La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 19738 del 29 agosto 2013 interviene in tema di abuso del diritto affermando che non è simulato il contratto di soccida semplice in cui si stabilisce che il soccidante fornisca il mangime al soccidario. L’Amministrazione Finanziaria non può contestare l’abuso del diritto, recuperando a tassazione la presunta IVA risparmiata dal contribuente, perché il conferimento degli alimenti da parte di quest’ultimo all’allevatore (soccidante) non è una pattuizione che contrasta con la funzione economico-sociale del contratto agrario in questione.
La vicenda han origine con il controllo fiscale eseguito dalla Guardia di Finanza nei confronti della società ed ha cui veniva contestato il carattere simulato di un contratto di soccida intercorso tra la contribuente e altra società, quindi l’obbligo di fatturazione delle prestazioni permutative ai sensi degli articoli 11 e 13 del D.P.R. n. 633 del 1972. A seguito del predetto controllo e sulla scorta del PVC l’Amministrazione finanziaria emetteva due avvisi di rettifica che notificava alla società contribuente.
La società depositava ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso i due atti impositivi . la controversi giunge alla Commissione Tributaria Regionale i cui giudici considerano il contratto di soccida simulato sull’unico presupposto che il soccidante forniva il mangime al soccidario, sicché si è ritenuto che le prestazioni offerte dal soccidante non potessero rientrare fra le attività agricole per le quali vigeva il regime di non assoggettabilità a IVA.
La società avverso la decisione dei giudici di merito ricorre alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza.
Gli Ermellini accolgono le doglianze della società ricorrente considerando l’inserimento all’interno di un contratto di soccida semplice, di una pattuizione che garantisce al soccidario il mangime corrisposto integralmente dal soccidante non introduce nel contratto “un elemento capace di inficiare la funzione economico-sociale del tipo negoziale, normativamente correlata alla ripartizione fra gli associati dell’accrescimento del bestiame e degli altri prodotti e utili che ne derivano (art.2170 comma 1 c.c.), semmai contribuendo a rappresentare la reale funzione pratica che le parti hanno inteso perseguire attraverso l’utilizzo dello schema contrattuale della soccida, modulato in relazione ai rapporti economici che le stesse parti intendevano regolare secondo i rispettivi interessi attraverso la previsione che il mangime fosse conferito dal soccidante”.
In sostanza la pattuizione di cui si è detto non altera la “ragione pratica” del contratto né si pone in violazione con la norma imperativa di cui all’articolo 2178 del codice civile, secondo cui è nullo il patto per il quale il soccidario deve sopportare nella perdita una parte maggiore di quella spettantegli nel guadagno.
Infine i giudici di legittimità ricordano che la prova sia del disegno elusivo sia delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli,grava sul Fisco, mentre grava sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza delle ragioni economiche alternative o concorrenti di reale spessore che giustifichino operazioni in quel modo strutturate.
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