CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 giugno 2013, n. 24185
Reati fiscali – Evasione Iva – Soglia di punibilità – Rateizzazione del debito – Irrilevanza
Motivi della decisione
1. La terza sezione di questa suprema Corte, con sentenza del 5 luglio 2012, ha annullato con rinvio l’ordinanza in data 23 febbraio 2010 con la quale il Tribunale di Brindisi ha disposto II sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni mobili registrati e della, somma di denaro nella disponibilità L.P., equivalenti del profitto del reato ex art. 10 ter del D.lgs n. 74 del 2000.
Nuovamente decidendo in sede di rinvio, il Tribunale di Brindisi ha confermato il provvedimento di sequestro in questione.
2. Ricorre nuovamente per cassazione il L.. Si assume che il giudice di legittimità ha ravvisato l’insussistenza del reato per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità. Il Tribunale, dlscostandosi da tale pronunzia, ha ribadito il proprio orientamento statuendo che l’omesso versamento dell’Iva superasse 50.000 euro e nel contempo ha omesso di motivare in ordine al periculum in mora. Si ripercorrono i momenti della vicenda fiscale in questione; si fa riferimento ai ripetuti atti di sgravio parziale concessi dall’Agenzia delle entrate; alla richiesta di rateizzazione della residua situazione debitoria pari a 49.882 euro; alla richiesta di rateizzazione di tale somma; al parziale assolvimento degli oneri dovuti provvedendo al pagamento della prima e seconda rata con scadenza fino al 31 marzo 2011. Se ne desume che l’indicato importo di 49.982 euro è al di sotto della soglia di legge.
Quanto al periculum in mora si lamenta che II Tribunale di Brindisi ha omesso qualunque passaggio motivazionale. Si è trascurato che le provviste di denaro e di beni di analogo genere non costituiscono corpo del reato e non può quindi ritenersi automaticamente legittimo il sequestro preventivo. Il Tribunale non si è per nulla posto il problema della sequestrabilità del beni ai sensi dell’art. 322 ter cod. proc pen. D’altra parte non si concreta alcun periculum in mora, come già a suo tempo ritenuto dal Gip del Tribunale di Brindisi in considerazione del ravvedimento del contribuente. Nel caso di specie non avrebbe alcun senso l’applicazione della sanzione della confisca dal momento che tramite il versamento spontaneo dei contribuente ravveduto è stato soddisfatto il credito erariale e quindi è stata eliminata in radice l’offesa recata agli interessi economici dello stato.
3. Il ricorso è infondato.
La richiamata pronunzia di legittimità ha dichiarato manifestamente infondate le questioni prospettate e nuovamente esposte col ricorso in esame; ed ha censurato la pronunzia del Tribunale esclusivamente per ciò che attiene al fumus del reato con riguardo al superamento della soglia di 50.000 euro prevista dalla legge. Si è fatto riferimento alla circostanza, adombrata nella stessa ordinanza, inerente alla riduzione dell’originario importo sino alla ridetta somma di 49.982 euro per di più comprensiva, sembrerebbe, di ulteriori imposte estranee all’oggetto della contestazione. L’ordinanza è stata dunque annullata con rinvio esclusivamente per ciò che attiene al fumus dell’illecito, affinché si verificasse se, essendo state effettivamente ridotta la pretesa tributaria nei limiti indicati, risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l’iniziale quantificazione dell’imposta dovuta.
Nuovamente decidendo, il Tribunale di Brindisi ha considerato che, come emerge dagli atti, l’Agenzia delle entrate non ha ridotto l’originaria pretesa tributaria in forza di un concordato 0 di un accertamento per adesione. La rideterminazione del debito tributario è avvenuta in data 23 novembre 2010 unicamente per il fatto che l’indagato ha pagato parte dei suo debito circa due anni dopo il termine stabilito dalla legge, come si evince dalla documentazione e dai verbali di dichiarazioni in atti. Ne discende che, essendosi in presenza di mera rateizzazione del debito, non vi sono elementi per ritenere che l’importo dell’imposta evasa sia disceso ai di sotto della soglia di punibilità, essendo la somma pari a 54.993 euro.
Tale valutazione è immune da censure per ciò che attiene all’unico tema devoluto, afferente al fumus del reato. A tale riguardo il Tribunale spiega nitidamente che l’ammontare dell’imposta evasa è superiore a 50.000 euro; e che la circostanza che, dopo l’accertamento, si sia addivenuti alla rateizzazione del debito non ne modifica l’entità. Neppure rileva che, dopo l’accertamento ridetto, siano stati pagati due soli ratei che hanno condotto il debito residuo, ma non l’entità dell’Imposta evasa, ai di sotto della soglia indicata.
Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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