La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 2015 depositata il 29 gennaio 2014 intervenendo intema di accertamento sintetico ha statuito che il compenso corrisposto dal contribuente alla colf è rilevante ai fini dell’accertamento con redditometro ed inoltre, le dichiarazioni del cittadino circa l’entità del salario versato alla collaboratrice domestica sono insufficienti a invalidare l’atto impositivo ricavato con metodo induttivo, sulla base di presunzioni semplici.
La vicenda ha riguardato un contribuete a cui veniva notificato un avviso di accertamento IRPEF determinato applicando il metodo sintetico (redditometro). Il contribuente avverso tale atto impositivo proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici accoglievano le doglianze del ricorrente. L’Amministrazione Finanziaria impugnava la decisione del giudice di prime cure dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che in riforma della decisione appellata accolse parzialemte le motivazioni del Fisco.
Per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure il contribuente proponeva ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema. Il Fisco resisteva con ricorso incidentale. Lamentando, in particolare, la violazione dell’articolo 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 laddove la CTR della Lombardia, in base alla semplice dichiarazione del contribuente, aveva respinto il motivo d’appello concernente il reddito delle collaboratrici domestiche.
Gli Ermellini rigettano il ricorso principale ed accolgono quello incidentale del Fisco cassando la sentenza impugnata e rinviandola alla CTR. I giudici di legittimità hanno riaffermano il principio secondo cui il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Amministrazione Finanziaria, non ha il potere di togliere a tali “elementi” la capacità presuntiva “contributiva” che il legislatore ha connesso alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra circa la provenienza non reddituale (quindi non imponibile o perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma (cfr. Cass. n. 1909/2007).
Per cui il giudice potrà soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale delle somme necessarie per mantenere il possesso dei beni indicati dalla norma.
Tale orientamento della giurisprudenza tiene conto del principio dell’accertamento sintetico con metodo induttivo, consentito all’Amministrazione Finanziaria dalle norme contenute nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, articolo 38, commi quattro e cinque, consiste nell’applicazione di presunzioni semplici, in virtù delle quali l’Ufficio finanziario è legittimato a risalire da un fatto noto a quello ignorato (sussistenza di un certo reddito, quindi di capacità contributiva). Questa presunzione semplice genera peraltro l’inversione dell’onere della prova, trasferendo al contribuente l’impegno di dimostrare che il dato di fatto sul quale essa si fonda non corrisponde alla realtà (cfr. Cass. n. 5991/2006).
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