AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 20 gennaio 2022, n. 35
Aliquota IVA applicabile alla cessione di scatole contenenti ingredienti per la preparazione di pasti – art. 16 DPR n. 633 del 1972
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
“Alfa” s.r.l. è fornitore di kit per pasti in America, Canada, Europa occidentale, Nuova Zelanda e Australia.
Il modello di business di “Alfa” consiste nella preparazione di scatole/confezioni contenenti kit di ingredienti, già nelle opportune porzioni, necessari per la preparazione di pasti, che i clienti devono cucinare o ultimare seguendo le indicazioni della ricetta, anch’essa inclusa nel kit.
“Alfa” si occuperà della preparazione e vendita di dette confezioni nel territorio italiano.
La Società acquista gli ingredienti, prepara i le confezioni/scatole, li commercializza direttamente tramite il proprio sito e si occupa della consegna al domicilio dell’acquirente.
In particolare, i clienti di “Alfa” sottoscrivono sul sito web della Società un servizio in abbonamento che consente loro di prenotare i pasti preferiti e di riceverli nei giorni e agli orari selezionati. L’abbonamento può essere modificato, sospeso, cancellato o riattivato da parte del cliente entro un termine che va da … a … giorni antecedenti alla data di consegna prevista della scatola contenente il kit di ingredienti.
Il prezzo dell’abbonamento si compone dei prezzi delle singole scatole; il prezzo delle quali si riferisce al kit, comprensivo di tutti gli ingredienti, della ricetta e delle istruzioni per la cottura/preparazione finale.
L’Istante non offre servizi ulteriori rispetto a quelli indicati, eccetto il packaging ed il trasporto; per il trasporto è previsto l’addebito di un corrispettivo.
La questione controversa attiene alla determinazione della base imponibile e all’aliquota IVA da applicare alla scatola in considerazione della circostanza che gli elementi/ingredienti che lo compongono potrebbero essere singolarmente assoggettati a diverse aliquote IVA (con l’aliquota massima del 10%) e che tali ingredienti sono variabili (nelle quantità, nel costo di acquisto, etc.) a seconda della scatola, anche nell’ambito dello stesso periodo di abbonamento.
Ai fini dell’individuazione della base imponibile e dell’aliquota IVA da applicare al alla scatola contenente il kit di ingredienti, la complessità è dovuta ai seguenti elementi:
a) la scatola viene offerta con un prezzo definitivo unico forfettario (non suddiviso per ingrediente) IVA inclusa;
b) nella scatola non è possibile rinvenire un ingrediente prevalente (anche perché i prodotti in peso/quantità minore potrebbero avere valore/costo maggiore rispetto ad altri);
c) la scatola è offerta mediante una modalità in abbonamento ed il corrispettivo è pagato dal cliente anticipatamente al momento di sottoscrizione dell’abbonamento, per cui il momento di effettuazione dell’operazione coincide con il momento di pagamento anticipato del corrispettivo ai sensi dell’articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n 633;
d) gli ingredienti che compongono la confezione possono variare di volta in volta (nella quantità, nel costo di acquisto o in altri elementi) e tale variazione non è prevedibile al momento della sottoscrizione dell’abbonamento e del pagamento anticipato.
Non essendo possibile conoscere l’esatta composizione del kit alla data di vendita in abbonamento che precede la preparazione e consegna della scatola, l’Istante non può applicare l’aliquota IVA corrispondente al singolo ingrediente che la compone.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
La Società ritiene preliminarmente che la vendita delle proprie confezioni/scatole rientri tra le “cessioni di beni” di cui all’articolo 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, non ricorrendo i caratteri tipici della ristorazione e del catering indicati nell’articolo 6 del Regolamento n. 282/2011 e nella giurisprudenza unionale.
L’Istante propone una soluzione che sia allo stesso tempo in linea con la normativa IVA e praticabile in termini operativi, a fronte della difficoltà di stabilire con esattezza di volta in volta l’allocazione del valore dei singoli ingredienti a ciascuna aliquota singolarmente applicabile (4%, 5% o 10%).
Viene precisato che, in caso di eventuali prodotti al 22%, questi verrebbero gestiti separatamente dalla scatola/confezione.
Quale soluzione primaria, l’Istante propone di determinare la base imponibile per ciascuna aliquota IVA con un metodo analitico basato su dati storici.
In concreto, partendo dall’analisi degli ingredienti inclusi nei kit venduti nel corso di un trimestre di riferimento, l’Istante:
– determinerebbe un tasso medio ponderato per singola aliquota IVA da applicare al prezzo della scatola/confezione contenente il kit di ingredienti;
– il corrispettivo dovuto per il trasporto a domicilio della scatola – da considerare accessorio all’elemento principale costituito dalla cessione degli alimenti ai sensi dell’articolo 12 del DPR n. 633 del 1972 – sarà allocato pro quota in base alle percentuali individuate come al punto precedente.
Detti valori, calcolati sulle cessioni effettuate in un dato trimestre di riferimento, verrebbero utilizzati da “Alfa” come parametri per calcolare l’imposta da applicare alle cessioni effettuate nel trimestre successivo, tenendo un mese libero per analizzare i dati. Per esemplificare, per le cessioni effettuate nei mesi di gennaio, febbraio e marzo dell’anno X sarà utilizzato il tasso medio ponderato dei kit ceduti nei mesi di settembre, ottobre e novembre dell’anno X-1; dicembre dell’anno X-1 rappresenterebbe il mese deputato all’effettuazione dei calcoli del tasso medio ponderato.
In subordine, ove la soluzione descritta non fosse ritenuta accettabile, l’Istante ritiene di potere applicare l’aliquota IVA del 10% a tutta la confezione.
Tale soluzione sarebbe supportata dai seguenti elementi:
1) l’aliquota IVA del 10% è la maggiore tra le aliquote IVA applicabili agli ingredienti inclusi nella confezione;
2) l’aliquota IVA del 10% è applicabile ad una parte rilevante degli ingredienti nella confezione;
3) esiste un filone di prassi dell’Amministrazione Finanziaria secondo cui è possibile applicare l’aliquota IVA più alta in determinate circostanze assimilabili al caso di specie.
Con riferimento a quest’ultimo punto, l’Istante ricostruisce l’evoluzione delle interpretazioni fornite nel corso degli anni dall’Agenzia delle entrate.
L’iniziale interpretazione fornita dall’Amministrazione Finanziaria (pur con riguardo ad un settore diverso da quello in esame) era che si dovesse applicare l’aliquota maggiore rispetto a quelle potenzialmente applicabili a ciascun elemento del “tutto” (cfr. risoluzione n. 142 del 1999).
Con la risoluzione n. 51/E del 21 maggio 2019 l’Agenzia delle entrate, sulla scorta di quanto chiarito nella nota n. 94060/2018 dell’Agenzia delle Dogane, ha ritenuto che i prodotti misti, laddove non possano essere diversamente inquadrati, devono essere classificati “secondo le materie e l’oggetto che conferisce agli stessi il loro carattere essenziale” sulla base di parametri come la quantità, il volume o il valore. La stessa Agenzia ha inoltre affermato che, al fine di individuare l’aliquota IVA corretta di un misto di erbe aromatiche, occorre valutare se un prodotto è predominante rispetto agli altri: in tal caso, l’aliquota di quel prodotto andrà applicata per l’intero “mix”.
Parere dell’Agenzia delle entrate
Al fine di rispondere al quesito formulato dall’istante, è preliminare inquadrare la fattispecie oggetto dell’interpello alla stregua di “somministrazione di alimenti e bevande” o come mera “fornitura di alimenti e bevande”.
La distinzione si rende necessaria in quanto la “somministrazione di alimenti e bevande” rientra tra le prestazioni di servizi di cui all’articolo 3, comma 2, n. 4) del d.P.R. n. 633 del 1972 ed è soggetta all’applicazione dell’aliquota IVA del 10%, come disposto dal n. 121) della Tabella A, Parte III allegata al d.P.R. n. 633 del 1972, mentre le cessioni di alimenti e bevande sono considerate cessioni di beni ai sensi dell’articolo 2 del d.P.R. n. 633 del 1972 e scontano l’aliquota IVA applicabile in funzione della tipologia di bene venduto.
In mancanza di una definizione espressa di “somministrazione di alimenti e bevande” occorre fare riferimento all’articolo 6 del Regolamento di esecuzione (UE) N. 282/2011 del Consiglio del 15 marzo 2011, recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto, il cui articolo 6, paragrafo 1, prevede che ” I servizi di ristorazione e di catering consistono nella fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, destinati al consumo umano, accompagnata da servizi di supporto sufficienti a permetterne il consumo immediato. La fornitura di cibi o bevande o di entrambi costituisce solo una componente dell’insieme in cui i servizi prevalgono. Nel caso della ristorazione tali servizi sono prestati nei locali del prestatore, mentre nel caso del catering i servizi sono prestati in locali diversi da quelli del prestatore”. Il successivo paragrafo specifica altresì che “La fornitura di cibi o bevande preparati o non preparati o di entrambi, compreso o meno il trasporto ma senza altri servizi di supporto, non è considerato un servizio di ristorazione o di catering ai sensi del paragrafo 1.
Secondo il legislatore unionale, la fornitura di cibi o di bevande o di entrambi rappresenta solo una componente dei servizi di ristorazione e catering, i quali si connotano per la prevalenza dei servizi di supporto atti a permetterne il consumo immediato.
In altre parole, in assenza di servizi di supporto la fornitura di alimenti e bevande manca delle necessarie caratteristiche per rientrare nella definizione di servizio di ristorazione e catering e va più propriamente ricondotta ad una cessione di beni.
In tal senso si è più volte espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea; nella sentenza relativa alla causa C-231/94, i giudici sovranazionali hanno statuito che se il consumo di alimenti e bevande avviene nel quadro di un servizio complessivo di ristorazione (composto da cottura, consegna materiale del cibo, predisposizione di infrastrutture per agevolare il consumo) prevale la prestazione di servizi sulla cessione di alimenti. A tal proposito, in particolare, la Corte ha affermato che ” la fornitura di bevande e di pasti preparati pronti al consumo immediato è il risultato di una serie di servizi che va dalla cottura dei cibi alla loro consegna materiale su un sostegno, e che si accompagna alla predisposizione in favore del cliente di un’infrastruttura comprendente tanto una sala di ristoro con annessi (guardaroba ecc.) quanto gli arredi e le stoviglie. Vi possono essere persone fisiche, la cui attività professionale consiste nell’effettuare tali operazioni di ristorazione, che provvedono ad apparecchiare i tavoli, a consigliare il cliente e a fornirgli spiegazioni sulle vivande o sulle bevande proposte, a servire a tavola tali prodotti e, infine, a sparecchiare dopo il consumo. Emerge pertanto che l’operazione di ristorazione è caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi è soltanto una parte e nel cui ambito predominano ampiamente i servizi. Essa dev’essere pertanto considerata come prestazione di servizi ai sensi dell’art. 6, n. 1, della sesta direttiva. Diverso è il caso di un’operazione avente ad oggetto alimenti “da asportare”, non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato“.
Alla luce dell’interpretazione della nozione comunitaria dei “servizi di ristorazione o di catering” tenuto conto degli elementi forniti dall’istante ai fini della descrizione della fornitura delle confezioni contenenti i kit di ingredienti, le operazioni effettuate non sono qualificabili come somministrazione di alimenti e bevande, costituendo, quindi, cessioni di beni.
Nel caso di specie, la suddetta cessione ha ad oggetto preparazioni alimentari, consistenti in un misto di ingredienti alimentari già porzionati ma non pronti per il consumo, dovendo a tal fine essere cotti o ultimati dal consumatore.
Nella stessa confezione, secondo quanto rappresentato, sono presenti ingredienti assoggettabili ad aliquote IVA differenti (generalmente aliquote ridotte del 4%, 5% o 10%); tuttavia alla cessione delle singole confezioni viene applicato un unico corrispettivo (indistinto per aliquote IVA).
Il corrispettivo, determinato in modo forfettario, è pagato dal cliente al momento della sottoscrizione dell’abbonamento, sul sito web della Società Istante. L’abbonamento, che può essere modificato, sospeso, cancellato o riattivato in qualsiasi momento, consente ai clienti di prenotare i loro pasti preferiti, tra un numero stabilito di ricette che variano ogni settimana, e di riceverli nei giorni e agli orari selezionati.
In via preliminare, si fa presente che, in mancanza di indicazioni puntuali in ordine alla determinatezza dei beni ceduti al momento della sottoscrizione dell’abbonamento e alle modalità con le quali il cliente seleziona le confezioni di ingredienti, esula dal presente parere qualsiasi valutazione in ordine al momento di esigibilità dell’imposta. Tale aspetto, peraltro, non costituisce oggetto di specifica richiesta di chiarimenti da parte della società istante.
Ciò posto, in merito all’individuazione dell’aliquota applicabile all’operazione in esame si fa presente quanto segue.
Nella risoluzione n. 142 del 1999, riguardante la realizzazione ” di una pluralità di operazioni a fronte delle quali, tra l’altro, è prevista la corresponsione di un corrispettivo unico forfettario con la conseguenza che per le stesse non è dato applicare il corrispondente trattamento Iva differenziato”, l’Amministrazione finanziaria è giunta alla conclusione che ” alle prestazioni di che trattasi si rende applicabile l’Iva con l’aliquota massima prevista per le opere ricomprese nella fattispecie negoziale in discorso, ossia quella del 10 per cento”.
In sostanza, tale documento di prassi, ancorché riferito ad un settore diverso da quello oggetto di istanza (nel caso della risoluzione si trattava di opere edili) ha chiarito che in presenza di più operazioni, per le quali sia pattuito un corrispettivo unico, deve aversi riguardo all’aliquota IVA più alta tra quelle previste per i beni/servizi ceduti/resi, a prescindere dall’eventuale prevalenza dei beni/servizi ad aliquota inferiore.
Tale posizione è stata confermata, tra l’altro, anche nella risoluzione n. 111/E del 5 agosto 2004, secondo cui ” per un consolidato principio di carattere generale, implicito nell’ordinamento che disciplina l’imposta sul valore aggiunto, se a fronte di prestazioni per le quali sono previste diverse aliquote viene richiesto e fatturato un corrispettivo indistinto prevale in ogni caso l’aliquota maggiore”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, nella fattispecie in esame, si ritiene che l’operazione di cui trattasi debba essere assoggettata ad IVA con applicazione dell’aliquota nella misura del 10%, vale a dire con l’aliquota più elevata tra quelle astrattamente applicabili agli ingredienti che compongono la confezione).
Tale soluzione presuppone, in ogni caso, che gli ingredienti contenuti nella confezione siano riconducibili ai prodotti tassativamente elencati nella parte II, nella parte II-bis e nella parte III della Tabella A allegata al d.P.R. n. 633 del 1972.
In merito all’indicata possibilità che siano presenti ingredienti per i quali è prevista l’aliquota del 22%, l’Istante afferma che gli stessi sarebbero gestiti separatamente, senza però esplicitarne le modalità.
A tal proposito, si fa presente che l’applicazione a tali ingredienti dell’aliquota IVA nella misura del 22% implica la loro corretta individuazione e una distinta fatturazione. Diversamente, la presenza di detti ingredienti nella confezione comporterebbe, in base alle considerazioni sin qui esposte, l’applicazione dell’IVA con aliquota nella misura ordinaria ( i.e. 22 per cento).
In ordine al trattamento delle spese di trasporto non si condivide la soluzione della Società di ritenere accessorio il servizio di trasporto rispetto all’operazione principale di cessione della scatola.
Al riguardo, si rileva che in base all’articolo 12 del d.P.R. n. 633 del 1972 come interpretato con numerosi documenti di prassi dall’Agenzia delle entrate (tra cui la risoluzione 1° agosto 2008, n. 337/E), una cessione di beni o una prestazione di servizi risulta accessoria a un’operazione principale quando integra, completa e rende possibile quest’ultima. Non è, dunque, sufficiente una generica utilità della prestazione accessoria all’operazione principale, occorrendo che la prestazione accessoria formi un tutt’uno con l’operazione principale. Tale orientamento è coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea che, nella sentenza 18 gennaio 2018, causa C-463/16, chiarisce che: ” Una prestazione è considerata accessoria ad una prestazione principale in particolare quando costituisce per la clientela non già un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire nelle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore”. Secondo la Corte di Giustizia, si è in presenza di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificioso. Pertanto, il servizio di trasporto e la cessione della confezione contenente il kit di ingredienti costituiscono prestazioni distinte e vanno trattate fiscalmente in modo autonomo.
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