CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2013, n. 14002
Lavoro – Lavoro subordinato – Estinzione del rapporto- Licenziamento per giusta causa – Minacce al datore – Pericolo per la credibilità del superiore – Leso il rapporto di fiducia con il datore di lavoro
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 29 giugno 2009 la Corte di appello di Milano ha respinto la impugnazione proposta da G. B. avverso la sentenza di primo grado che aveva accertato la legittimità del licenziamento per motivi disciplinari intimatogli dalla datrice W. E. s.r.l. I giudici di appello hanno ritenuto provate entrambe le condotte oggetto di addebito e cioè le espressioni minacciose all’indirizzo del capo reparto P. e il rifiuto ingiustificato di svolgere i compiti assegnati dal detto caporeparto. Quanto alle prime, sottolineata la particolare gravità della minaccia contenente un riferimento di morte, ed il fatto che essa era stata formulata nei confronti di un superiore alla presenza di altri dipendenti, hanno evidenziato che tale condotta, di per sé sola, configurava una giusta causa di licenziamento ; hanno richiamato a tal fine l’obbligo del datore di lavoro di preservare l’integrità fisica e morale dei dipendenti (art. 2087 cod. civ.) ,di assicurare la serenità dell’ambiente di lavoro e la credibilità e autorevolezza di chi ha compiti di direzione e controllo del personale hanno poi, considerato che tale condotta ” scuoteva” in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro, tanto più se il lavoratore nel biennio precedente era stato già ripetutamente sanzionato, anche con il più grave dei provvedimenti conservativi, uno dei quali per un episodio, recente, di aggressione verbale verso un superiore . Hanno quindi evidenziato che le sanzioni richiamate non erano state impugnate e che pertanto conservavano la loro efficacia fino al momento della eventuale revoca datoriale o del venir meno della loro validità per effetto di pronuncia giudiziale costitutiva.
Quanto al secondo episodio i giudici del gravame hanno osservato che il rifiuto a svolgere le mansioni assegnate dal capo reparto era del tutto ingiustificato atteso che l’assegnazione alle stesse risultava giustificata dalla esigenza di addestramento del personale in caso di necessità sostituzione alla postazione di lavoro in questione; hanno rilevato che le nuove mansioni pur più gravose delle precedenti non erano pericolose come sostenuto dal B.; a tal fine hanno precisato che i rilievi formulati dalla Azienda sanitaria locale competente, invocati dal lavoratore, non concernevano la postazione in oggetto ma attenevano a fasi precedenti di lavorazione. In merito poi alla produzione documentale dell’appellante hanno rilevato la inammissibilità di quella (” doc. 48 bis / doc. 52) già ritenuta tardiva dal giudice di prime cure, con valutazione non investita da gravame ; quanto alla ulteriore documentazione ne hanno affermato la irrilevanza trattandosi di documentazione attinente ad epoca successiva al verificarsi dei fatti oggetto di addebito . Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Giacomo Benigno in base a sei motivi . L’intimata ha depositato controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5 cod. proc. civ., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi della controversia. Afferma che la ricostruzione delle circostanze in cui era stata pronunziata la frase minacciosa, omette di considerare ” importanti e decisive risultanze processuali” e che tale ricostruzione risulta comunque necessariamente falsata per non avere i giudici di appello, come riconosciuto nella sentenza impugnata, potuto esaminare i verbali delle deposizioni testimoniali – non essendo tempestivamente pervenuto il fascicolo di primo grado – e per avere quindi fondato la ricostruzione sulla base della decisione di primo grado e degli atti delle parti. Deduce in particolare l’errore nel quale sarebbe incorsa la decisione nel ritenere che la minaccia all’indirizzo del capo reparto era stata formulata in presenza di altri dipendenti in quanto dalle deposizioni testimoniali risultava che l’episodio si era svolto nell’ufficio del P., alla presenza oltre che di questi, del Responsabile della produzione e del Responsabile delle relazioni sindacali, entrambi di grado gerarchico superiore al caporeparto. Non sussisteva quindi il paventato pericolo per la credibilità e autorevolezza del capo reparto.
Quanto al precedente specifico – aggressione verbale nei confronti di un superiore – evidenzia che l’episodio era stato generato da un clima di ambiguità dovuto all’atteggiamento della società che non aveva mai comunicato chi avesse ruolo di responsabilità nel reparto e ciò in violazione di specifica disposizione collettiva . Richiama a tal fine la lettera dì giustificazione inviata in quella occasione . Richiama ulteriore documentazione relativa al ricorso presentato dal lavoratore alla Commissione arbitrale, in opposizione alla sanzione per contestare l’affermazione contenuta in sentenza in ordine alla non impugnazione del precedente disciplinare . Il motivo non è fondato . Il mancato esame del fascicolo di ufficio di primo grado tardivamente pervenuto non assume in sé rilievo non avendo parte ricorrente offerto elementi idonei a dimostrare che ciò ha comportato il mancato o insufficiente esame di punti decisivi, desumibili dal ragionamento dei giudici di appello quale espresso nella sentenza impugnata . E’ utile a tal fine ricordare che secondo l’insegnamento di questa Corte L’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 cod. proc. civ., è affidata all’apprezzamento discrezionale del giudice dell’impugnazione, sicché l’omessa acquisizione, cui non consegue un vizio del procedimento di secondo grado né della relativa sentenza, può essere dedotta come motivo di ricorso per cassazione solo ove si adduca che il giudice di appello avrebbe potuto o dovuto trarre dal fascicolo stesso elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili “aliunde” e specificamente indicati dalla parte interessata. ( Cass. 366 del 2010). La contestazione in ordine alla ricostruzione fattuale operata dai giudici del gravame con riferimento alla circostanza della presenza di altri dipendenti della società risulta priva di pregio alla luce della stessa prospettazione di parte ricorrente posto che non è comunque in discussione che sia il Responsabile della produzione sia il Responsabile delle relazioni sindacali presenti all’episodio delle minacce erano comunque dipendenti della società . In ogni caso l’assunto è già in astratto inidoneo a concretare il vizio motivazionale prospettato atteso che i giudici di merito, nella valutazione della giusta causa di licenziamento , non si sono limitati a considerare solo i riflessi negativi che sugli altri lavoratori potevano avere le espressioni minacciose al caporeparto, ma hanno fondato tale valutazione anche sull’obbligo del datore di lavoro, ex art.. 2087 cod. civ., di preservare l’integrità fisica e morale dei dipendenti ( art. 2087 cod. civ. ) e di assicurare la serenità dell’ambiente di lavoro . Quanto al precedente comportamento di aggressione che parte ricorrente deduce giustificato dall’ambiguità dell’atteggiamento datoriale in ordine alla individuazione del responsabile del reparto si rileva che tali circostanze, anche ove sussistenti, non sarebbero comunque decisive, atteso che ai fini della valutazione di proporzionalità dei giudici di merito non viene in rilievo solo tale episodio ma il complesso delle condotte costituenti recidiva. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per avere la Corte territoriale posto a fondamento della decisione le indicazioni della sentenza di primo grado e le frasi riportate nel ricorso in appello e nella memoria difensiva della società. Il motivo è inammissibile per la sua genericità occorrendo la specifica indicazione delle circostanze trascurate e la illustrazione della relativa decisività. Secondo il consolidato orientamento di questa Suprema Corte (cfr., ad esempio, Cass. 28 luglio 2004 n. 14262), nel caso in cui, con il ricorso per Cassazione, venga dedotta l’incongruità o l’illogicità della sentenza impugnata per l’asserita mancata o erronea valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al Giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente o erroneamente valutata), che il ricorrente precisi, mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso, la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti, di delibare la decisività della medesima, dovendosi escludere che la precisazione possa consistere in meri commenti, deduzioni o interpretazioni delle parti.
Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. e dell’art. 7 L. n. 300 del 1970 nonché, ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5 cod. proc. civ, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti del procedimento logico- giuridico posto a base della decisione, mentre non rileva la mera divergenza tra valore e significato diversi che, agli stessi elementi siano attribuiti dal ricorrente ed in genere dalle parti ( v., per tutte Cass. S.U. n. 10345 del 1997 ). In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata in quanto siffatta revisione si risolverebbe, sostanzialmente in una nuova formulazione del giudizio di fatto riservato al giudice del merito e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. E’ poi da sottolineare che, come già evidenziato sotto altro profilo nell’esame del primo motivo di ricorso, la Corte di merito ai fini della verifica della recidiva ha considerato globalmente le precedenti sanzioni per cui la circostanza dedotta dell’avvenuta impugnazione di una di esse non è idonea a determinare una diversa ricostruzione e valutazione dei fatti . E infatti necessario che il vizio di motivazione una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la sola possibilità o probabilità d una diversa ricostruzione ( explurimis :Cass. n. 21249 del 2006 ).
Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 437 cod. proc. civ. e conseguente carente ed omessa motivazione su un punto decisivo . Il ricorrente richiamala documentazione prodotta in secondo grado, numerata dal 48 bis al 52, e deduce di avere esplicitato le ragioni per cui aveva avuto contezza di tale documentazione solo da qualche giorno ( attesa la pendenza di indagini della Procura e di procedimento ispettivo non era possibile accedere a detti documenti ).Assume che la Corte di appello aveva errato omettendo di considerare tali documenti e confondendoli con quelli prodotti all’udienza di primo grado del 6.2.2008 , non ammessi dal Tribunale e non riprodotti in appello.
Il motivo è inammissibile . E’ da rilevare che parte ricorrente non riproduce nel corpo del ricorso, in violazione del principio dì autosufficienza, il contenuto di tali documenti né illustra in maniera specifica perché gli stessi debbano considerarsi decisivi, nel senso sopra precisato ( sulla necessità di specificazione del contenuto del documento nel ricorso per cassazione, v. Cass. n. 21032 del 2008).
Con il quinto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 , cod. proc. civ. , la violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 cod. civ. , dell’art. 2087 cod. civ., 1 difetto di esame di punti decisivi della controversia, ai sensi dell’art.360, n. 5 cod. proc. civ. , con conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 e art. 71 n. 300 del 1970.
Deduce l’errore di applicazione dei principi enunciati sia dall’art. 2087 cod. civ. sia dall’art. 1460 cod. civ. con conseguente ingiusta applicazione dell’art. 2119 cod. civ. sotto il profilo della proporzionalità della sanzione disciplinare. Lamenta la omessa approfondita indagine in ordine al comportamento del datore di lavoro per avere i giudici di merito omesso l’esame comparativo dei comportamenti delle parti. Afferma che dai documenti 36 /47 si evince che esso Benigno aveva segnalato alla Asl problemi di sicurezza e che la Azienda era intervenuta contestando alla società la violazione di prescrizioni in materia di sicurezza. Deduce inoltre che la sentenza impugnata aveva trascurato di valutare la gravosità della nuova postazione di lavoro . Il motivo è inammissibile perché anche in questo caso parte ricorrente tende a sollecitare un riesame in fatto delle circostanze di causa . E poi da rilevare che dei documenti richiamati, il cui contenuto è riprodotto nel corpo del ricorso, non è chiarita la decisività, nel senso di idoneità a dimostrare l’errore dei giudici di merito che avevano accertato che la postazione di lavoro alla quale era stato assegnato il Benigno non era pericolosa atteso che le violazioni contestate dalla Asl attenevano alla precedente fase di lavorazione
Con il sesto motivo di ricorso si deduce ai sensi dell’art. 360, comma primo n. 5 cod. proc. civ., la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti decisivi della controversia con riferimento al rigetto della domanda intesa alla declaratoria di nullità del licenziamento perché determinala da motivo illecito antisindacale.
Si premette che la sentenza impugnata esclude il carattere sindacale del recesso datoriale sul rilievo della ” oggettività della condotta” . Parte ricorrente, ancora una volta, tende inammissibilmente a sollecitare un diverso apprezzamento delle risultanze probatorie invocando alcune circostanze delle quali omette di indicare il carattere di decisività.
Consegue il rigetto del ricorso . Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di cui € 50,00 per esborsi e € 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori.
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