Agenzia delle Entrate – Risposta n. 403 del 2 agosto 2022
All’atto di risoluzione per mutuo consenso del preliminare con restituzione della caparra confirmatoria versata si applica l’art. 28, comma 2, del d.P.R. n. 131/1986 con applicazione dell’imposta di registro proporzionale per le prestazioni derivanti dalla risoluzione (restituzione caparra)
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, e’ stato esposto il seguente
QUESITO
L’ istante rappresenta di essere stato incaricato della redazione e registrazione di una scrittura privata relativa alla risoluzione di un contratto preliminare.
Al riguardo, espone che:
- con scrittura privata, registrata al n. x serie y, le Sig.re Tizia e Caia, conclusero un contratto preliminare di compravendita di una porzione di fabbricato, al prezzo di euro 130.000;
- la promittente acquirente versava a titolo di caparra confirmatoria la somma di euro 50.000 (cinquantamila);
- le parti si obbligavano a stipulare il contratto definitivo di compravendita entro il 31 dicembre 2023.
In seguito, tuttavia, in data 25 aprile 2019, l’acquirente è deceduta lasciando eredi i figli. In data 22 gennaio 2020, è stata presentata dichiarazione di successione, nella quale gli eredi hanno denunciato il credito di euro 50.000 (cinquantamila) proveniente dalla caparra confirmatoria versata in sede di sottoscrizione del contratto preliminare del 3 aprile 2019.
L’istante rappresenta che gli eredi, sin dal momento della successione, hanno manifestato l’intenzione di risolvere consensualmente detto preliminare non essendo interessati all’acquisto dell’immobile e la promittente venditrice è stata disponibile ad accettare la restituzione della somma di euro 50.000 (cinquantamila), ricevuta a titolo di caparra confirmatoria.
Ciò posto, l’istante precisa che la suddetta somma verrebbe restituita esclusivamente per la mancata stipulazione del contratto definitivo e non a titolo di corrispettivo dell’esercizio di un diritto e che il pagamento in restituzione della suddetta caparra non avverrebbe all’atto della sottoscrizione della scrittura privata portante la risoluzione del contratto preliminare di cui sopra, ma, su accordo delle parti, entro un determinato termine successivo.
Fatte queste premesse, l’istante propone interpello “al fine di conoscere quale tassazione si rende applicabile al momento della registrazione della scrittura privata portante la risoluzione del contratto preliminare di cui sopra, stante il silenzio della legge“.In particolare, a parere dell’istante, l’articolo 28 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, “nel dettare la disciplina fiscale dei casi di risoluzione del contratto per i quali è stabilito un corrispettivo e anche in ogni altro caso in cui vi siano prestazioni derivanti dalla risoluzione, prevede l’applicazione sul relativo ammontare dell’imposta proporzionale con aliquota del 3% … ai sensi dell’art. 9 della tariffa parte prima o con aliquota dello 0,50% … ai sensi dell’art. 6 della medesima tariffa se si è in presenza di quietanza“. Diversamente, la norma prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa se la risoluzione del contratto dipende da clausola risolutiva espressa.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’istante ritiene che la fattispecie rappresentata “non rientra in nessuno dei casi espressamente disciplinati dalla suddetta norma“.
Si tratta, infatti, di una risoluzione senza previsione di alcun corrispettivo, senza una restituzione immediata della somma ricevuta a titolo di caparra e senza una prestazione derivante dalla risoluzione, in quanto la restituzione della caparra rappresenterebbe solo un mero effetto dell’atto.
Ne consegue che, “anche in conformità a quanto indicato nella Circolare Ministeriale N. 37 del 10 giugno 1986…, ove la risoluzione sia gratuita, anche nel silenzio della legge, dovrà percepirsi la sola imposta fissa e non un’imposta proporzionale“.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
In via preliminare, si fa presente che non costituisce oggetto del presente interpello l’applicazione delle disposizioni ai fini dell’imposta sulle successioni in relazione alla dichiarazione presentata dagli eredi, né la qualificazione della somma versata dalla promittente acquirente alla promittente venditrice quale caparra confirmatoria, che vengono qui recepite acriticamente.
Ciò premesso, si osserva quanto segue.
L’articolo 1372 del codice civile stabilisce che “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.
Lo scioglimento del rapporto contrattuale per “mutuo consenso” rientra nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto; esso è, infatti, espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale, anche indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi. Come affermato anche dalla Corte di Cassazione, con il “mutuo consenso” le parti volontariamente concludono un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario (cfr. sentenza n.17503 del 30 agosto 2005).
Con riferimento al trattamento tributario applicabile, ai fini dell’imposta di registro, all’atto di risoluzione si osserva che l’articolo 28 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevede che “1. La risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa.
2. In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”.
Ai fini fiscali, occorre quindi distinguere l’ipotesi in cui è presente una clausola risolutiva espressa – contestuale al contratto originario ovvero stipulata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto, con le modalità indicate dalla norma – dall’ipotesi in cui le parti, mediante autonoma espressione negoziale, optino per la risoluzione del medesimo contratto originario:
- nel primo caso, si applica l’imposta proporzionale solo se per la risoluzione è previsto un corrispettivo e solo sull’ammontare di quest’ultimo; in caso contrario, si applica l’imposta in misura fissa;
- nella diversa ipotesi in cui la risoluzione dell’originario contratto sia realizzata mediante apposito negozio, la citata disposizione prevede la tassazione in misura proporzionale, da applicare alle prestazioni derivanti dalla risoluzione; la medesima tassazione proporzionale si applicherà, inoltre, all’eventuale corrispettivo della risoluzione.
Con riferimento a quest’ultima ipotesi, la Corte di Cassazione ha statuito che ” in termini generali, … , il mutuo dissenso è occasione del manifestarsi della stessa capacità contributiva espressa da un contratto a parti inverse (retrocontratto), talché, al di là dell’eccezione che il legislatore ha ritenuto di stabilire con il disposto dell’art. 28 (…) il mutuo dissenso deve essere assoggettato, ai sensi del secondo comma di questo articolo, all’imposta stabilita per il contratto base” (cfr. ordinanza del 5 ottobre 2018, n. 24506).
In senso analogo, l’ordinanza del 9 marzo 2018, n. 5745, con cui la Suprema Corte, ribadendo il proprio orientamento, ha affermato che “il mutuo dissenso, che è un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello originario, è soggetto ex art. 28, comma 2, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, alla regola residuale applicabile a tutti gli alti risolutivi di negozi giuridici che non trovino la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione)” .
Nella fattispecie in oggetto, l’istante ha rappresentato che gli eredi della promissaria acquirente hanno manifestato la volontà di non stipulare la compravendita e d’accordo con la promittente venditrice intendono risolvere il contratto preliminare mediante un apposito atto da sottoscrivere congiuntamente; in tale occasione, le parti ” dichiarano che la somma di euro 50.000 … a suo tempo versata a titolo di caparra confirmatoria … verrà restituita dalla Sig. ra Tizia agli eredi di Caia” seppure non contestualmente all’atto di risoluzione.
Alla luce delle disposizioni normative, del consolidato orientamento giurisprudenziale richiamati, oltre che dalla documentazione allegata in dall’istante in sede di integrazione, si ritiene che lo stipulando atto di risoluzione per mutuo consenso del contratto preliminare, oggetto del presente interpello, rientri nell’ambito di applicazione del citato comma 2, dell’articolo 28 del d.P.R. n. 131 del 1986 e sia soggetto all’applicazione l’imposta di registro proporzionale per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, che nel caso di specie sono rappresentate dalla restituzione della somma a suo tempo versata dalla promittente acquirente a titolo di “caparra confirmatoria”.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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