La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 34512 depositata il 27 dicembre 2019 intervenendo in tema di adempimenti connessi con gli acquisti di beni intracomunitari ha affermato che “integra una violazione sostanziale e non formale dell’art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 l’ omessa annotazione di fatture di acquisti intracomunitari nelle dichiarazioni periodiche presentate con dati inesatti, in quanto in grado di incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo”

La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata a cui veniva notificato un avviso di accertamento IVA con cui veniva sanzionato l’omessa contabilizzare delle relative fatture, per acquisti intracee,  con il meccanismo dell’inversione contabile ed omessa presentazione dei relativi modelli Intrastat. La società contribuente impugnava l’atto impositivo con ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di prime cure accolgono le doglianze della ricorrente. Avverso la decisione della CTP l’Agenzia delle Entrate propone ricorso alla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di appello riformano la sentenza impugnata ritenendo legittimo l’avviso di accertamento. Il contribuente impugna la sentenza della CTR con ricorso in cassazione fondato su un unico motivo ritenendo che le omissioni costituivano violazioni formali.

Gli Ermellini nel rigettare il ricorso del contribuente premettono che in base al contenuto del comma 2 dell’articolo 17 del DPR 633/72 e dell’articolo 46 del D.L. n. 331/1993, convertito nella l. n. 427 del 1993, l’acquirente del bene o il committente del servizio dì intermediazione deve, anzitutto, numerare le fatture ricevute. Tali fatture – a norma dell’art. 47, co. 1, del d.l. n. 331 del 1993 – vanno, dipoi, annotate distintamente, dai soggetti suindicati, dapprima nel registro delle fatture emesse (vendite), entro il mese di ricevimento (o comunque entro quindici giorni dal ricevimento), ai sensi dell’art. 23 del d.P.R. 633 del 1972, quindi nel registro degli acquisti, ex art. 25 dello stesso decreto (cd. regime dell’inversione contabile o reverse charge), in guisa da dare vita ad un credito IVA esattamente corrispondente all’imposta dovuta. E tuttavia, ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione è pur sempre necessario che siano soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali di assunzione del debito di imposta, ai fini di assicurare il rispetto del predetto regime di “tassazione in entrata”, anche laddove le due annotazioni, dell’IVA dovuta “a monte” dell’IVA detraibile “a valle”, non siano state effettuate.

Per cui, continuano i giudici di legittimità,  l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro, in applicazione delle disposizioni comunitarie succitate, non può privarlo del suo diritto alla detrazione dell’IVA, mediante annotazione a credito nella dichiarazione di imposta, ferma restando l’eventuale sanzione per l’inosservanza di tali obblighi

In particolare nel rigettare la motivazione del ricorso del contribuente, i giudici del palazzaccio, precisano, in base ai precedenti della Corte Europea, fermo restando “i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto”,  ed al consolidato orientamento della stessa Corte che in tema di sanzioni tributarie, la violazione ha carattere meramente formale quando ricorrono due concorrenti requisiti, ovvero quello di non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, di non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo, sicché integra una violazione sostanziale e non formale dell’art. 21, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 l’ omessa annotazione di fatture di acquisti intracomunitari nelle dichiarazioni periodiche presentate con dati inesatti, in quanto in grado di incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo.

Nello specifico è sempre riconosciuta la detraibilità dell’IVA per gli acquisti intracomunitari di beni nel rispetto dei requisiti sostanziali ai sensi dell’art. 17, par. 2, lett. d) della sesta Direttiva:

  1. che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo IVA;
  2. che quest’ultimo sia debitore dell’IVA attinente a detti acquisti;
  3. che i beni in questione siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili.

Nessun altro obbligo o adempimento, diverso dai requisiti suindicati, può, dunque, condizionare – nel sistema dell’IVA sugli acquisti intracomunitari, quale delineato dalla formazione europea cogente – l’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta su dette operazioni;

Per cui concludono i giudici della Suprema Corte, rifacendosi ad alcuni precedenti, che la mancata annotazione delle fatture nei registri Iva e l’omessa annotazione degli acquisti intracomunitari nelle dichiarazioni periodiche presentate con dati inesattiintegra una violazione sostanziale, in quanto è in grado di incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo ed integra un pregiudizio per l’esercizio delle azioni di controllo.

Infine la Corte ritiene che anche il mancato invio dell’Intrastat delle vendite ha assunto, a decorrere dal 1° gennaio 2020, valenza sostanzialela non imponibilità Iva delle cessioni intracomunitarie non si applica qualora il cedente non abbia rispettato l’obbligo di presentare un elenco riepilogativo o lo stesso sia incompleto (Direttiva 2006/112/Ce)