La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 28254 depositata il 18 dicembre 2013 intervenendo in tema di accertamento induttivo ha statuito che il dato della regolarità formale della contabilità di impresa, ove sussistente, non è “ex se” in ogni caso preclusivo dell’accertamento di tipo “analitico- induttivo” (od analitico-extracontabile), atteso che ben possono essere state semplicemente omesse annotazioni relative ad operazioni che, altrimenti, sarebbero destinate a non venire mai accertate se non per diversa risultanza documentale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 7653 del 16/05/2012, in motivazione; id. Sez. 5, Sentenza n. 7871 del 18/05/2012; id. Sez, 5, Sentenza n. 3197 del 11/02/2013), ed è pertanto legittimo l’impiego da parte della Amministrazione finanziaria, ai fini della determinazione dei maggiori ricavi, “dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, tra i quali sono compresi il volume di affari dichiarato dallo stesso contribuente e la redditività media del settore specifico in cui opera l’impresa sottoposta ad accertamento” (Corte cass. V sez. 6.8.2002 n. 11813, cui adde V sez. 7.5.2007 n. 10344), dovendosi ulteriormente precisare che “a rideterminazione del ricarico, operata in base a dati non privi di concretezza – quali i prezzi unitari di acquisto e di vendita, l’incidenza di ciascun prodotto sul costo del venduto, il ricarico medio riscontrato nel settore di appartenenza sulla scorta di un’analisi a campione per gruppi merceologici omogenei e il raffronto con i prezzi di vendita- costituisce operazione senz’altro legittima in quanto finalizzata alla ricostruzione del volume di affari, salva la eventuale riduzione da parte del giudice tributario del maggior reddito accertato in caso di insufficienza o inadeguatezza del campione” (Corte cass. V sez. 18.9.2003 n. 13816).
La vicenda ha riguardato una società sottoposta a veridica fiscale culminata con la redazione del PVC sulla base del quale l’Amministrazione Finanziaria emetteva due avvisi di accertamento con cui venivano rettificate le dichiarazioni ai fini IVA ed IRPEG e ILOR rideterminando i redditi imponibile ed il volume di affari mediante applicazione sul costo del venduto di una percentuale media ponderata di ricarico.
La società contribuente avverso gli atti impositivi ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale i due distinti ricorsi venivano il primo integralmente accolto il secondo accoglieva parzialmente le doglianze del ricorrente. In sede di appello inanzi alla Commissione Tributaria Regione, previo riunione degli appelli proposti dal Fisco, riformava integralmente le decisioni del giudice di prime cure. I giudici di appello, accolsero il gravame dell’Amministrazione, ritennero infondato il rilievo della contribuente riguardante la erronea determinazione della percentuale di sconto.
Per la cassazione della pronuncia dei giudici di seconde cure, il contribuente, proponeva ricorso, basato su tre motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando la mancata applicazione del corretto comportamento che avrebbero dovuto tenere i verbalizzanti doveva essere quello di applicare gli sconti al prezzo di listino mentre i verificatori, pur riconoscendo l’esistenza degli sconti, hanno ritenuto di applicare la scontistica mediamente praticata nel settore direttamente nel calcolo del ricarico praticato, ridotto al 70%.
Gli Ermellini rigettano il ricorso del contribuente. I giudici di legittimità hanno affrontato la questione concernente le dichiarazioni rilasciate in sede di verifica fiscale. Infatti la Corte ha confermato che le dichiarazioni in sede di verifica possono al più essere valutate per corroborare il convincimento dell’organo giudicante, sia a vantaggio dell’amministrazione finanziaria che del contribuente.
I giudici del Palazzaccio rilevano, come aspetto decisivo della controversia, la totale assenza di documentazione in grado di provare le dichiarazioni rilasciate dall’amministratore, comunque soggetto sottoposto a verifica e che evidentemente potrebbe essere spinto ad effettuare dichiarazioni “largheggianti” nella scontistica praticata per contenere la rideterminazione dei ricavi. Sottolinea la Suprema Corte, infatti, che vi era un sostanziale “(…) difetto di riscontri documentali in ordine agli effettivi sconti applicati nel periodo soggetto a verifica della società (non erano state rinvenute annotazioni concernenti riduzioni di prezzo nella contabilità d’impresa, né erano indicati gli sconti di prezzo sugli scontrini di vendita e neppure indicazioni in proposito era dato ricavare dalla documentazione commerciale esaminata)…”, con la conseguenza pratica che “(…) non avendo disponibile alcun altro dato certo, i verificatori hanno inteso comunque considerare, ai fini della determinazione del volume d’affari, la usuale prassi nello specifico settore commerciale della concessione di sconti alla clientela (..)”.
Pertanto, da quanto sopra scritto, per i giudici della Cassazione essendo il processo tributario di tipo documentale, non sono sufficienti le mere dichiarazioni, essendo invece indispensabili i riscontri documentali in ordine all’effettività di ciò che si dichiara.
Nel caso di specie sarebbe risultato utile documentare adeguatamente le vendite promozionali con la richiesta all’autorità competente o ancora la documentazione completa delle vendite a stock. In definitiva, più si documentano tali delicate fasi dell’attività svolta, più le proprie dichiarazioni saranno forti anche in commissione tributaria.
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