La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 5750 depositata il 4 marzo 2024, intervenendo in tema di elusione fiscale, ha affermato che “… Non è evidenziato (né appare pertinente rispetto alla deduzione di utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, che è una ipotesi di evasione fiscale) quale sarebbe il presupposto dell’elusione, né quale sarebbe la rilevanza e il contenuto delle dedotte triangolazioni. Quanto al coacervo indiziario valorizzato dalla sentenza impugnata vi è un oscuro riferimento a fatture attive e passive «speculari», seguito dal riferimento a fatture per lavori «ben descritti ma non eseguiti», a contratti di appalto «non sanciti dalla forma scritta prevista ad substantiam», a «comportamenti fiscali tutt’altro che corretti» e alla stipula di pagamenti simulati; complessivamente si assiste a un percorso logico incomprensibile (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053), che non lascia intendere quali elementi di prova siano stati valutati al fine di ritenere provata la pretesa dell’Ufficio e quali elementi di prova, invece, siano stati ritenuti inattendibili in relazione alle deduzioni di parte contribuente, né quale fosse l’oggetto della prova del fatto ignoto tratto dagli elementi indiziari, se questo riguardasse (trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti) l’inesistenza delle operazioni sottostanti o anche altri fatti. …”
La vicenda ha riguardato una società di persone ed i socio della stessa. Infatti alla società erano stati notificati due avvisi di accertamento per due periodi di imposta ed i correlati avvisi di accertamento per trasparenza per maggiori IRPEF e addizionali relativi ai soci, con cui si rideterminava il reddito della società e, conseguentemente, si recuperavano le maggiori imposte accerta e i capo alle società e ai soci, oltre sanzioni e accessori. Gli avvisi scaturivano da una verifica, dalla quale emergeva che la società contribuente aveva utilizzato fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti, con conseguente disconoscimento dei costi e della relativa detrazione IVA. La società contribuente, i soci e gli eredi di uno dei soci impugnavano gli avvisi di accertamento. I giudici di prime cure aditi accolsero le doglianze dei ricorrenti. Avverso la sentenza di primo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva appello. I giudici di appello accolgono l’appello principale dell’Ufficio e ha rigettato l’appello incidentale dei contribuenti relativo alle spese processuali. Il giudice di appello ha ritenuto che l’operazione sia maturata in un «contesto evasivo-elusivo» comprovato dagli accertamenti della Gdf, dagli accertamenti bancari é «da comportamenti fiscali tutt’altro che corretti» che hanno evidenziato «triangolazioni fraudolente» poste in essere attraverso pagamenti simulati e dalla stipula di rapporti contrattuali di appalto non stipulati con forma scritta ab substantiam. I contribuenti impugnano la sentenza di secondo grado con ricorso in cassazione fondato su sei motivi.
I giudici di piazza Cavour accolgono il quarto motivo di ricorso; dichiarano assorbito il quinto motivo; rigettano nel resto il ricorso.
Per i giudici di legittimità la decisione dei giudici di appello risulta essere lacunosa, infatti la sentenza impugnata aveva ritenendo essere stata data prova di un «contesto evasivo-elusivo» sulla base degli accertamenti compiuti dalla GdF che avrebbero evidenziato «triangolazioni fraudolente». In realtà, per i giudici di legittimità, risulta assente il presupposto dell’elusione e nemmeno risulta precisato la rilevanza ed il contenuto delle dedotte triangolazioni.
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