazione non poteva essere considerata come cessione all’esportazione non imponibile ai fini IVA.
6. La società contribuente ha dedotto l’inammissibilità sotto diversi profili dell’impugnazione, deducendo in ogni caso nel merito l’infondatezza delle censure.
7. Il primo motivo è inammissibile.
8. Nel quesito formulato dall’Agenzia la pronunzia richiesta a questa Corte attiene, in realtà, all’erroneità della motivazione della sentenza che, tralasciando l’esame di elementi fattuali richiamati nel quesito stesso, sarebbe giunta alla conclusione – errata nella prospettiva della parte ricorrente – per cui gli acquisti operati dalla società contribuente da parte di soggetti non capaci di fornire gli pneumatici formalmente fatturati alla cessionaria, non potevano essere oggetto di detrazione.
9. Ora, è evidente che la doglianza, non può passare al vaglio della Corte essendo rivolta ad ipotizzare la violazione di legge da parte del giudice di appello-cfr. Cass. n. 10313/06.
10. Il secondo motivo di ricorso, sicuramente ammissibile tenuto conto che lo stesso riporta diligentemente tutti i fatti decisivi a dire dell’Agenzia trascurati e non correttamente considerati, trascrive per autosufficienza le pag. 9-10 del PVC ed inoltre specifica il momento di sintesi a pag. 12 ult. cpv. del ricorso, è fondato.
9.1 Ciò posto, passando al merito della censura, la motivazione della CTR appare decisamente carente rispetto al tema d’indagine prospettato dall’Agenzia delle Entrate la quale, riportandosi al contenuto del processo verbale di constatazione posto a base dell’avviso di accertamento, aveva offerto al giudice una serie di elementi idonei a conclamare il carattere fittizio delle società cedenti la merce per la quale la E. aveva chiesto l’IVA in detrazione.
9.2 Ora, è noto che questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire che spetta all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio (cd. operazioni soggettivamente inesistenti) provare, anche attraverso presunzioni semplici, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente abbia, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode.
9.3 In particolare, si è ritenuto che “in tema di IVA, nel caso di apparente regolarità contabile delle fatture, qualora l’Amministrazione intenda contestare il coinvolgimento di un contribuente in una cd. “frode carosello” – fondata sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (buffers) – è tenuta a dimostrare, in primo luogo, gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di “cartiera”, la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’IVA come modalità preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario, non necessariamente, però, con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente e qualora fornisca tale prova, grava sul contribuente l’onere di dimostrare il contrario” (Cass. n. 10414 del 2011).
9.4 Solo nel caso in cui l’amministrazione abbia assolto siffatto onere passerà sul contribuente l’obbligo di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, a norma dell’art. 2697 cod. civ., comma 2 (Cass. n. 9108 del 2012).
9.5 Ora, tale indirizzo ha trovato pieno conforto nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, la posizione della quale è stata recentemente ribadita da Corte giust. 6 dicembre 2012, causa C-562711 ,(…) (SEPA).
9.6 I passaggi motivazionali più rilevanti della sentenza appena ricordata attengono, per un verso, all’individuazione dei presupposti che possono paralizzare il diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte dal fornitore che, nell’ambito delle sua attività professionale, utilizza e cede i beni acquistati.
9.7 La Corte europea ha sul punto ribadito il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati, lo stesso costituendo un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa dell’Unione, (v. Corte giust. 21 giugno 2012, Mahagében e David, C-80/11 e CD142/11, punto 37, pure evocata dalla società contribuente in memoria).
9.8 Tale diritto a detrazione, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni, dovendo esercitarsi immediatamente per tutte le imposte che hanno gravato le operazioni effettuate a monte e mirando a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’IVA dovuta o pagata nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Ciò che, in definitiva, costituisce garanzia piena della perfetta neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste siano di per sé soggette all’IVA – confi Corte giust. 22 dicembre 2010, Dankowski, CC1438/09, punto 24.
9.9 Secondo la Corte europea, pertanto, non assume rilevanza, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA pagata a monte, stabilire se l’IVA dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all’Erario, in quanto l’IVA si applica a qualsiasi operazione di produzione o di distribuzione, detratta l’imposta gravante direttamente sul costo dei diversi elementi costitutivi del prezzo, anche se occorre necessariamente dimostrare, per fruire della detrazione, i seguenti elementi a) che l’interessato sia un soggetto passivo ai sensi di tale direttiva; b) che i beni o servizi invocati a base di tale diritto siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette a imposta e che, a monte, detti beni o servizi siano fomiti da un altro soggetto passivo; c) che, in definitiva, le cessioni a monte siano effettivamente avvenute e che i beni interessati siano stati utilizzati dall’impresa ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta.
9.10 Da ciò consegue che la detrazione non può essere in linea di principio negata quando vi è prova che le cessioni di beni o servizi sono effettivamente avvenuti ed hanno riguardato – a valle-l’attività della cessionaria.
9.11 Ma non va parimenti sottaciuto che secondo la stessa Corte di Giustizia la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalla direttiva in materia di IVA 2006/112 (v., in particolare, già nel vigore della sesta direttiva CEE sentenze Halifax e a., punto 71; Kittel e Recolia Recycling, punto 54; del 7 dicembre 2010, R., C-285/09, punto 36; del 27 ottobre 2011, Tanoarch, C-504/10, punto 50, nonché Mahagében e David, cit., punto 41) e che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (v., in particolare, citate sentenze Fini H, punto 32; Halifax e a., punto 68; Kittel e Recolta Recycling, punto 54, nonché Mahagében e David, punto 41).
9.12 La Corte di Lussemburgo ha quindi affermato che è compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente.
9.13 Secondo la Corte tale situazione si verifica nel caso di evasione fiscale commessa dallo stesso soggetto passivo, ma anche quando il soggetto passivo “sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un ‘operazione che si iscriveva in un ‘evasione dell ‘IVA”.
9.14 In tali circostanze, infatti, il contribuente deve considerarsi partecipe dell’evasione, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (v., in tal senso, citate sentenze Kittel e Recolta Recycling, punto 56, nonché Mahagében e David, punto 46).
9.15 Ne consegue che è possibile negare ad un soggetto passivo il beneficio del diritto a detrazione solamente qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che detto soggetto passivo, al quale sono stati ceduti o forniti i beni o i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di tali cessioni o prestazioni.
9.16 Non è invece compatibile con il regime del diritto a detrazione previsto dalla suddetta direttiva sanzionare con il diniego di tale diritto un soggetto passivo che non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore, o che un’altra operazione nell’ambito della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella realizzata da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA. Ciò perché l’istituzione di un sistema di responsabilità oggettiva andrebbe al di là di quanto necessario per garantire i diritti dell’Erario.
9.17 In conclusione, Corte giust. 6 dicembre 2012, cit. ha ritenuto che spetta all’amministrazione tributaria dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore intervenuto a monte o a valle nella catena di cessioni.
9.18 Orbene, dovendosi prestare ossequio ai principi testé elaborati dalla sentenza del dicembre 2012 della Corte di Giustizia – che si muovono in assoluta continuità rispetto alle precedenti decisioni del giudice di Lussemburgo esaminate da Cass. n. 23560/12 e che sono idonei a confutare le difese esposte dalla società contribuente nel controricorso – va evidenziato che i principi testé affermati si muovono, ad onta di quanto diversamente opinato dalla difesa della società contribuente anche in memoria, in assoluta armonia con la giurisprudenza di questa Corte, alla cui stregua la prova che l’operazione commerciale oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che essa sottende un’operazione fraudolenta cui il cessionario sia partecipe può essere fornita anche mediante presunzioni, come espressamente prevede, per l’IVA, l’art. 54, co. 2, del d.P.R. n. 633/72 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nell’art. 39, co. 1, lett. d del d.P.R. n. 917/86) (cfr. Cass. n. 23075/12; Cass. 21953/07; Cass. 9108/12, Cass. 15741/12. Presunzioni che costituiscono pieno iure elementi probatori capaci di confermare l’esistenza degli elementi appena descritti per giustificare la consapevolezza del carattere evasivo dell’operazione ai fini IVA.
9.19 Orbene, appare evidente come la CTR abbia non solo totalmente tralasciato di considerare una serie di elementi, puntualmente prospettati dall’Agenzia, che risultavano antitetici rispetto all’affermazione, espressa dalla CTR, circa il ruolo di effettivo intermediario svolto dalle società P. srl e S. società cedenti della merce in favore della Europa – ruolo che in ogni caso avrebbe dovuto dimostrare la società contribuente per paralizzare il compendio di elementi offerti dall’Amministrazione in ordine al carattere soggettivamente inesistente dell’operazione, ma anche ritenuto di riconoscere il diritto a detrazione per il solo fatto della fatturazione degli acquisti a monte operati dalla società E., in tal mondo totalmente disattendendo i principi più sopra espressi da questa Corte, recentemente ribaditi da Cass. 8722/2013.
9.20 Ed infatti, la totale assenza di struttura societaria, l’assenza di dipendenti e di beni strumentali, la mancanza di una contabilità regolare e l’assenza di qualunque documentazione attestante l’inserimento delle due società cedenti nell’ambito del settore delle esportazioni, coniugate alla falsità della dichiarazione in ordine alla qualifica di esportatore abituale si pongono come dati rilevanti ed imprescindibili ai fini della valutazione demandata al giudice, tenuto conto che, come già chiarito da questa Corte, costituiscono “fondati sospetti” che la società verificata abbia partecipato ad operazioni imponibili “soggettivamente” inesistenti volte a evadere l’imposta sul valore aggiunto l’avere intrattenuto ripetuti rapporti commerciali con società sfornite di personale adeguato, di beni aziendali ovvero comunque prive di adeguata struttura organizzativa di impresa – cd. società fantasma – in relazione alle operazioni commerciali in concreto svolte-cfr. Cass. n. 12625 del 20/07/2012.
9.21 Carenza della motivazione che appare vieppiù emergere se si considera la ritenuta irrilevanza, da parte del giudice di appello, delle dichiarazioni relative alla qualifica di esportatore abituale, pacificamente false per stessa ammissione della CTR. Dato, quest’ultimo, che la CTR ha omesso di valutare, mettendolo in relazione agli ulteriori elementi offerti dall’amministrazione, finendo per ciò stesso con il negare ogni valenza al compendio probatorio offerto dall’Agenzia senza alcuna congrua e plausibile spiegazione, se anche si considera l’orientamento rigoroso espresso da questa Corte in ordine alla responsabilità del cedente per il versamento dell’IVA in caso di dichiarazione di intenti mendace da parte del cessionario-cfr. Cass. n. 12751/2011 e Cass. n. 7389/12.
9.22 II motivo merita pertanto di essere accolto.
10. Il terzo motivo, con il quale è stata prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 comma 2 dpr n. 633/1972 e 21 dpr n. 633/1972, è inammissibile.
10.1 Ed invero, l’Agenzia non risulta avere impugnato la statuizione del giudice di secondo grado concernente la vendita di pneumatici da parte della società contribuente alla T. che ha ritenuto l’assenza di alcun supporto probatorio in ordine alle ragioni esposte dall’Agenzia, invece duolendosi della circostanza che il giudice di appello, tralasciando fatti a dire dell’Agenzia non contestati fra le parti ed attestanti la fittizietà delle operazioni di vendita, avrebbe erroneamente ritenuto esistenti le cessioni, ritenendo operante la non imponibilità ai sensi dell’art. 8 comma 2 d.p.r. n. 633/1972 in quanto cessioni all’esportazione.
10.2 In definitiva, l’Agenzia prospettata in sede di ricorso il carattere oggettivamente inesistente della cessione operata dalla società contribuente senza peraltro considerare che la motivazione della sentenza impugnata non è stata oggetto di specifica contestazione in ordine alla ritenuta inammissibilità, da parte della CTR, della doglianza prospettata nel corso del giudizio di appello sulla prospettata esistenza di un’operazione “oggettivamente” inesistente che sarebbe stata invece prospettata dall’Agenzia in prime cure come operazione soggettivamente inesistente. Sta di fatto che secondo il giudice di appello le operazioni di vendita in contestazione dovevano essere qualificate come soggettivamente e non soggettivamente inesistenti e che, tuttavia, le stesse erano materialmente avvenute.
10.3 L’assenza di specifica impugnazione della motivazione anzidetta e dell’iter logico giuridico seguito dal giudice di appello nella decisione del rilievo n. 2 prospettato a carico della società contribuente rende inammissibile la censura.
11. Occorre passare all’esame del ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo, con il quale la società contribuente lamenta che il giudice di appello aveva rigettato, con motivazione apodittica, l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dall’Agenzia prospettata in relazione al difetto di specificità dei motivi di appello.
11.1 La censura è priva di fondamento. Più volte questa Corte ha ritenuto che “nel processo tributario, l’indicazione dei motivi specifici dell’impugnazione, richiesta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53 non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi, invece, soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice del gravame, sia delle ragioni della doglianza. È pertanto irrilevante che i motivi siano enunciati nella parte espositiva dell’atto ovvero separatamente, atteso che, non essendo imposti dalla norma rigidi formalismi, gli elementi idonei a rendere specifici i motivi d’appello possono essere ricavati, anche per implicito, purché in maniera univoca, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni” (Cass. n. 1224 del 2007; Cass. n. 7393/2001).
11.2 Peraltro, tale indirizzo è stato di recente confermato da Cass. 4784/11 e Cass. 3664/12 proprio con specifico riferimento alle ipotesi di impugnazione proposta dal fisco se confermativo delle tesi svolte in sede di accertamento.
11.3 Tanto è sufficiente per disattendere la censura, se appunto si considera la piena ritualità dei motivi per come riportati dalla società contribuente.
12. Sulla base delle superiori considerazioni, va accolto il secondo motivo del ricorso principale, inammissibili i restanti mentre va rigettato il ricorso incidentale.
13. La sentenza impugnata va per l’effetto cassata con rinvio ad altra sezione della CTR dell’Emilia Romagna che pure provvederà sul regime delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso principale, inammissibili i restanti e rigetta il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione per nuovo esame della CTR dell’Emilia Romagna, che pure provvederà sul regime delle spese del giudizio di legittimità.
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