La Corte Suprema, con la sentenza n. 20060 del 09 maggio 2013, precisa che l’unico effetto che produce l’estinzione per prescrizione del reato è quello di impedire al PM di contestare l’illecito amministrativo alla società salvo che il caso in cui la contestazione sia già avvenuta, in tal caso si applicano le ordinarie regole sulla prescrizione del Codice civile.
La vicenda da cui trae origine la sentenza e il ricorso di una Procura contro la sentenza di assoluzione di una banca dall’illecito amministrativo previsto dal decreto 231/2001. Per il Pm, i giudici di merito avevano fatto discendere la decisione dall’assoluzione di un vertice aziendale. Però il tribunale – come ha osservato il Pm – aveva ritenuto sussistente il reato presupposto. Il Pm ha così eccepito un’errata applicazione della normativa sulla responsabilità amministrativa delle società, che svincola la sanzione per l’ente dal riconoscimento della colpevolezza dell’imputato del reato presupposto: l’articolo 8 del decreto 231 afferma la responsabilità dell’ente anche quando l’autore del reato non è stato identificato.
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20060/2013, ha accolto le ragioni esposte nel ricorso per saltum annullando la pronuncia emessa dal Tribunale di Milano, in data 18 aprile 2011, con cui si assolvevano quattro istituti di credito e i rispettivi manager per il reato di aggiotaggio informativo.
In via preliminarmente, il giudice è intervenuto sulla spiegata eccezione di prescrizione promossa dalla difesa dell’istituto resistente richiamando il contenuto dell’art. 60 del D.Lgs. n. 231/2001 (“Decadenza della contestazione”), secondo cui “non può procedersi alla contestazione di cui all’art. 59 quando il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione”. Come precisato dalla Relazione governativa, il citato articolo prevede un termine finale (di decadenza) per l’esercizio del potere di contestare all’ente l’illecito amministrativo. L’estinzione per prescrizione del reato presupposto, quindi, impedisce unicamente di procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo, ma non di portare avanti il procedimento già incardinato (cfr. Cass. 29 gennaio 2013 n. 4335). D’altra parte, se è vero che l’illecito amministrativo si prescrive in cinque anni dalla commissione del reato (art. 22 del DLgs. 231/2001), la prescrizione, in base agli artt. 2943 e 2945 c.c., è interrotta dall’atto con il quale si inizia un giudizio e non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza (su tale disciplina, peraltro, la circolare Assonime 28 maggio 2012 n. 15 ha espresso dubbi di legittimità costituzionale).
Il richiamo ha permesso al Supremo Collegio giudicante di precisare il contenuto della disposizione anche se lo stesso appare“piuttosto chiaro” poiché la norma “comporta che l’estinzione per prescrizione del reato impedisce unicamente all’accusa di procedere alla contestazione dell’illecito amministrativo e non impedisce, invece, di portare avanti il procedimento già incardinato”, come avvenuto nel caso di specie.
Ritenuto, dunque, fondato il ricorso depositato dalla Procura di Milano, gli ermellini sono passati ad analizzare le motivazioni rilevando che lo stesso basava le proprie argomentazioni sull’erronea applicazione dell’art. 8 D.Lgs n. 231/2001, rubricato “l´autonomia delle responsabilità dell’ente”.
I giudici di merito nella sentenza di primo grado avrebbero fatto discendere, in via del tutto automatica, l’esclusione della colpevolezza della persona giuridica a quella della persona fisica, esponente dell’istituto di credito disattendo, pertanto, ad avviso della Procura, la richiamata disposizione normativa secondo cui la colpevolezza dell’ente, ancorché dipendente da reato, costituisca un titolo autonomo di responsabilità.
Gli Ermellini dopo aver chiarito il profilo processuale sottolineano come, pur nell’impossibilità di individuare un punto fermo nella valutazione di prevalenza dei vari criteri interpretativi (letterale, teleologico soggettivo e teleologico oggettivo), nessuna questione è possibile porre quando tutti conducano al medesimo risultato. Ebbene, il senso letterale dell’art. 8 del DLgs. 231/2001 è reputato chiarissimo nell’evidenziare non tanto l’autonomia tra le due fattispecie (illecito penale ed illecito amministrativo), quanto l’autonomia tra le due condanne sotto il profilo processuale. Per la responsabilità amministrativa, cioè, è necessario che venga compiuto un reato da parte di un soggetto riconducibile all’ente, ma non è anche necessario che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile. La responsabilità penale presupposta può essere ritenuta incidenter tantum (ad esempio, perché non si è potuto individuare il soggetto responsabile o perché questi non è imputabile) e, ciononostante, può essere sanzionata in via amministrativa la società.
Identica lettura consegue, poi, sia guardando l’intenzione soggettiva del legislatore – come manifestata nella Relazione governativa, e come evidenziato nel ricorso del PM – sia facendo leva sulla “ratio” oggettiva della norma, quale emerge sistematicamente dal complesso delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa degli enti.
A fronte di tali principi, posto che non è considerato affatto vero che, come eccepito dalla banca, il Tribunale avrebbe ritenuto inesistente il reato presupposto, è ravvisata una violazione di legge nel fatto di avere “automaticamente” – mancando una motivazione sul punto – escluso la responsabilità amministrativa dell’ente in conseguenza dell’assoluzione del funzionario processato per l’illecito presupposto. Il ricorso del PM è, quindi, accolto, con annullamento della sentenza impugnata e rinvio al giudice di appello per il giudizio di secondo grado.
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