La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16575 del 02 luglio 2013 interviene in tema di applicazione delle presunzioni in tema di accertamenti bancari e, in particolare affermando che, sui prelevamenti, il giudice di merito deve argomentare le ragioni per le quali non ritiene convincente quanto addotto dal contribuente, non potendosi limitare a generiche considerazioni sul valore delle presunzioni in materia.
L’amministrazione Finanziaria svolgeva indagini bancarie nei confronti di una società a responsabilità limitata sui conti sia della società che di quelli dell’amministratore. A fronte di prelevamenti ritenuti non giustificati, venivano contestati maggiori ricavi imponibili. Pertanto L’Agenzia notificava l’avviso di accertamento basato sulle risultanze delle indagini bancarie.
La società contribuente avverso l’atto impositivo proponeva ricorso presso la competente Commissione Tributaria Provinciale che lo rigettava.
Il contribuente lamentava oltre all’ illegittimità delle indagini sul conto privato dell’amministratore anche di aver riportato nelle scritture contabili i prelevamenti contestati e, pertanto, di aver assolto l’onere probatorio previsto dall’articolo 32 del Dpr 600/73, con la conseguente inapplicabilità della presunzione di maggiori ricavi. Evidenziava poi che i verificatori non avevano ritenuto sufficiente tale prova sol perché nelle scritture contabili le operazioni erano state registrate come prelevamenti per cassa, mentre le somme erano state utilizzate per pagare i fornitori.
Il ricorso avverso la sentenza, dei giudici di prime cure, la società soccombente proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Regionale, la quale confermava l’accertamento dell’Ufficio. Nella circostanza i giudici di appello evidenziavano la correttezza dell’imputazione a ricavi dei versamenti eseguiti sul conto corrente bancario, in mancanza di prova contraria fornita dalla parte. Inoltre le risultanze del conto non intestato direttamente alla società, bensì all’amministratore, erano utilizzabili dal fisco se accertato, anche a mezzo di presunzioni semplici, come nella specie, che le operazioni si riferivano all’impresa.
La società proponeva ricorso alla Suprema Corte per la cassazione la sentenza dei giudici di appello lamentando che il giudice di merito non aveva in alcun modo chiarito gli elementi utilizzati ai fini del proprio convincimento, atteso che tutti i prelevamenti risultavano dalle scritture contabili (ancorchè, per errore in contabilità, detti prelevamenti erano indicati per cassa e non per pagamento fornitori). Di conseguenza era perfettamente rispettata la previsione dell’articolo 32 a mente della quale tali operazioni sono considerate ricavi, sempreché non risultano dalle scritture contabili.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso evidenziando innanzitutto che erroneamente la Commissione Tributaria Regionale si riferiva a «versamenti» e invece si trattava di «prelevamenti» palesando in ciò di non aver ben centrato la questione. Poi la Suprema Corte ha precisato che il giudice deve argomentare le ragioni del proprio convincimento, non essendo sufficiente riferirsi a generiche affermazioni circa la presunzione posta dal ripetuto articolo 32, anche perché, nella specie, la società effettivamente aveva fornito delle precise giustificazioni.
La pronuncia della Corte di Cassazione è di particolare interesse poiché, richiama l’attenzione dei giudici di merito sulla necessità di argomentare determinate decisioni ancorché apparentemente sorrette dall’esistenza di una presunzione legale.
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