La Corte di Cassazione con la sentenza n. 9610 del 13 aprile 2017 intervenendo in tema di abuso del diritto ha confermato che il giudice di merito deve concretamente verificare gli elementi ritenuti sintomatici di un comportamento elusivo, poichè solo in tal modo è possibile confermare la legittimità del provvedimento emesso dall’Agenzia delle Entrate. Pertanto il fisco è legittimato a contestare l’abuso del diritto quando una società di costruzioni si è estinta subito dopo aver venduto ai soci gli unici due immobili realizzati.
La vicenda ha riguardato un socio accomandatario di una sas cessata a cui l’agenzia delle Entrate ha notificato un avviso di accertamento con cui veniva disconosciuta l’Iva detratta su degli acquisti immobiliari. In particolare, l’atto dell’amministrazione finanziaria si fondava sulla circostanza che la società, nella sua breve “ vita”, aveva realizzato solamente due unità immobiliari, di cui poi si erano resi acquirenti gli unici due soci (moglie e marito).
Avverso tale atto impositivo il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accolsero le doglianze del ricorrente. L’Agenzia delle Entrate impugnava con ricorso alla CTR la sentenza dei giudici di prime cure. I giudici di appello confermava la sentenza impugnata affermando che l’Amministrazione non aveva dato dimostrazione circa il carattere elusivo dell’attività svolta dalla società, priva di una valida ragione economica e posta in essere al solo scopo di conseguire un risparmio d’imposta.
Il Fisco impugnava la decisione della CTR con ricorso in cassazione fondato su tre motivi. La Suprema Corte ha considerato meritevole di accoglimento il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate che ha ritenuto in difetto di valide ed apprezzabili ragioni economiche che giustifichino l’operazione contestata, è legittimo il disconoscimento del risparmio di imposta ottenuto, prescindendo dal fatto che l’operazione posta in essere contrasti o meno con specifiche disposizioni di legge.
I giudici del palazzaccio hanno rammentato che “costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di eludere il fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera qualora esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero intento di conseguire un risparmio di imposta, fermo restando che incombe, sull’amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire a quel risultato fiscale” (Cass. n. 4603/2014).
La Suprema Corte afferma che la CTR non ha tenuto conto dei diversi elementi sintomatici dell’esistenza dell’abuso, costituiti “dall’essere stata costituita la società nel settembre 2003, con due soli soci, i coniugi (omissis), e l’essere la stessa priva di dipendenti e con una sede di appena due mq, corrispondente a quella di altre società partecipate dal (omissis); l’avere la società svolto attività edile consistente nella sola costruzione di due unità immobiliari; il fatto che gli unici ricavi, a fronte di ingenti costi, avevano riguardato l’anno 2006, a seguito della vendita dei due unici appartamenti costruiti, effettuata nei confronti dei medesimi soci; la cancellazione della società nel 2007”.
I contribuenti si sono limitati a opporre un insuccesso imprenditoriale, ossia a dedurre che, essendo i due immobili rimasti invenduti, erano stati costretti ad acquistarli in proprio.
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