Con la circolare n. 8/E del 7 aprile 2017 l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con riguardo alla nuova versione dell’articolo 32 del Dpr n. 600/1973 sui prelievi ed ai versamenti effettuati dalle imprese cosi come modificato dall’articolo 7-quater, del D.L. n. 193/2016, convertito in legge n. 225/2016, ha apportato delle rilevanti modifiche all’articolo 32 del Dpr n. 600/1973.
L’articolo 32, comma 1, n. 2, del Dpr n. 600/1973statuisce che gli uffici possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a comparire di persona o per mezzo di rappresentanti per fornire dati e notizie rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, anche relativamente ai rapporti ed alle operazioni bancarie. Qualora il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine, i dati e le notizie sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38,39,40 e 41 del Dpr n. 600/1973. “Alle stesse condizioni sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni”.
In merito ai prelevamenti bancari eseguiti dai lavoratori autonomi, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 228 del 24 settembre 2014, ha dichiarato l’illegittimità della sopra riportata disposizione limitatamente alle parole “o compensi”, ritenendo che la presunzione posta dalla citata norma, con riferimento ai compensi percepiti dai lavoratori autonomi, fosse “lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva, essendo arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo siano destinati ad un investimento nell’ambito della propria attività professionale e che questo a sua volta sia produttivo di reddito”.
A seguito di detta pronuncia, pertanto, non è più proponibile l’equiparazione logica tra attività di impresa e attività professionale fatta, ai fini della presunzione posta dal citato articolo 32, dalla giurisprudenza di legittimità per le annualità anteriori (Cass. sent. n. 23041/2015), cosicché è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione, dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari, ai compensi percepiti nella propria attività di lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, come stabilito dalla citata disposizione. Si sposta, quindi, sull’Amministrazione Finanziaria, l’onere di provare che i prelevamenti ingiustificati dal conto corrente bancario e non annotati nelle scritture contabili, siano stati utilizzati dal libero professionista per acquisti inerenti alla produzione del reddito, conseguendone compensi.
Resta, invece, invariata, con riferimento ai versamenti bancari effettuati dai lavoratori autonomi sui propri conto correnti, la presunzione legale sancita dalla predetta disposizione a favore dell’Erario che, data la fonte legale, non necessità dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’articolo 2729 c.c., per le presunzioni semplici, superabile da prova contraria fornita dal contribuente. Egli, infatti, ha sempre la possibilità di dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo non una prova generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ogni operazione sia estranea a fatti imponibili (Sul punto Cass. sent. n. 16697/2016; Cass. sent. n. 26018/2014).
La nuova versione dell’articolo 32 – Le modifiche introdotte all’articolo 32 che tengono conto di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionali con l’eliminazione della parola “compensi” ed inoltre stabilisce che i rapporti e le operazioni rilevano fiscalmente per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, ad euro 5.000 mensili.
Va tenuto presente che, l’integrazione prevista dall’emendamento, attiene ai prelevamenti ed ai versamenti eseguiti dalle imprese e dai lavoratori autonomi sia pure, per questi ultimi, limitatamente ai versamenti. Nei fatti e con riguardo alle rettifiche ed agli accertamenti, la modifica comporta che:
- per i professionisti, rilevano i versamenti non giustificati;
- per le imprese, rilevano i versamenti non giustificati;
- per le imprese, rilevano i prelevamenti non giustificati solo al superamento dell’importo di euro 1.000 giornalieri e, comunque, di 5.000 euro mensili.
La Circolare, in commento, in risposta a due quesiti, evidenzia due aspetti della normativa.
La prima domanda riguardava la retroattività delle disposizioni di cui al D L. n. 193/2017. In pratica, la richiesta riguardava se i limiti quantitativi di 1.000 euro giornalieri e comunque 5.000 euro mensili dei prelevamenti, avevano effetto retroattivo.
L’Agenzia delle Entrate ha risposto negativamente, sostenendo che la nuova disposizione si applica a partire dal 3 dicembre 2016, data di entrata in vigore della legge n. 225/2016, per cui, a base delle rettifiche ed accertamenti, sono considerati ricavi i prelevamenti o gli importi riscossi superiori ai limiti menzionati solo dopo detta data.
Con la seconda domanda, si chiedeva se i limiti (1.000 e 5.000 euro) riguardavano solo i prelevamenti o anche i versamenti.
La risposta dell’Amministrazione Finanziaria è stata “tranciante”, in quanto ha chiarito che la lettera della norma interviene solo sui prelevamenti e non sui versamenti, per i quali rimane ferma la presunzione che costituiscono reddito se non giustificati, senza, quindi, osservare i limiti in parola.
In realtà, la norma integrata non brilla per chiarezza. Infatti, la “ricostruzione” della disposizione porta a sostenere che se l’imprenditore non indica il beneficiario e non risultano nelle scritture contabili, “i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito dei predetti rapporti od operazioni per importi superiori a euro 1.000 giornalieri e, comunque, ad euro 5.000 mensili”, si considerano ricavi non dichiarati. Da una interpretazione letterale, sembra di capire che anche gli importi riscossi possono essere ripresi a tassazione solo al superamento dei suddetti importi e se non giustificati o risultanti dalle scritture contabili.
Sembra opportuno, allora, capire che cosa si intende per “importi riscossi”, anche perché, la scheda di lettura dei lavori parlamentari, recita testualmente “la lettera b), con riferimento ai titolari di reddito di impresa (i quali percepiscono “ricavi”: articoli 57 e 85 del TUIR), indica un parametro quantitativo oltre il quale scatta la presunzione di evasione per i prelievi o i versamenti di importo superiore a 1.000 euro giornalieri e a 5.000 euro mensili”.
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