La Corte di Cassazione, con la sentenza 21103 del 16 maggio 2013, ha ritenuto legittimo il provvedimento di sequestro probatorio dell’archivio informatico di un professionista (odontoiatra), quando il provvedimento di sequestro è propedeutico allo svolgimento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori di reato, non esperibili senza sottrarre l’archivio all’indagato.
La vicenda ha avuto inizio con l’emissione , da parte del P.M., del decreto di perquisizione e sequestro per il reato di cui all’art. 326 c.p. In sede di riesame il decreto di perquisizione e di sequstro viene annullato In una seconda fase il P.M. emette un secondo decreto di sequestro probatorio del personal computer, delle “pen drive”, delle schede micro e del restante materiale rinvenuto dalla Guardia di finanza, sempre in ordine al reato di cui all’art. 326 cp.: anche tale decreto veniva annullato in sede di riesame
Il 12 luglio 2012 il P.M. ha emesso un terzo decreto di sequestro, oggetto dell’attuale impugnazione, disposto peraltro in relazione alla diversa ipotesi di dichiarazione fiscale infedele al fine di evasione delle imposte art. 4 decreto legislativo 74/2000.
Gli Ermellini hanno affermato in merito alla vicenda da loro esaminata che “la “preclusione processuale”, che si forma a seguito delle pronunce emesse dalla Corte di cassazione o dal Tribunale all’esito del procedimento incidentale di impugnazione avverso la misura cautelare, rende inammissibile la reiterazione di provvedimenti aventi il medesimo oggetto di quello annullato qualora la situazione di fatto sia rimasta immutata.”
Pertanto nella fattispecie i giudici di legittimità precisano che “il divieto di “bis in idem” comporta, in tema dì sequestro probatorio, l’impossibilità di disporre o confermare un provvedimento in base agli stessi elementi posti a fondamento di un precedente già annullato, ma non preclude la possibilità dì imporre la misura cautelare reale sulla base di elementi non valutati, anche se già in precedenza a disposizione dell’accusa (Cass. pen. sez. 2, 34607/2008 Rv. 240703).”
La conclusione della Corte Suprema in tema del principio ne bis ne idem e si ostativo alla ripetizione della medesima azione giuridica soltanto qualora “l’autorità procedente sia chiamata a riesaminare nel merito quegli elementi che già siano stati ritenuti insussistenti o insufficienti e non anche quando tali elementi (fatto e finalità: infedeltà della dichiarazione fiscale” con la “finalità di evasione delle imposte”), come nella specie, non siano stati valutati, (cfr. cass. pen, sez. 3, 43806/2008 Rv, 241415 e precedenti conformi: N. 3123 del 1996 Rv. 206408).” Per cui, secondo la Corte di Cassazione, il ricorso del professionista va rigettato.
I Supremi giudici hanno reso definitivo il sequestro spiegando che la legittimità del sequestro probatorio deve essere valutata, non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa, ma in riferimento all’idoneità degli elementi su cui si fonda la notizia di reato a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini, per acquisire prove certe o prove ulteriori del fatto, non esperibili senza la sottrazione all’indagato della disponibilità della «res» o l’acquisizione della stessa nella disponibilità dell’autorità giudiziaria.
Per cui la misura, sia per i giudici di legittimità che per quelli di merito, è giustificata dal sospetto che il professionista abbia nascosto gran parte del suo fatturato e giro d’affari mediante un’operazione di ripulitura del pc.
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