CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 maggio 2013, n. 13404
Lavoro pubblico – Contratto di fornitura di lavoro temporaneo – Omessa indicazione nel dei motivi di ricorso al lavoro interinale – Costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Ragioni della decisione
1. Poste italiane spa chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Milano, pubblicata il 1° settembre 2010, che ha rigettato l’appello contro la decisione con la quale il Tribunale di quella città aveva accolto la domanda di E.C..
2. Il signor C. ha lavorato in Poste italiane spa, impresa utilizzatrice di un contratto di fornitura di lavoro temporaneo stipulato con A. spa, per una pluralità di periodi, a cominciare da un primo lavoro a tempo determinato iniziato il 7 gennaio 2003 e terminato nell’aprile di quello stesso anno.
3. Tribunale e Corte d’appello, accogliendo la domanda del lavoratore hanno ritenuto che la causale del contratto, “casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”, fosse “del tutto generica ed inidonea ad integrare i requisiti di specificità richiesti dalla legge n. 196 del 1997”.
4. Per tale motivo hanno ritenuto che il contratto a tempo determinato stipulato tra il C. e la A. spa si considera direttamente intervenuto tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice, Poste italiane spa, con decorrenza dal giorno dell’assunzione e si considera a tempo indeterminato. Di conseguenza, la società utilizzatrice è stata condannata a riammettere il lavoratore in servizio e a corrispondergli per il periodo pregresso le retribuzioni maturate dal giorno della messa in mora, detratto l’aliunde perceptum.
5. Poste italiane spa articola sei motivi di ricorso. Il lavoratore si è difeso con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria.
6. Con il primo motivo la società denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, c.p.c.)”, assumendo che la sentenza incorre in una contraddizione perché da un lato riconosce la correttezza formale del contratto di fornitura per il quale non era necessaria l’indicazione della causale e dall’altro ha posto in capo a Poste italiane spa, un’omissione contenuta invece nell’autonomo contratto tra impresa fornitrice e lavoratore. Un ulteriore vizio riguarderebbe la carenza di motivazione circa la pretesa automatica instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra utilizzatore e lavoratore.
7. La censura, prima ancora che infondata nel merito (e, peraltro, basata sulla attribuzione alla sentenza di una affermazione che questa non compie), è inammissibile, perché il motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c, deve riguardare la motivazione in ordine alla sussistenza di un fatto, che deve essere, a sua volta, controverso e decisivo. La società ricorrente non ha indicato il fatto, né, tanto meno, ha spiegato perché sarebbe controverso e decisivo. Per giurisprudenza consolidata, “Il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (Cass., ord., 5 febbraio 2011, n. 2805; cfr., anche, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655).
8. Con il secondo motivo la società denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. Il vizio è così sintetizzato nel quesito di diritto: “Se, laddove l’impresa utilizzatrice non abbia violato alcuna delle disposizioni dell’art. 1 della legge 196 del 1997 e sia stato stipulato un regolare contratto di fornitura, sia possibile applicare la disciplina di cui all’art. 10 della stessa legge o, comunque, dichiarare la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato e a tempo indeterminato tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore interinale a seguito della omessa indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale (art. 3, terzo comma, lett. a)”.
9. Connesso è il terzo motivo, con il quale parimenti si denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3, e 10 della legge n. 196 del 1997 (art. 360, n. 3, c.p.c.)”. Con il quesito di diritto, a conclusione del motivo, si chiede di stabilire se l’indicazione nel contratto per prestazioni di lavoro temporaneo dei motivi di ricorso al lavoro interinale sia essenziale; se le sanzioni previste dall’art. 10 siano tassative e non estensibili per analogia; se l’omissione di tale indicazione possa dar luogo alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra il lavoratore ed impresa beneficiaria, ancorché tale sanzione non sia prevista dall’art. 10, che nel più grave caso di omissione di forma scritta del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo prevede la trasformazione del contratto a tempo indeterminato con l’impresa fornitrice”.
10. I due motivi, in cui si denunzia la violazione delle medesime norme, come si è detto, sono connessi e devono quindi essere esaminati congiuntamente.
11. La norma di riferimento è l’art. 1, secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente il contratto di fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti ipotesi: “a) nei casi previsti dai ceni della categoria di appartenenza della impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al comma 4” (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di lavoro temporaneo).
12. La causale indicata nel contratto di fornitura in esame è la seguente: “Casi previsti dai ceni della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice”.
13. Il contratto, pertanto, invece di specificare la causale all’interno delle categorie consentite dalla legge, si limita a riprodurre il testo della lett. a) dell’art. 1 della legge, senza compiere alcuna specificazione: non si specifica a quali contratti collettivi nazionali applicabili all’impresa utilizzatrice si fa riferimento, né, tanto meno, come sarebbe necessario, a quale delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva si fa riferimento.
14. La genericità della causale rende il contratto illegittimo, per violazione dell’art. 1, primo e secondo comma, della legge 196 del 1997, che consente la stipulazione solo per le esigenze di carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel secondo comma, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di indicare, né può indicare in maniera generica e non esplicativa, limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa.
15. Altro problema, poi, è quello di stabilire, a fronte di un contratto di fornitura illegittimo, quali sanzioni sono previste dalla legge e nei confronti di quali soggetti. Le legittimità del contratto di fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta legislativa i vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia interinale e impresa utilizzatrice si riflettono sul contratto di lavoro.
16. L’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti, l’art. 10, primo comma, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che “i prestatori di lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.
17. In tal senso questa S.C. si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Cass. 24 giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori approfondimenti.
18. Le medesime sentenze hanno precisato che quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal decreto legislativo 368 del 2001, o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore (sul punto, v. anche: Cass. 1148 del 2013 e Cass. 6933 del 2012).
19. L’effetto finale in questi casi è la conversione del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l’utilizzatore della prestazione, datore di lavoro effettivo, e il lavoratore.
20. Pertanto, la conclusione cui sono giunti il Tribunale e la Corte d’appello di Milano è pienamente conforme alla legge ed il secondo ed il terzo motivo di ricorso devono essere rigettati.
21. Con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 23 della legge 56 del 1987, ponendo il seguente quesito: “se il contratto di lavoro che, ancorché stipulato in base alla legge 196 del 1997, abbia i requisiti previsti per il contratto a termine, possa e debba nel nostro caso essere valutato, ai fini della legittimità, in base alla disciplina prevista per il contratto a termine”. Il motivo è infondato, perché, come si è già messo in evidenza, dei requisiti richiesti dalla disciplina del contratto a termine prevista dal decreto legislativo 368 del 2001 o dalla legislazione previgente, manca necessariamente, quanto meno, quello della forma scritta.
22. Con il quinto motivo si denunzia violazione della norme sulla messa in mora assumendo che né la richiesta di tentativo di conciliazione, né il ricorso introduttivo contenevano un atto di tale natura.
23. Questo motivo rimane assorbito a causa dell’accoglimento del sesto ed ultimo motivo, concernente l’applicabilità alla controversia in esame dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010. Motivo deve che essere parzialmente accolto per le seguenti ragioni.
24. Il quinto comma dell’art. 32 della legge n. 183 del 2010 recita: “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
25. Il problema interpretativo è di stabilire se la formula “casi di conversione del contratto a tempo determinato”, riguardi anche i contratti di lavoro temporaneo.
26. Al problema la giurisprudenza di merito ha dato soluzioni diverse, nessuna delle quali può dirsi prevalente. Anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 303 del 2012, ha dato un’indicazione, ma non vincolante e limitata ad un inciso, peraltro riguardante il contratto di somministrazione, in una sentenza focalizzata su altro problema.
27. Ribadendo quanto osservato con la sentenza n. 1148 del 2013, deve ritenersi che il quinto comma dell’art. 32 cit. riguardi anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dall’art. 3, primo comma, lett. a) della legge 24 giugno 1997, n. 196.
28. Deve in primo luogo rilevarsi che il quinto comma dell’art. 32 richiama l’istituto contratto a tempo determinato, non una o più regolamentazioni specifiche di tale contratto, come invece fa il quarto comma della medesima norma.
29. Nel quarto comma, il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento. Il quinto comma, al contrario, contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale. Si parla di “casi” di “conversione del contratto a tempo determinato” senza indicare normative di riferimento, né aggiungere ulteriori elementi selettivi.
30. La conseguenza è che per sapere se si rientra nell’ambito di applicazione della norma dettata dal quinto comma, bisogna verificare la sussistenza di due sole condizioni: la prima è che il contratto di lavoro deve essere a tempo determinato, la seconda è che si deve essere in presenza di un fenomeno di conversione.
31. Il “contratto per prestazioni di lavoro temporaneo” è previsto e regolato dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, che così lo definisce nell’art. 3, primo comma: “…è il contratto con il quale l’impresa fornitrice assume il lavoratore: a) a tempo determinato corrispondente alla durata della prestazione lavorativa presso l’impresa utilizzatrice; b) a tempo indeterminato”.
32. Quindi, la legge prevede due categorie di contratti per prestazioni di lavoro temporaneo: a tempo determinato e a tempo indeterminato. Il contratto di lavoro temporaneo della prima categoria è espressamente qualificato dal legislatore come una forma di contratto di lavoro a tempo determinato. Rientra quindi nella categoria contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
33. Anche la giurisprudenza europea conferma questa conclusione. La sentenza della CGUE 11 aprile 2013, Della Rocca, ha escluso che la direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato si applichi al contratto a tempo determinato che si accompagni ad un contratto interinale per una ragione esegetica di fondo, costituita dal fatto che le parti stipulanti l’accordo quadro hanno espressamente previsto che esso “si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale”. Da tale previsione si ricava che, anche per l’accordo quadro, e quindi per la direttiva che lo ha recepito, il contratto a termine che si accompagna ad un contratto di lavoro interinale rientra nella categoria del contratto a tempo determinato, tanto che il legislatore europeo, avendo intenzione di dedicare al lavoro interinale una regolamentazione specifica, ha ritenuto di dover operare una esclusione espressa, prevedendo quella che definisce una eccezione, in mancanza della quale l’accordo avrebbe coperto tale area. Se il legislatore europeo non avesse precisato “ad eccezione di quelli messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte da parte di un’agenzia di lavoro interinale”, la disciplina del contratto a tempo determinato sarebbe stata applicabile al contratto di lavoro a tempo determinato collegato ad un contratto di fornitura di lavoro interinale. “A contrario” deve ritenersi che, quando il legislatore non prevede tale esclusione, la stessa non opera. E’ quanto è accaduto con l’art. 32, quinto comma, della legge 183 del 2010, che ha fatto indistintamente riferimento a contratti a tempo determinato, senza escludere i contratti a tempo determinato che si accompagnino ad un contratto di lavoro interinale.
34. Fermo che il contratto previsto dall’art. 3, lett. a) della legge 196 del 1997 è un contratto di lavoro a tempo determinato, il problema diviene allora quello di stabilire se, quando ricorrano le ipotesi di illegittimità previste dall’art. 10, i meccanismi sanzionatori previsti dalla legge integrino o meno un fenomeno qualificabile come “conversione”.
35. L’espressione “conversione”, in materia di contratti di lavoro a tempo determinato, viene utilizzata in dottrina e giurisprudenza per descrivere il meccanismo in base al quale la nullità della clausola di apposizione del termine non comporta la nullità dell’intero contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo delineato dall’art. 1419, secondo comma, c.c. con conseguente trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. L’operatività di questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema, in altri è previsto espressamente dalla legge. E’ ciò che accade, nella legge 196/1997, il cui art. 10, prevede varie ipotesi compresa, come si è visto, quella ricorrente nel caso in esame, in cui il contratto di prestazioni di lavoro temporaneo “si considera a tempo indeterminato”.
36. Pertanto, anche con riferimento al contratto di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, in presenza delle ipotesi indicate dall’art. 10 della legge 196 del 1997, si ha un fenomeno di “conversione”.
37.L’ampiezza della formula utilizzata dall’art. 32. quinto comma, della legge 183 del 2010 e la mancanza di ulteriori precisazioni da parte del legislatore, rende irrilevante che la conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato sia preceduta da una conversione soggettiva del rapporto. La norma richiede solo che si sia in presenza di uno dei “casi di conversione del contratto a tempo determinato”.
38. Né rileva che il vizio che determina il meccanismo sanzionatorio possa riguardare anche il contratto di fornitura, cioè il contratto commerciale che sta a monte del contratto di lavoro. Anche questo elemento, come si è visto, non esclude che l’esito sia la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in contratto di lavoro a tempo indeterminato.
39. L’espressione “casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato”, senza ulteriori precisazioni, non esclude, in conclusione, che il fenomeno di conversione possa avvenire nei confronti dell’utilizzatore effettivo della prestazione, né che possa essere l’effetto sanzionatorio di un vizio concernente il contratto di fornitura.
40. Deve, infine, ricordarsi che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’art. 32 della legge 183 del 2010 si applica anche ai processi in corso, compresi i giudizi di legittimità, sempre che sul relativo capo della decisione di secondo, o già di primo grado, non si sia formato il giudicato (Cass. 3 gennaio 2011 n. 65; 4 gennaio 2011 n. 80; 2 febbraio 2011 n. 2452 e molte altre successive sempre nel medesimo senso).
41. Il motivo pertanto deve essere accolto, sebbene in parte, perché, contrariamente a quanto assume l’impresa ricorrente, l’indennità prevista dall’art. 32, quinto comma, della legge n. 183 del 2010, non è compatibile con la detrazione delle somme percepite a titolo di “aliunde perceptum” dal lavoratore (cfr. sul punto, in particolare, Cass. 7 settembre 2012 n. 14996). Nel condannare la società al pagamento della indennità, il giudice di rinvio non dovrà pertanto disporre la sottrazione di tali somme.
42.L’accoglimento del motivo concernente l’indennità ex art. 32 comporta, come si è anticipato, l’assorbimento del motivo relativo alla messa in mora. Anche questo profilo, diventa irrilevante una volta ritenuta applicabile l’indennità ex art. 32, che prescinde dalla messa in mora (cfr. ancora, per tutte, Cass. 14996/2012, cit).
43. In conclusione: il primo motivo di ricorso è inammissibile; il secondo, il terzo ed il quarto sono infondati; il quinto rimane assorbito. Il sesto deve essere accolto, nei limiti di quanto specificato, in base al seguente principio di diritto: “L’indennità prevista dall’art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183 si applica anche nel caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa dell’illegittimità di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della lett. a) del primo comma, dell’art. 3 della legge 24 giugno 1997, n. 196, convertito in contratto a tempo indeterminato tra lavoratore e utilizzatore della prestazione”.
44.L’accoglimento parziale del sesto motivo comporta la cassazione della sentenza in ordine al motivo accolto ed il rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo, rigetta i motivi dal primo al quarto, assorbito il quinto. Cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese.
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