La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 15186 del 18 giugno 2013 ha stabilito che va annullato l’accertamento tributario basato sugli di studi di settore in cui l’Agenzia non abbia tenuto in debita considerazione le due attività svolte dal contribuente.
Gli Ermellini hanno ribadito l’orientamento consolidato della stessa Corte in merito ai principi fissati dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 26635 del 2009, e cioè che: “La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli ‘standards’ in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli ‘standards’ o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello ‘standard’ prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Anche se l’esito del contraddittorio non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli ‘standards’ al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume come conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli ‘standards’, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito”.
Pertanto ad avviso dei giudici di legittimità la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, avverso la quale l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso, ha fatto buon governo dei principi sopra esposti laddove ha ritenuto infondata la pretesa fiscale “per essere stata accertata la coerenza dei valori dichiarati agli studi di settore della prevalente attività”. La sentenza gravata ha pure accertato che l’atto impositivo si è fondato esclusivamente sui parametri, sicché l’accertamento non è stato modulato alle due attività svolte dalla contribuente, nonché alle contestazioni e ai rilievi formulati in sede di contraddittorio endoprocedimentale. Nulla sulle spese.
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