La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 17250 del 12 luglio 2013 interviene in ordine agli accertamenti bancari affermando che in tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa la norma sopracitata “impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilità e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari anziché costituire acquisizioni di utili”.
La vicenda ha visto protagonisti i soci di una S.r.l. a cui venivano notificati due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle Entrate intendeva recuperare a tassazione: il corrispondente di un canone di locazione non contabilizzato relativo ad una unità immobiliare ad uso commerciale; ricavi non contabilizzati (corrispettivi non registrati, corrispettivi inerenti a provvigioni non fatturate, e altri ricavi per pagamenti in favore di società facenti capo all’amministratore unico senza documentazione di costi).
I contribuenti avverso tale atto impositivi proponevano ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, che accoglieva le doglianze dei soci limitatamente alla ripresa a tassazione di una serie di versamenti ricondotti dai giudici ad una fattura complessiva, regolarmente contabilizzata, dello stesso importo.
Veniva predisposto e depositato ricorso alla Commissione Tributaria Regionale dove veniva annullata la pretesa impositiva relativa ad un altro importo in quanto ritenuta valida dai giudici la ricostruzione della società che faceva riferimento ad un mero giro contabile, con passaggio nei conti correnti della società di denaro ad essa non riferibile e considerando, quanto alla seconda, provati sia il destinatario dei prelievi, sia la causale dei versamenti.
Il resto del ricorso veniva respinto, pertanto, i soci ricorrevano in Cassazione adducendo, in particolare, che: la presunzione di ricavi stabilita dall’art. 32, comma 1, n. 2, del D.P.R. 600/1973, con riferimento ai prelievi è suscettibile di prova contraria mediante l’indicazione dei rispettivi beneficiari (come avvenuto nel caso in esame);
La Suprema Corte – con la sentenza in esame – ha respinto la tesi dei soci. I giudici di legittimità hanno poi precisato che in materia sussiste l’onere della prova in capo al contribuente e – secondo la tesi più rigorosa – tale onere non può venire assolto tramite l’uso di presunzioni: la mera indicazione dei beneficiari dei prelievi, in tal senso, non risulta sufficiente, mentre, si richiede al contribuente di provare le circostanze di fatto rilevanti per smentire le contestazioni dell’Ufficio.
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