CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 maggio 2013, n. 11668
Accertamento – Imposte dirette e IVA – Onere probatorio – Contenzioso – Fatturazione per operazioni inesistenti – Evasione IVA del fornitore – Amministrazione finanziaria – Spettanza – Immediatezza di rapporti fra committente e fornitore, protrattisi per anni e in relazione ad operazioni di rilevante valore economico – Elementi oggettivi che inducono ad escludere la buona fede del committente/cessionario -Dimostrazione contraria – Contribuente – Onere probatorio – Spettanza
Fatto
La società E. s.p.a. fu destinataria di avvisi di accertamento Iva indebitamente detratta per gli armi 2000, 2001 e 2002 scaturiti da verifiche della guardia di finanza, le quali avevano evidenziato che la società aveva acquistato pezzi di computer da assemblare, a prezzi inferiori a quelli di mercato, da alcune società (tra le quali vi erano la s.a.s. O., la s.r.l. C., la S.R. e la S.), che formalmente importavano il materiale dall’estero per poi rivenderlo alla E., ma che, in realtà, secondo la guardia di finanza, erano dedite all’evasione dell’Iva. In particolare, sottolineavano i verbali delle verifiche, le società fornitrici, che mancavano di sede effettiva, erano mere cartiere, e non avevano mai versato l’Iva all’erario.
La società impugnò gli avvisi di accertamento e la commissione tributaria provinciale accolse il ricorso, con sentenza che la commissione tributaria regionale ha ribaltato, considerando che i fornitori della E. vanno qualificati come soggetti inesistenti e che «non sono state indicate quelle circostanze che avrebbero potuto permettere alla Commissione di valutare come non conosciute le anomalie tributarie della posizione dei fornitori della E.».
Ricorre la società per ottenere la cassazione della sentenza impugnata, affidando il ricorso a sei motivi, che illustra con memoria depositata a norma dell’articolo 378 del codice dì procedura civile.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Diritto
1. – Col quinto e col sesto motivo di ricorso, entrambi formulati ex articolo 360, 1° comma, numero 4, del codice di procedura civile, prodromici rispetto all’esame dei motivi restanti, da esaminare congiuntamente, in quanto propongono sotto diversi profili la medesima questione, la società lamenta;
– la violazione dell’articolo 57 del decreto legislativo numero 546 del 1992, ritenendo che, qualora l’ufficio ponga a fondamento della propria pretesa un fatto nuovo rispetto a quello indicato negli accertamenti, ovvero qualora, come nel caso in esame, dopo aver fatto valere con gli accertamenti la indetraibilità dell’Iva in quanto esposta in fatture relative ad operazioni soggettivamente inesistenti, per interposizione dell’apparente fornitore rispetto all’effettivo, individuato in quello comunitario, si chieda, con l’appello, di dichiarare la fondatezza della pretesa indetraibilità dell’Iva basandola sullo stato soggettivo della ricorrente in merito all’altruità dell’operazione, a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione commerciale all’attività istituzionale dell’impresa, si debba dichiarare l’inammissibilità della domanda nuova -quinto motivo:
– la violazione dell’articolo 112 del codice di procedura civile, in un caso, come quello in esame, in cui il giudice d’appello ponga a fondamento della decisione la necessità di riscontri precisi sullo stato soggettivo del cessionario in ordine all’altruità della fatturazione, quando l’ufficio affermava, invece, la indetraibilità dell’imposta per interposizione fittizia dell’apparente fornitore e l’esistenza del rapporto diretto col fornitore straniero -sesto motivo.
1.1 -La medesima questione della diversa prospettazione del ruolo rivestito dalla E. in seno al meccanismo di frode ricostruito dalla guardia di finanza è dunque proposta dalla ricorrente sotto i due aspetti della novità della questione (quinto motivo) e della ultrapetizione (sesto motivo) ed è infondata sotto entrambi i profili.
1.2 – Emerge, in fatto, dal testo degli avvisi di accertamento, riprodotti in ricorso, che, secondo la ricostruzione da essi fatta propria, «…si tratta di operazioni soggettivamente inesistenti, ove l’interposto ha la funzione di appropriarsi dell’Iva, “spartendola” con l’interponente tramite la vendita sottocosto (foglio 7 del PVC). L’interponente detrae indebitamente l’Iva che non è stata versata doli ‘interposto, facendo venir meno la neutralità dell’imposta…».
1.3.- Come questa Corte ha nitidamente chiarito (Cass. 19 settembre 2012, n. 15741), la fatturazione per operazione soggettivamente inesistente postula, come nel nostro caso, che la fornitura sia stata acquisita effettivamente dal contribuente (si vedano, al riguardo, gli insistiti riferimenti in ricorso, e reiterati in memoria, all’acquisizione «fattura per fattura, degli ordini della merce»), ma che la merce sia stata fornita da soggetto diverso dal fatturante, di solito fittizio o comunque incapace di svolgere quell’attività.
In questo caso, l’Iva che il cessionario assume di aver pagato al cedente per l’operazione soggettivamente inesistente, ossia per la cessione non effettuata da quel preteso cedente, non è detraibile, perché pagata ad un soggetto che non era legittimato alla rivalsa né era assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta: e ciò in quanto, ha rilevato la Corte di giustizia, «il diritto di detrarre l’Iva fatturata è connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile e l’esercizio di tale diritto non si estende all’Iva dovuta…esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura» (Corte giust, 31 gennaio 2013, C-643/11, punto 34; C-563/03, Antonio Jorge, punti 24 e 25; Corte giust, 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 23). Occorre, dunque, che «/ beni o servizi invocati a base del diritto -di detrazione- siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta e che a monte detti beni o servizi siano forniti da altro soggetto passivo» (Corte giust. 6 dicembre 2012, C-285/11, Bonik EOOD, punto 29; Corte giust. 6 settembre 2012, C-342/11, Toth, punto 26).
Questi principi si specchiano nel 1° comma dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972, che configura come presupposto della detrazione dell’Iva l’effettuazione di un’operazione, là dove tale presupposto «…deve ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione» (in termini, da ultimo, Cass. 13 marzo 2013, n. 6229).
1.4. Il principio di neutralità che governa il sistema dell’Iva, di fatti, richiede che l’imposta sia versata a chi ha eseguito operazioni imponibili, perché la compensi con l’imposta a sua volta corrisposta per l’acquisto di beni e servizi, di guisa che l’erario acquisisce, ad ogni passaggio del ciclo produttivo-distributivo, soltanto l’eventuale differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, ossia l’importo maturato a debito del soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di Iva a credito ed a debito (Cass. 14 dicembre 2012, n. 23074; Cass. 13 marzo 2013, n. 6229; Cass. 26 febbraio 2010, n. 4750).
II versamento dell’Iva ad un soggetto che non sia la genuina controparte, aprendo la strada ad un indebito recupero dell’imposta, mina, con effetti dirompenti, il meccanismo di compensazione tra Iva a valle ed Iva a monte. Sul punto, la giurisprudenza comunitaria insiste sulla necessità, ai fini della configurabilità del diritto di detrazione, di un nesso diretto tra operazioni a valle ed operazioni a monte (tra le più recenti, Corte giust. 21 febbraio 2013, C-104/12, Wolfram Becker, punto 19; Corte giust. 6 settembre 2012, C-496/11, Portugal Telecom SGPS, punto 36); ed anche la giurisprudenza di questa Corte segnala che, in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, pur essendo ì beni o il servizio effettivamente entrati nella disponibilità dell’impresa utilizzatrice, la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto determina l’evasione del tributo relativo alla diversa operazione, effettivamente realizzata da altri soggetti (Cass. 16 maggio 2012, n. 7672).
1.5.-Diverso ed estraneo all’ipotesi in esame è il caso in cui il fatturante è, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo, ma l’operazione si inscrive -per quanto riguarda quel trasferimento o per quanto riguarda i passaggi precedenti- «in ima combinazione negoziale fraudolenta, di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla l’avvalimento in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’IVA da parte del cedente»; anche in questo caso, che è quello delle frodi carosello, l’Iva che figura pagata al cedente in via di rivalsa non è detraibile, in quanto ad essa non soltanto non corrisponde un versamento all’erario, ma non corrisponde un’attività economica effettiva, in quanto il trasferimento all’intermediario formale ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione (Cass. 19 settembre 2012, n. 15741).
1.6.-Ne deriva, dunque, che gli elementi di fatto dedotti a sostegno della pretesa impositiva (espressi negli avvisi di accertamento, il cui passo maggiormente significativo è stato dinanzi riportato) sono stati correttamente inquadrati e valutati dalla sentenza impugnata, che, per un verso, ha affermato l’inesistenza sotto il profilo commerciale dei fornitori diretti di E., i quali «…hanno sistematicamente evaso l’Iva» e, per altro verso, ha ritenuto l’insussistenza di elementi idonei a consentire alla Commissione «di valutare come non conosciute -dalla E.- le anomalie tributarie della posizione dei fornitori»
Non sussistono, dunque, né novità di domanda in appello, né ultrapetizione della sentenza.
2 – Col primo, coi secondo e col quarto motivo di ricorso, rispettivamente proposti ex articolo 360, 1° comma, n. 3 e 5, c.p.c, da esaminare congiuntamente, perché strettamente avvinti, la società censura:
– ex articolo 360, 1° comma, numero 3, la violazione degli articoli 19 e 54 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 e degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile, affermando che non si può ritenere provata l’inesistenza di un soggetto giuridico e, quindi l’inesistenza del rapporto di vendita, sulla base di elementi e di circostanze di fatto rilevate esclusivamente da processi verbali di constatazione redatti in esito a verifiche, alle quali non abbia partecipato la società nei cui confronti è stata recuperata l’imposta -primo motivo;
– ex articolo 360, 1° comma, numero 5, l’insufficienza della motivazione sul fatto, controverso e decisivo, che i fornitori della ricorrente, ossia le società C., S. e S., siano da considerare soggetti inesistenti, anziché soggetti che effettivamente sono intervenuti come intermediari nel cedere alla ricorrente merce acquistata da fornitori stranieri, con i quali soltanto esse avevano rapporti secondo motivo:
– ex articolo 360, 1° comma, numero 5, l’insufficienza della motivazione sul fatto, controverso e decisivo, dell’assunta spartizione dell’Iva esposta nelle fatture contestate, emesse nei confronti della ricorrente dalle suddette società -quarto motivo.
2. 1.-Le censure di motivazione sono volte, in realtà, a sovvertire un accertamento di fatto, per sovrapporre ad esso il personale convincimento della ricorrente.
Va di fatti rilevato che la sentenza impugnata ha acclarato l’inesistenza sotto il profilo commerciale delle società O., C. e S., in quanto esse, che «…hanno sistematicamente evaso l’Iva per ingentissimi importi» «…non avevano alcuna sede, erano amministrate da teste di legno, svolgevano ingentissima attività, senza essere però dotate di una qualsivoglia minima struttura…».
2.2.-Ciò posto, del tutto incapace di minare la logica della ricostruzione operata in sentenza è la circostanza allegata in ricorso che ogni fattura, oltre a trovare riscontro nelle scritture contabili della E., «…è corredata da un ordine di acquisto compilato precedentemente dalla società scaligera», in quanto è la stessa sentenza a dare atto «dell’apparente regolarità formale della documentazione…», aggiungendo che «…è proprio nel sistema dell’evasione dell’Iva che la regolarità formale rappresenta un dato sul quale non appiattirsi ma anzi da cui muovere per procedere ad approfondimenti». Dato, questo, che trova riscontro nella descrizione del congegno della fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti dinanzi compiuta. Ed analoghe osservazioni valgono per l’ulteriore considerazione del ricorso che fa leva sui consistenti volumi d’affari -cartolarmente- riferibili alle società apparenti fornitrici della E.
2.3 – Per altro verso, sotto il profilo della violazione di legge, la motivazione è conforme a diritto.
Manifestamente irrilevante è la circostanza che gli elementi dedotti a sostegno della pretesa impositiva siano tratti da processi verbali di constatazione redatti in esito a verifiche, alle quali non ha partecipato la società nei cui confronti è stata recuperata l’imposta.
2.4.-Va, anzitutto chiarito che, anche secondo le sezioni penali di questa Corte, «il processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza costituisce prova documentale anche nei confronti dì soggetti non destinatari della verifica fiscale» (Cass. pen., sezione VI, 9 febbraio 2011, n. 28053; Cass. pen., sezione III, 18 novembre 2008, n. 6881, Ceragioli).
Ma, ancor prima, l’eccezione della società è inconferente; e ciò in quanto il giudice può porre a fondamento del proprio libero convincimento tutti gli elementi di prova ritualmente introdotti nel processo, purché non illeciti, perché assunti in contrasto con espressi divieti di legge (si pensi alle prove testimoniali nel processo tributario) o comunque illegittimamente acquisiti, in ragione della mancata osservanza delle formalità di acquisizione e purché siano assoggettati al contraddittorio processuale.
2.5. -Nel nostro caso, appunto, gli elementi in questione sono tratti da verbali redatti dalla guardia di finanza nell’esercizio dei propri poteri ispettivi e di verifica fiscale; verbali che, come emerge dalla narrativa della sentenza impugnata (la circostanza, del resto, non è contestata) sono stati prodotti in copia sin dal primo grado di giudizio (si legge in sentenza, a proposito dell’andamento del giudizio di primo grado: «a prova della natura puramente formale “dell’intervento delle società importatrici venivano prodotte le copie dei processi verbali di accertamento effettuati dalle società intermediarie che dimostravano la loro sostanziale incapacità dì svolgere l’attività economica che pure esse formalmente assumevano di svolgere»), in quanto tali oggetto del contraddittorio delle parti.
3.-Le considerazioni che precedono evidenziano l’infondatezza altresì del terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360, 1° comma, n. 3, c.p.c, col quale la contribuente si duole della violazione dell’articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633 del 1972 e degli articoli 2697, 2727 e 2729 del codice civile. Reputa, in particolare, che si debba ritenere spettante la detrazione dell’Iva esposta in fatture ritenute relative ad operazioni soggettivamente fittizie, in relazione alle quali grava esclusivamente sull’amministrazione l’onere di provare l’esistenza di un accordo simulatorio, senza che, in mancanza della prova del predetto accordo simulatorio, si possa far gravare sul contribuente l’onere di dimostrare l’esistenza del rapporto col proprio fornitore diretto, erroneamente ritenuto interposto.
3.1.- Va anzitutto chiarito che, secondo le regole generali di ripartizione dell’onere della prova, la prova della sussistenza del diritto di detrazione dell’Iva spetta a chi intenda esercitarlo (specificamente in termini è anche la Corte di giustizia, secondo cui «tocca a chi chiede la detrazione dell’Iva provare che ricorrono i presupposti per fruirne e l’amministrazione tributaria, qualora constati che il diritto a detrazione sia stato esercitato fraudolentemente, è autorizzata a chiedere, retroattivamente, il rimborso delle somme detratte»: Corte giust. 29 marzo 2012, C-414/10, Valeclair SA, punto 32).
3.2. – Ciò posto, fatto costitutivo del diritto di detrazione è senz’altro (e la stessa Corte di giustizia, si è visto, lo ha rimarcato), la sussistenza dell’operazione imponibile.
L’operazione imponibile, più che provata, è compiutamente e specificamente allegata mediante la fattura, la quale, a norma dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica numero 633/72, va emessa per ciascuna operazione imponibile, in relazione alla quale il soggetto effettui la cessione del bene o la prestazione del servizio, andando ad integrare il presupposto d’insorgenza dell’obbligo di versare l’imposta sul valore aggiunto: lo si evince dal 7° comma dell’articolo 21, a norma del quale «se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relativi sono indicate in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura».
3.3.- Né la circostanza che l’IVA indicata da un soggetto in una fattura sia da questo dovuta indipendentemente dall’effettiva esistenza dell’operazione imponibile si riverbera di per sé sul diritto di detrazione del destinatario della fattura: ha precisato al riguardo la Corte di giustizia che non osta ai principi di neutralità fiscale e di parità di trattamento la valutazione differente della necessità della effettiva sussistenza di una cessione di beni o di una prestazione di servizi per quanto riguarda l’emittente della fattura ed il destinatario di questa (Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK—56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, C-642/11, Stroy trans EOOD, punto 44).
3.4.- Ad ogni modo, al cospetto della specifica allegazione contenuta in fattura, incombe sul fisco l’onere di un’altrettanto specifica contestazione, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, della riferibilità dell’operazione al soggetto che abbia emesso la fattura; e la specificità si dovrà esprimere nell’indicazione di elementi oggettivi, che dimostrino che la cessione non è stata effettivamente operata dal fatturante.
3.5.-Al riguardo, ha ammonito la Corte di giustizia, è «compito delle autorità e dei guidici nazionali negare il benefìcio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente» (Corte di giustizia 21 giugno 2012, C-80/11 e C-142/11, Mahagében kft, punto 42; Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-642/11 e C-643/11, cit., punti 47 e 59; vedi anche Corte di giustizia 6 dicembre 2012, C-285/11, Bonik EOOD, punto 37; ma si tratta di affermazione reiterata nella giurisprudenza comunitaria).
3.6.-Nel caso dell’operazione soggettivamente inesistente, tuttavia, gli oneri incombenti su chi invochi il diritto di detrazione risultano temperati, in applicazione dei principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto: l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che, ha tuttavia, emesso la fattura, va negato, nel rispetto, peraltro, delle norme nazionali sull’onere della prova, al cospetto di oggettivi elementi, anche presuntivi, che inducano ad escludere la buona fede del committente/cessionario; buona fede configurabile qualora il committente/cessionario, pur avendo adottato tutte le ragionevoli precauzioni, non abbia avuto e non potesse avere la consapevolezza di partecipare, col proprio acquisto, ad un illecito fiscale dell’emittente delle fatture contestate (vedi, in particolare, Corte giust. 31 gennaio 2013, C-643/11, cit,, punto 52, che, nell’escludere che il principio di certezza del diritto osti al «diniego di detrarre l’Iva a monte nei confronti del destinatario di una fattura», fa leva sulla mancanza di qualsivoglia indizio «che faccia presumere che l’interessato non fosse in grado di orientarsi in modo utile per quanto concerne l’applicazione di tali normative»; rileva in tema anche Corte giust. 6 dicembre 2012, C- 285/11, Bonik EOOD, la quale, peraltro, si riferisce ad un caso in cui non era emerso che i fornitori della società che aveva esercitato il diritto di detrazione erano società cartiere, ma in cui, soltanto, non v’era prova che i fornitori si fossero a loro volta approvvigionati dei beni fomiti da altri soggetti: punto 15 della sentenza).
3.7.-Non si può, in conseguenza, esigere in generale che il destinatario della fattura, soprattutto in caso in cui l’amministrazione tributaria si basi, per affermare l’inesistenza dell’operazione imponibile, su lacune nella contabilità dell’emittente della fattura, verifichi l’esistenza dei beni in questione e la possibilità dell’emittente di fornirli (Corte giust. 31 gennaio 2013, cit, punto 61).
3.8 In ipotesi, tuttavia, di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente che abbia comportato l’acquisizione diretta, da parte del cessionario, di una prestazione eseguita da soggetto diverso dall’emittente della fattura (emittente privo di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione), l’immediatezza dei rapporti fra l’emittente ed il destinatario della fattura è forte indice oggettivo capace di escludere l’ignoranza incolpevole del cessionario; in tal caso, dunque, sarà il cessionario a dover provare dì non essere a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era non l’emittente della fattura, ma altro soggetto (espressamente in termini, Cass. n. 6229/2013, cit.; fa leva sull’onere di diligenza dell’operatore avveduto anche Cass. 22 febbraio 2013, n. 4525).
3.9.-Diversa, anche sul piano probatorio, è, si è visto, l’ipotesi della cd. frode carosello, in cui il fisco ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni, gli elementi di fatto che concretizzano la frode e la partecipazione ad essa o la consapevolezza di essa da parte del contribuente.
3.10.- II motivo in esame, dunque, non è pienamente congruente rispetto alle ragioni della decisione, che, conformemente a quanto affermato dalla Corte in ordine alla fisionomia ed ai conseguenti oneri probatori inerenti alle fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti, ha fatto leva, come si è visto, sull’inesistenza dei fornitori della E., sulla loro sistematica evasione dell’Iva e sulla mancanza di elementi «…che avrebbero potuto permettere alla Commissione di valutare come non conosciute le anomalie tributarie della posizione dei fornitori di E.», senza in alcun modo evocare o comunque porre a fondamento della decisione il meccanismo simulatorio sul quale è calibrato il motivo.
Meccanismo simulatorio che, peraltro, è del tutto estraneo al congegno dell’elusione fiscale, basata non già sulla simulazione, bensì sull’abuso di strumenti giuridici formali e cioè sul ricorso ad essi in assenza della concreta sostanza economica ad essi corrispondente, al fine di utilizzarne gli effetti per eludere l’imposizione. Nel caso della frode carosello, in via d’esempio, il passaggio intermedio non coiti sponde ad una effettiva intermediazione commerciale, ma alla finalità di far apparire acquirente e quindi cessionario un evasore per potersi successivamente avvantaggiare del non pagamento. Ne consegue l’irrilevanza altresì del dato, sul quale pure insiste la società, facendone oggetto del quarto motivo di ricorso, che essa abbia acquistato la merce in questione a prezzo di mercato.
3.11- Ciò posto, è bene sottolineare, con riguardo al caso in esame, che è acclarato in giudizio che:
– la E. esercita da anni attività di produzione e commercio all’ingrosso di computer e loro accessori (vedi la narrativa della sentenza, che dà conto delle ragioni d’impugnazione degli avvisi di accertamento);
– la società ha acquistato «…rilevante quantità di materiali dalla C. o dalla O. e dalla S. e S.R….» (pagina 11, terzo capoverso della sentenza);
– i rapporti intercorsi con queste società siano stati «…di ingentissimo valore (nell’ordine di alcuni miliardi di lire)…» (pagina 13, primo capoverso della sentenza);
– la C. s.r.l. in particolare rientrava nel novero dei fornitori abituali, in considerazione del fatto, riferito in sentenza, che la pretesa erariale si fondava sulla contestazione dell’ «indebita detrazione IVA su ima serie di acquisti effettuati presso la società C. s.r.l…».
3.12. -Sarebbe dunque contrario già al buon senso affermare che un imprenditore inserito in un settore altamente specializzato come quello in questione, che si valga ripetutamente di alcuni fornitori per acquisti ingenti nel corso degli anni, di notevole valore economico, non abbia rapporti diretti con questi fornitori e non si renda conto che i fornitori in questione corrispondano a mere cartiere,
E l’onere della prova grava su chi intenda provare la verità dell’inverosimile.
4.- Il ricorso va in conseguenza respinto, con l’affermazione del seguente principio di diritto:
«In ipotesi di fatturazione per operazioni soggettivamente inesistenti, l’immediatezza dei rapporti fra il fatturante ed il cessionario, perdipiù protrattisi per anni ed in relazione ad operazioni di rilevante valore economico, induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del cessionario circa l’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta, perché sfornito di dotazioni personali o strumentali adeguate alle cessioni, di guisa che gli va negato il diritto di detrazione dell’IVA versata».
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in €uro 17.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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