La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 457 depositata il 13 gennaio 2014 intervenendo in materia di accertamento fiscale ha statuito che è legittimo l’accertamento induttivo a carico della società immobiliare qualora il prezzo di vendita degli appartamenti è inferiore all’importo del finanziamento concesso dalle banche agli acquirenti.
La vicenda ha riguardato una società immobiliare sottoposta a verifica da parte di funzionari erariali i quali, avvalendosi dei dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare integrandoli con i dati riferiti unità immobiliari con caratteristiche similari, ubicate nella zona ove era situato il complesso immobiliare costruito. Infine attraverso i dati contabili raccolti emergeva che diverse unità immobiliari risultavano cedute ad un prezzo inferiore alla sommatoria della caparra, acconti vari e importo finale del relativo mutuo contratto dagli acquirenti, tenendo anche conto del fatto che il ricarico effettuato sui costi appariva talmente esiguo da fare ritenere l’operazione complessiva quasi antieconomica, anche sulla base dei costi e prezzi di altre unità immobiliari, commercializzate nella zona. Per cui sulla base dei dati raccolti l’Agenzia delle Entrate emetteva e notificava avviso di accertamento inerente alle maggiori imposte IRPEF, all’IRAP e all’IVA per rettifica del reddito d’impresa.
La società contribuente impugnava l’atto impositivo proponendo ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici non accolgono le doglianze del ricorrente. Il contribuente avverso la decisione del giudice di prime cure propone ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale che, però, conferma la sentenza di primo grado rigettando sia l’appello principale che quello incidentale.
Per la cassazione della decisione dei giudici di seconde cure, la contribuente, propone ricorso, affidandosi ad un unico motivo di censura, alla Corte Suprema. La società si lamentava che la motivazione della sentenza della CTR non aveva considerato che la determinazione del maggior reddito si basava su presupposti errati, giacché le unità immobiliari, per le quali il mutuo era superiore al prezzo, se sommato agli acconti, erano la minima parte del commercializzato, e nulla escludeva che gli acquirenti avessero richiesto alle banche delle somme maggiori per far fronte ad altri costi (ad esempio per gli arredi e il trasloco).
Gli Ermellini hanno rigettato il ricorso della società. I giudici di legittimità hanno evidenziato che in tema di accertamento induttivo dei redditi l’Amministrazione Finanziaria può – ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. n. 600 del 1973 – fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, come nella specie, sia sugli studi di settore. In tale circostanza il Fisco non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenza n. 16430 del 27/07/2011). Tra l’altro, l’articolo 54 del D.P.R. n. 633 del 1992 autorizza l’Amministrazione, allorché esso ravvisi “gravi incongruenze”, a procedere all’accertamento induttivo anche fuori delle ipotesi ivi previste. Ciò costituisce un’altra deroga, in materia di accertamento, ai limiti fissati dal medesimo, con la conseguente ammissibilità dell’accertamento induttivo oltre le ipotesi già previste dal successivo articolo 55 del D.P.R. n. 633 del 1972, cioè anche in presenza di contabilità formalmente regolare. Infatti i cosiddetti studi di settore, idonei a fondare semplici presunzioni, oppure le valutazioni cosiddette normali di mercato sono da ritenere supporti razionali offerti all’Ufficio al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile reperire dati medi presumibilmente esatti. Pertanto, i dati in tal modo presunti possono essere utilizzati ai fini impositivi, anche in contrasto con quanto risulta dalle scritture contabili regolarmente tenute. Ciò finché non ne sia dimostrata l’infondatezza mediante idonea prova contraria, il cui onere è a carico del contribuente. (V. pure Cass. Sentenze n. 5977 del 14/03/2007, n. 26919 del 2006)
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