AUTORITA’ NAZIONALE ANTICORRUZIONE – Delibera 23 maggio 2018, n. 462
Linee-guida n. 10, recanti «Affidamento del servizio di vigilanza privata»
1. Premessa
La Prefettura di Roma, con nota del 25 giugno 2014, ha segnalato a questa Autorità talune criticità riscontrate in relazione agli appalti indetti per l’affidamento del servizio di vigilanza privata.
Tali criticità attengono, in particolare:
– all’esatta indicazione dell’oggetto dell’appalto (es. distinzione tra servizio di vigilanza privata e servizi di guardiania e custodia);
– alla corretta individuazione dei requisiti di partecipazione da fissare nel bando di gara;
– alla determinazione della formula per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa ed ai casi in cui si attribuisce un punteggio esiguo ai fini della valutazione dell’offerta tecnica (es. pari a 20 punti) rispetto a quello attribuito all’offerta economica (es. pari ad 80);
– ai ribassi eccessivi proposti dagli operatori economici in sede di gara, che potrebbero essere correlati ad irregolarità nel rispetto degli obblighi derivanti dall’applicazione del CCNL di categoria ed all’applicazione di tariffe orarie non in linea con le tabelle sul costo medio del lavoro elaborate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali per tale settore;
– alle modalità di attuazione del cd. «cambio appalto», con particolare riferimento all’applicazione, da parte del nuovo aggiudicatario, di tariffe orarie inferiori al personale dell’impresa «uscente».
Stante il rilievo della questione ed il coinvolgimento di numerosi interessi di settore, l’Autorità ha ritenuto opportuno adottare la determinazione n. 9 del 22 luglio 2015, all’esito dei lavori di apposito tavolo tecnico e della consultazione pubblica avviati in conformità al Regolamento in tema di «Disciplina dell’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e della verifica dell’impatto della regolamentazione (VIR)», al fine di acquisire ulteriori valutazioni o aspetti critici da approfondire. Successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), come novellato dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici) nonché dell’ulteriore consultazione pubblica avviata nel 2017 si è ritenuto opportuno adottare un nuovo atto regolatorio nel settore di riferimento.
La presente delibera pertanto annulla e sostituisce la determinazione n. 9/2015.
2. Inquadramento normativo
L’attività di vigilanza privata è disciplinata da molteplici fonti normative e regolamentari. Tra queste, le principali sono rappresentate dal regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 recante «Testo unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza» e successive modifiche e integrazioni (di seguito, «Tulps») e dal regio decreto 6 maggio 1940, n. 635 di «Approvazione del regolamento per l’esecuzione del testo unico 18 giugno 1931-IX, n. 773, delle leggi di pubblica sicurezza» e successive modifiche e integrazioni (di seguito, «Regolamento»).
Devono indicarsi, altresì, il decreto del Ministro dell’interno 1° ottobre 2010, n. 269, modificato dal decreto ministeriale 25 febbraio 2015, n. 56, recante «Disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché dei requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per lo svolgimento di incarichi organizzativi nell’ambito degli stessi istituti» ed il decreto ministeriale del 4 giugno 2014, n. 115 «Regolamento recante disciplina delle caratteristiche e dei requisiti richiesti per l’espletamento dei compiti di certificazione indipendente della qualità e della conformità degli istituti di vigilanza privati, autorizzati a norma dell’art. 134 del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e dei servizi dagli stessi offerti. Definizione delle modalità di riconoscimento degli organismi di certificazione indipendente».
Tra le altre fonti normative intervenute in materia, devono altresì indicarsi le seguenti:
– decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, recante «Misure urgenti per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche» convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41; decreto ministeriale 8 agosto 2007 in tema di «organizzazione e servizio degli «steward» negli impianti sportivi»;
– decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144 recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale», convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 155; decreto del Ministro dell’interno 15 settembre 2009, n. 154 in tema di «Regolamento recante disposizioni per l’affidamento dei servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, nonché nell’ambito delle linee di trasporto urbano, per il cui espletamento non è richiesto l’esercizio di pubbliche potestà, adottato ai sensi dell’art. 18, comma 2, del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 luglio 2005, n. 155»;
– legge 15 luglio 2009, n. 94 recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»;
– decreto del Ministro dell’interno 6 ottobre 2009 recante «Determinazione dei requisiti per l’iscrizione nell’elenco prefettizio del personale addetto ai servizi di controllo delle attività di intrattenimento e di spettacolo in luoghi aperti al pubblico o in pubblici esercizi, le modalità per la selezione e la formazione del personale, gli ambiti applicativi e il relativo impiego, di cui ai commi da 7 a 13 dell’art. 3 della legge 15 luglio 2009, n. 94»;
– legge 16 gennaio 2003, n. 3 recante «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione»;
– decreto del Ministro dell’interno 28 dicembre 2012, n. 266 in tema di «Regolamento recante l’impiego di guardie giurate a bordo delle navi mercantili battenti bandiera italiana, che transitano in acque internazionali a rischio pirateria».
Ai fini del presente documento, tra le fonti sopra indicate, sembra opportuno richiamare in primo luogo il Tulps ed il Regolamento.
In particolare, il Tulps disciplina, al Titolo IV, l’attività di vigilanza privata, prevedendo due diverse modalità di svolgimento della stessa: quella contemplata dall’art. 133, ossia l’ipotesi in cui la vigilanza della proprietà privata sia esercitata direttamente dal proprietario dei beni (enti pubblici, enti collettivi, soggetti privati) attraverso l’impiego di guardie particolari alle proprie dipendenze e nominate dal Prefetto competente per territorio; una seconda ipotesi, prevista invece dall’art. 134, consistente nello svolgimento dell’attività di vigilanza, previa autorizzazione prefettizia, da parte di persone giuridiche private o singole persone fisiche che impieghino propri dipendenti, in via professionale ed in forma imprenditoriale, riconosciuti come guardie giurate, al servizio di proprietà mobiliari o immobiliari.
In particolare, l’art. 133 Tulps dispone che «gli enti pubblici, gli altri enti collettivi e i privati possono destinare guardie particolari alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari. Possono anche, con l’autorizzazione del prefetto, associarsi per la nomina di tali guardie da destinare alla vigilanza o custodia in comune delle proprietà stesse».
L’art. 134 Tulps dispone, invece, che «senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati. Salvo il disposto dell’art. 11, la licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell’Unione europea o siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto non colposo. I cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani. Il regolamento di esecuzione individua gli altri soggetti, ivi compreso l’institore, o chiunque eserciti poteri di direzione, amministrazione o gestione anche parziale dell’istituto o delle sue articolazioni, nei confronti dei quali sono accertati l’assenza di condanne per delitto non colposo e gli altri requisiti previsti dall’art. 11 del presente testo unico, nonché dall’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575. La licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà individuale».
La licenza per l’esercizio dell’attività di vigilanza è rilasciata dal Prefetto in presenza di particolari presupposti e requisiti indicati negli articoli 134, 136, 138 del Tulps.
La modalità di presentazione della domanda per il rilascio della licenza di cui all’art. 134 del Tulps è disciplinata dall’art. 257 del Regolamento, il quale prevede (tra l’altro) che tale istanza deve indicare il soggetto che la richiede, la composizione organizzativa e l’assetto proprietario di quest’ultimo, l’indicazione dell’ambito territoriale, anche in province o regioni diverse, in cui l’istituto intende svolgere la propria attività, l’indicazione dei servizi per quali si chiede l’autorizzazione, dei mezzi e delle tecnologie che si intendono impiegare. La domanda è corredata da un progetto organizzativo e tecnico-operativo dell’istituto, nonché dalla documentazione comprovante il possesso delle capacità tecniche occorrenti, proprie e delle persone preposte alle unità operative dell’istituto e la disponibilità dei mezzi finanziari, logistici e tecnici occorrenti per l’attività da svolgere e le relative caratteristiche, conformi alle disposizioni in vigore. Il successivo art. 257-bis disciplina, inoltre, le modalità di presentazione della domanda per ottenere la licenza di cui al citato art. 134 del Tulps per le attività di investigazione, ricerca e raccolta di informazioni per conto di privati.
L’art. 257, comma 4, del Regolamento demanda poi ad un decreto del Ministro dell’interno la definizione delle caratteristiche minime cui devono conformarsi il progetto organizzativo ed i requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi, nonché i requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dell’istituto e per lo svolgimento degli incarichi organizzativi.
A tale ultima disposizione regolamentare è stato dato seguito con il citato decreto del Ministro dell’interno 1° ottobre 2010, n. 269, con il quale sono stati disciplinati, in particolare, i seguenti aspetti:
– caratteristiche e requisiti organizzativi e professionali degli istituti di vigilanza privata;
– requisiti e qualità dei servizi;
– caratteristiche e requisiti organizzativi e professionali degli istituti di investigazione privata e di informazione commerciale;
– qualità dei servizi di investigazione privata e di informazione commerciale;
– requisiti professionali e formativi delle guardie particolari giurate;
– aggiornamento dei requisiti tecnico-professionali.
Il rispetto delle previsioni del citato decreto del Ministro dell’interno 269/2010 è certificato dagli organismi di certificazione indipendente iscritti nell’elenco tenuto dal Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza, consultabile sul sito web www.poliziadistato.it (art. 257-quinquies del Regolamento). Ai sensi dell’art. 6, comma 6, del sopra richiamato decreto del Ministro dell’interno 115/2014, tale certificato di conformità deve essere prodotto dal titolare della licenza ex art. 134 Tulps all’atto della comunicazione al Prefetto della completa attivazione dell’istituto di vigilanza e, comunque, non oltre sei mesi dal rilascio dell’autorizzazione. Successivamente, la certificazione deve essere prodotta in sede di rinnovo triennale della licenza. Pertanto, il possesso della predetta certificazione di conformità, in quanto attestante la sussistenza dei requisiti fissati dalla disciplina di settore, è un requisito essenziale per il conseguimento in via definitiva della licenza e per il suo mantenimento.
Al riguardo, si segnalano le numerose circolari emanate dal Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza volte a illustrare i contenuti del decreto ministeriale 115/2014 e a fornire le relative indicazioni applicative (circ. n. 557/PAS/U/015128/10089.D(1)REG2 dell’11 settembre 2014; circolare n. 557/PAS/U/14817/10089.D(1)REG2 del 13 ottobre 2015; circolare n. 557/PAS/U/16706/10089.D(1)REG2 del 16 novembre 2015; circolare n. 557/PAS/U/011211/10089.D(1)REG2 del 7 luglio 2016). Da ultimo, il predetto Dipartimento è intervenuto con la circolare numero 557/PAS/U/010348/10089.D(1)REG.2 del 6 luglio 2017 recante «Verifica dell’attuazione delle disposizioni del decreto del Ministro dell’interno 4 giugno 2014, n. 115, in materia di certificazione della qualità dei servizi e degli istituti di vigilanza privata. Adempimenti». In tale circolare, ribadito che non possono essere rilasciate o rinnovate licenze qualora l’operatore economico non produca nei termini prescritti la certificazione richiesta dalla normativa sopra richiamata, sono individuati i percorsi che potranno essere eseguiti dalla Prefetture per garantire la completa attuazione degli obblighi di certificazione. Nella richiamata circolare è rappresentata l’inderogabile necessità che le Prefetture competenti adottino i provvedimenti ex art. 137 Tulps (incameramento totale o parziale della cauzione) nei confronti degli istituti che non hanno ancora adempiuto agli obblighi di certificazione e diffidino gli stessi a produrre la certificazione prevista entro un termine ragionevole, decorso il quale dovranno essere avviate le procedure per i provvedimenti sanzionatori (sospensione o revoca della licenza).
La scelta dell’ordinamento di subordinare l’ingresso nel mercato della vigilanza privata a specifici e stringenti requisiti organizzativi e professionali, oggetto della suddetta certificazione, deriva dalla particolare natura dei servizi che gli operatori economici del settore sono chiamati a svolgere. Al riguardo, il citato decreto del Ministro dell’interno 269/2010 individua, all’Allegato D, sezione III, paragrafo 3.a, le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata «per mezzo delle dipendenti guardie giurate e con l’uso dei mezzi posti a loro disposizione», elencandoli come segue:
1. vigilanza fissa;
2. vigilanza saltuaria di zona;
3. vigilanza con collegamento di sistemi di allarme e di video-sorveglianza;
4. intervento su allarme;
5. vigilanza fissa antirapina;
6. vigilanza fissa mediante l’impiego di unità cinofile;
7. servizio di antitaccheggio;
8. custodia in caveau;
9. servizio di trasporto e scorta valori e servizi su apparecchiature automatiche, bancomat e casseforti;
10. servizio scorta a beni trasportati con mezzi diversi da quelli destinati al trasporto di valori, di proprietà dello stesso istituto di vigilanza o di terzi;
11. servizi di vigilanza e di sicurezza complementare previsti da specifiche norme di legge o di regolamento (D.M. 85/1999, decreto ministeriale 154/2009, ecc.).
Va considerato, inoltre, che l’art. 256-bis del Regolamento specifica al comma 2 che «rientrano (…) nei servizi di sicurezza complementare, da svolgersi a mezzo di guardie particolari giurate, salvo che la legge disponga diversamente o vi provveda la forza pubblica, le attività di vigilanza concernenti:
a) la sicurezza negli aeroporti, nei porti, nelle stazioni ferroviarie, nelle stazioni delle ferrovie metropolitane e negli altri luoghi pubblici o aperti al pubblico specificamente indicati dalle norme speciali, ad integrazione di quella assicurata dalla forza pubblica;
b) la custodia, il trasporto e la scorta di armi, esplosivi e di ogni altro materiale pericoloso, nei casi previsti dalle disposizioni in vigore o dalle prescrizioni dell’autorità, ferme restando le disposizioni vigenti per garantire la sicurezza della custodia, del trasporto e della scorta;
c) la custodia, il trasporto e la scorta del contante o di altri beni o titoli di valore; nonché la vigilanza nei luoghi in cui vi è maneggio di somme rilevanti o di altri titoli o beni di valore rilevante, appartenenti a terzi;
d) la vigilanza armata mobile e gli interventi sugli allarmi, salve le attribuzioni degli ufficiali e agenti di pubblica sicurezza;
e) la vigilanza presso infrastrutture del settore energetico o delle telecomunicazioni, dei prodotti ad alta tecnologia, di quelli a rischio di impatto ambientale, ed ogni altra infrastruttura che può costituire, anche in via potenziale, un obiettivo sensibile ai fini della sicurezza o dell’incolumità pubblica o della tutela ambientale».
Il successivo comma 3 precisa, poi, che «rientra altresì nei servizi di sicurezza complementare la vigilanza presso tribunali ed altri edifici pubblici, installazioni militari, centri direzionali, industriali o commerciali ed altre simili infrastrutture, quando speciali esigenze di sicurezza impongono che i servizi medesimi siano svolti da guardie particolari giurate».
E’ necessario, infine considerare che è affidata alle guardie giurate la custodia dei beni immobili e dei beni mobili in essi contenuti durante l’orario notturno o di chiusura al pubblico.
Con le disposizioni sopra indicate sono state, quindi, definite le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata (Allegato D, sezione III, paragrafo 3.a, del decreto del Ministro dell’interno 269/2010) e sono stati espressamente individuati i casi in cui, per speciali esigenze di sicurezza, il servizio di vigilanza privata deve essere svolto dalle guardie giurate.
Quanto sopra assume rilievo ai fini della definizione di una delle problematiche segnalate dalla Prefettura di Roma e rappresentata dai soggetti partecipanti al tavolo tecnico, ossia l’affidamento, da parte delle stazioni appaltanti, di servizi di portierato o global service in luogo del servizio di vigilanza privata, anche nei casi in cui la disciplina di settore imporrebbe il ricorso a quest’ultimo servizio.
Appare evidente che tale prassi sia da censurare in quanto contraria alla disciplina di settore che, invece, impone nei casi indicati dall’art. 256-bis del Regolamento e dal decreto del Ministro dell’interno 269/2010 il necessario ricorso alla vigilanza privata, stante la necessità di eseguire peculiari prestazioni a tutela di specifiche esigenze di sicurezza.
Le guardie giurate, infatti, come sopra illustrato, devono essere in possesso di specifica licenza prefettizia. Inoltre, mentre la vigilanza privata si caratterizza per l’esercizio di poteri di intervento diretto per la difesa dell’immobile, l’attività di portierato o di guardiania non implica un obbligo di difesa attiva degli immobili, ma una normale tutela della proprietà privata e della funzionalità di aziende o complessi operativi (es. registrazione dei visitatori, controllo ed ispezione degli accessi; regolazione dell’afflusso delle vetture ai parcheggi; obbligo, in caso di allarme, di darne immediata notizia al servizio tecnico ed ai soggetti individuati dal proprietario dell’immobile o dall’amministrazione per i necessari interventi; etc.).
Le società di portierato, di global service e di servizi integrati, pur iscritte alla Camera di Commercio, invece, possono svolgere esclusivamente le attività indicate nel loro oggetto sociale, in quanto operanti senza le autorizzazioni ed i controlli cui invece sono soggetti gli istituti di vigilanza privata.
L’attività di portierato, a seguito dell’abrogazione dell’iter procedimentale di cui all’art. 62 Tulps e agli articoli 111, 113, 114 Regolamento, per effetto della legge 24 novembre 2000, n. 340 (disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi), non è più soggetta ad autorizzazione di polizia ed è dunque liberalizzata (permane l’autorizzazione del Prefetto all’uso della divisa ai sensi dell’art. 230 Regolamento).
Appare evidente che le caratteristiche che contraddistinguono la vigilanza privata dai servizi fiduciari rendono la prima non assimilabile e non sostituibile dai secondi.
Sulla questione sembra utile citare anche il Vademecum operativo del Ministero dell’interno (Disposizioni operative per l’attuazione del decreto del Ministro dell’interno 1.12.2010, n. 269) allegato alla circolare 557/PAS/U/004935/10089.D(1)Reg, nel quale si afferma che con il decreto del Ministro dell’interno 269/2010 viene «definita la spinosa questione della differenza tra i servizi di portierato e quelli di vigilanza privata», rientrando, evidentemente, i primi per esclusione nelle fattispecie non espressamente previste dalla norma in esame. La linea scelta dal decreto, peraltro, appare coerente con il consolidato orientamento della giurisprudenza che già faceva distinzione tra la mera vigilanza passiva – che può essere espletata da personale diverso dalle guardie giurate – ed «i …compiti di vigilanza attiva – che possono comportare l’uso delle armi, la prevenzione e l’immediata repressione dei reati in concorso con le forze dell’ordine, che ricadono nel regime di controllo e di autorizzazione previsto dagli articoli 133 e seguenti del Tulps….», ritenendo tali compiti come assimilabili a quelli svolti «…dagli appartenenti alla forze di polizia e distinta, per tale ragione, dalla attività di portierato la quale si caratterizza invece per essere destinata a garantire l’ordinata utilizzazione dell’immobile da parte dei fruitori senza che vengano in alcun modo in rilevo (se non in via del tutto mediata ed indiretta) finalità di prevenzione e sicurezza» (Cfr. Cassazione Penale, sezione I, 12.04.2006, n. 14258; Consiglio di Stato, sezione VI, 14.02.2007, n. 654; tribunale amministrativo regionale Lombardia, sezione III, 25.5.2010, n. 1674).
Alla luce di quanto sopra esposto, la commistione tra il servizio di vigilanza privata e servizi fiduciari (portierato e reception) non risulta conforme al dettato normativo in esame; infatti la diversità delle prestazioni di cui si compongono i predetti servizi non consente di considerarli sostituibili. Pertanto si ritiene necessario richiamare le stazioni appaltanti ad una attenta e scrupolosa applicazione delle disposizioni sopra indicate, ed in particolare del decreto del Ministro dell’interno 269/2010, che, come visto, individua all’Allegato D, sez. III, par. 3.a, le tipologie di servizi demandati agli istituti di vigilanza privata ed i casi in cui, per speciali esigenze di sicurezza, il servizio di vigilanza deve essere svolto dalle guardie giurate, escludendo quindi la possibilità di affidare tali servizi alle società di portierato.
3. Suddivisione in lotti
Alcuni partecipanti al tavolo tecnico e alla consultazione hanno evidenziato come le stazioni appaltanti, oltre a non richiedere in taluni casi l’autorizzazione prefettizia normativamente prevista per il servizio di vigilanza privata, finiscono spesso per aggregare attività eterogenee in un’unica procedura. Tale aggregazione potrebbe condurre alla mancata distinzione tra i servizi per i quali è prevista l’apposita autorizzazione e quelli per cui la legge non impone particolari requisiti di idoneità (cfr. Sentenza del Consiglio di Stato, 30 giugno 2017, sezione V, n. 3182).
Qualora non siano richiesti in gara tali requisiti si rischia che pervengano offerte da soggetti non vincolati né al possesso della licenza di cui all’art. 134 Tulps, né al rispetto dei contratti di settore, con evidenti rischi per lo sviluppo di un corretto confronto competitivo.
Fermo restando che la stazione appaltante ha l’onere di indicare nel bando di gara che il servizio di vigilanza privato non può essere svolto senza la necessaria licenza di cui sopra, la stessa deve poi verificare che all’atto della stipula del contratto di affidamento del servizio de quo il soggetto aggiudicatario possegga detta autorizzazione e la mantenga per tutta l’esecuzione del contratto. In sostanza, vi è il rischio che l’offerta dell’aggiudicatario, se pur astrattamente più conveniente, non sia idonea a garantire la qualità e la regolare esecuzione del servizio di vigilanza privata in quanto l’aggiudicatario, se è privo della licenza di cui all’art. 134 Tulps, non può effettuare interventi di vigilanza attiva a tutela del patrimonio e del pubblico, quali ad esempio i servizi antirapina, non disponendo di personale a ciò autorizzato e in possesso delle necessarie qualifiche professionali ed attrezzature.
Ciò premesso, al fine di generare risparmi di spesa, potrebbe comunque essere conveniente per la stazione appaltante effettuare un’unica gara comprendente più servizi, quali la vigilanza armata, la custodia e il portierato, prevedendo però lotti distinti per ciascun servizio. In tal caso, rimane l’obbligo per la stazione appaltante di indicare dettagliatamente nei documenti di gara i singoli servizi richiesti, precisando in relazione a ciascuno di essi i requisiti necessari per la partecipazione alla gara e quelli necessari per l’esecuzione, ivi comprese le autorizzazioni.
Al riguardo, si ricorda che ai sensi dell’art. 51 del decreto legislativo 18 aprile 2016, del Codice dei contratti pubblici, nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all’art. 3, comma 1, lettera qq), del citato Codice dei contratti pubblici ovvero in lotti prestazionali di cui all’art. 3, comma 1, lettera ggggg) del medesimo Codice, in conformità alle categorie o specializzazioni nel settore dei lavori, servizi e forniture. Le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139 del Codice dei contratti pubblici. Nel caso di servizi da svolgere presso vasti complessi immobiliari, come gli aeroporti o le stazioni, o eventi/fiere, la suddivisione può riguardare anche l’estensione geografica.
Nel caso di ricorso al servizio di cd. global service – deciso dalla stazione appaltante nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale – la stazione appaltante indica quale indispensabile requisito di partecipazione il possesso dell’autorizzazione prefettizia.
4. Ribassi eccessivi
I soggetti intervenuti al tavolo tecnico e alle due consultazioni, soprattutto la prima, lamentano che nelle procedure di gara per l’affidamento del servizio di vigilanza privata vengono spesso presentate offerte non remunerative e/o che non ne garantiscono l’effettiva qualità. Il fenomeno, secondo quanto segnalato, può essere causato da diversi fattori:
(i) partecipazione alla gara di agenzie d’affari ex art. 115 Tulps, che individuano successivamente gli istituti a cui affidare i servizi, proponendo delle tariffe che non coprono nemmeno i costi di gestione;
(ii) partecipazione alla gara di soggetti che non sono provvisti della licenza di cui all’art. 134 Tulps e che, pertanto, non sopportano gli oneri sostenuti dagli istituti di vigilanza autorizzati;
(iii) eccessiva competizione sul prezzo, determinata dall’affidamento secondo il criterio del prezzo più basso, che potrebbe essere eliminata scegliendo come criterio di aggiudicazione quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo (nel seguito OEPV).
In relazione alla riferita prassi di invitare alle procedure per l’affidamento del servizio di vigilanza privata non gli istituti di cui all’art. 134 Tulps, ma società intermediarie, agenzie di affari di cui all’art. 115 Tulps, che successivamente individuano i prestatori del predetto servizio, si osserva che la stessa costituisce in buona sostanza una delega di funzioni pubblicistiche in contrasto con la normativa di settore. Difatti l’art. 37 del Codice dei contratti pubblici consente alle stazioni appaltanti ed agli enti aggiudicatori di acquistare lavori, servizi e forniture facendo ricorso a centrali di committenza, ma in questa categoria non rientrano le agenzie di cui sopra (cfr. deliberazione dell’Autorità 6 marzo 2013, n. 7).
Con riferimento ai requisiti di partecipazione, si osserva che la stazione appaltante deve prevedere requisiti coerenti con la normativa di settore, che assicurino un’effettiva concorrenza nel mercato del servizio di vigilanza privata.
Sul punto si ricorda che «senza licenza del prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di privati» (art. 134 Tulps). Tale autorizzazione è rilasciata dal Prefetto su istanza dell’interessato, previa verifica della sussistenza di determinati presupposti e requisiti, espressamente previsti e disciplinati dagli articoli 11, 134, 136 e 138 Tulps e dagli articoli 256-bis e 257 ss. del regolamento di esecuzione. La stessa è, quindi, un provvedimento di autorizzazione intuitu personae, riconducibile, ai fini della partecipazione alle procedure di aggiudicazione nella categoria generale dei requisiti di idoneità professionale (cfr. ANAC, parere di pre-contenzioso, 8 aprile 2015 n. 48; e 14 ottobre 2014 n. 64).
Conseguentemente, secondo l’orientamento più recente dell’Autorità, il possesso della licenza prevista e disciplinata dall’art. 134 Tulps – riferita ad una o più province – costituisce un requisito di partecipazione alle gare pubbliche per l’affidamento di servizi di vigilanza privata, da ricondurre nell’ambito della categoria generale dei requisiti di idoneità professionale di cui all’art. 83, comma 1, lettera a), del Codice dei contratti pubblici.
Corre, tuttavia, l’obbligo di evidenziare che nel rispetto dei principi di ragionevolezza, non discriminazione e favor partecipationis, tale requisito di ammissione deve ritenersi soddisfatto anche laddove il concorrente sia già titolare di una licenza prefettizia ex art. 134 del Tulps per un determinato territorio provinciale e abbia presentato istanza per l’estensione dell’autorizzazione in altra Provincia – quale territorio di riferimento per l’espletamento del servizio previsto in gara – purché la relativa autorizzazione (estensione) pervenga prima della stipula del contratto. Sul punto va, infatti, considerato che in virtù del citato art. 257-ter, comma 5, «ai fini dell’estensione della licenza ad altri servizi o ad altre province, il titolare della stessa notifica al prefetto che ha rilasciato la licenza i mezzi, le tecnologie e le altre risorse che intende impiegare, nonché la nuova o le nuove sedi operative se previste ed ogni altra eventuale integrazione agli atti e documenti di cui all’art. 257, commi 2 e 3.
I relativi servizi hanno inizio trascorsi novanta giorni dalla notifica, termine entro il quale il prefetto può chiedere chiarimenti ed integrazioni al progetto tecnico-organizzativo e disporre il divieto dell’attività qualora la stessa non possa essere assentita, ovvero ricorrano i presupposti per la sospensione o la revoca della licenza, di cui all’art. 257-quater».
Tale disposizione prevede, dunque, che l’estensione della licenza ad altri servizi o ad altre Province è subordinata a una notifica dell’interessato alla competente prefettura, corredata dalla necessaria documentazione. L’estensione dell’attività di vigilanza autorizzata dal provvedimento prefettizio in altre Province può essere avviata solo dopo il decorso del termine di 90 giorni dalla presentazione della predetta istanza, termine entro il quale il Prefetto può chiedere chiarimenti ed integrazioni al progetto tecnico-organizzativo prodotto e disporre il divieto dell’attività, qualora la stessa non possa essere assentita. Tale richiesta ai sensi dell’art. 257-ter, comma 5, è dunque un posterius non un prius rispetto al conseguimento dell’autorizzazione ex art. 134 Tulps.
Conseguentemente il concorrente in possesso della predetta licenza e che abbia presentato istanza di estensione ex art. 257-ter, comma 5, Regolamento, può concorrere alla gara se dimostra di aver già richiesto l’estensione entro il termine previsto per la presentazione della domanda di partecipazione (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, 2 marzo 2011, n. 1315 secondo cui «l’esclusione dell’appellante, che pure aveva presentato tempestiva domanda di estensione territoriale dell’autorizzazione prefettizia, deve reputarsi illegittimo e merita di conseguenza l’annullamento, con conseguente riammissione della società alla procedura ai fini dell’esame dell’offerta» e sezione VI, 2 maggio 2012 n. 2515).
Dunque, mentre il possesso della licenza ex art. 134 Tulps costituisce condizione di partecipazione alle gare per l’affidamento dei servizi di vigilanza privata, il conseguimento dell’estensione territoriale o ad altre attività, ex art. 257, comma 5 sopra citato, costituisce una condizione di stipulazione del contratto, dopo l’aggiudicazione.
Con riferimento ai criteri di aggiudicazione si osserva che la scelta tra il criterio del minor prezzo e quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo è ancorata alle caratteristiche dell’oggetto del contratto.
Ai sensi dell’art. 95, comma 3, del Codice dei contratti pubblici sono aggiudicati «esclusivamente» sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo i servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’art. 50, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, ossia quelli nei quali il costo della manodopera è pari almeno al 50 per cento dell’importo totale del contratto.
Il comma 4 del citato art. 95 individua, invece, le fattispecie nelle quali è consentito l’utilizzo del criterio del minor prezzo.
Per quel che qui rileva, nelle residuali ipotesi in cui il costo della manodopera fosse inferiore al 50% del valore dell’appalto, tale criterio può essere scelto nei casi in cui il servizio richiesto abbia caratteristiche standardizzate o condizioni definite dal mercato (art. 95, comma 4, lettera b)), oppure, in caso di servizi di importo fino a 40.000 euro, nonché per i servizi di importo pari o superiore a 40.000 euro e sino alla soglia comunitaria, solo se caratterizzati da elevata ripetitività, fatta eccezione per quelli di notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo. Nel caso in cui la stazione appaltante ritenga che sussistano le condizioni per l’applicazione del criterio del minor prezzo dovrà definire puntualmente negli atti di gara le condizioni tecniche per l’esecuzione del servizio, redigendo un progetto completo e accurato e, al fine di prevenire comportamenti opportunistici sia in fase di offerta che in fase esecutiva, dovrà altresì verificare che le offerte presentate corrispondano a quanto richiesto dai documenti di gara e dalla disciplina di settore.
Conseguentemente, l’unica differenza nelle offerte presentate dai concorrenti sarà data dal prezzo di realizzazione dei servizi come predeterminati dalla stazione appaltante.
Secondo l’orientamento palesato dalla recente giurisprudenza amministrativa (si veda per tutti la Sentenza del Consiglio di Stato n. 2014/2017), il rapporto fra comma 3 (ricorso all’OEPV per gli appalti ad alta intensità di manodopera) e comma 4 del predetto art. 95 (possibilità di utilizzo del minor prezzo negli specifici casi contemplati) sarebbe da interpretare nel senso della prioritaria applicazione del comma 3, anche sulla base di quanto stabilito dall’art. 1, comma 1, lettera gg) della legge delega (legge n. 11/2016), talché, per i servizi ad alta intensità di manodopera, è obbligatorio il ricorso all’OEPV.
Nella documentazione di gara, quale che sia il criterio di aggiudicazione utilizzato, dovranno essere indicate, ad esempio:
– la tipologia di vigilanza richiesta (fissa, ronda, ecc.);
– il numero di personale impiegato nei diversi servizi, con particolare riferimento al personale in possesso di autorizzazione prefettizia, e la stima dei costi utilizzata per determinare la base d’asta, in applicazione di quanto previsto dall’art. 23, comma 16, del Codice dei contratti pubblici, come novellato sul punto dal decreto legislativo n. 56/2017;
– il numero delle pattuglie/vetture che devono essere disponibili per interventi ed emergenze;
– il numero e le caratteristiche delle frequenze radio per i collegamenti con le stazioni di polizia;
– il numero e la dislocazione delle telecamere necessarie per la video-sorveglianza;
– l’esperienza richiesta al personale con riferimento ai servizi da espletare;
– l’esperienza nelle procedure e modalità di intervento operativo.
In caso di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo è possibile prevedere dei criteri di valutazione tecnica che attengano alla qualità del progetto e che non privilegino, invece, aspetti legati alla dimensione d’impresa. Tra gli aspetti che possono premiare la qualità vi sono la formazione per il personale, l’organizzazione del servizio, il progetto tecnico, anche in relazione alle attrezzature e apparecchiature tecnologiche, le modalità di intervento in caso di emergenza attraverso strutture/attrezzature dedicate, l’offerta di servizi aggiuntivi rispetto a quelli richiesti nel capitolato. Non dovrebbero essere compresi di norma nell’ambito dei criteri di valutazione dell’offerta quegli elementi, il cui possesso oltre una certa quantità predefinita ex ante dalla stazione appaltante, da un lato, non comporti un beneficio evidente per la qualità del servizio offerto, e, dall’altro, possa avere, invece, l’effetto di privilegiare gli operatori di maggiori dimensioni (ad esempio criteri legati al numero di pattuglie o al personale in possesso di autorizzazione prefettizia oltre a quello necessario per garantire il servizio).
Per l’utilizzo del criterio dell’OEPV si fa rinvio alle Linee-Guida n. 2 di attuazione del decreto legislativo n. 50/2016, recanti «Offerta economicamente più vantaggiosa», ricordando che, ai sensi dell’art. 95, comma 10-bis del Codice dei contratti pubblici, come novellato dal decreto legislativo n. 56/2017 (decreto correttivo), il peso complessivo della componente economica dell’offerta non può superare il 30%.
E’ inoltre necessario che la documentazione di gara suddivida l’importo globale tra i vari servizi, ciò sia ai fini della formulazione dell’offerta, sia per la corretta quantificazione dei requisiti di partecipazione connessi al fatturato minimo aziendale, la cui richiesta, secondo l’art. 83, comma 5, del Codice dei contratti pubblici, deve essere motivata nei documenti di gara.
Al fine di impedire che la concorrenza sul prezzo si traduca in offerte economiche tali da compromettere la qualità delle prestazioni o le condizioni di lavoro e di sicurezza del personale impiegato nello svolgimento della commessa, è necessario che le stazioni appaltanti procedano ad effettuare la verifica sulla congruità, serietà, sostenibilità e realizzabilità dell’offerta secondo quando disposto dall’art. 97 del Codice dei contratti pubblici, valutando, in particolare, se il prezzo offerto sia idoneo a garantire il rispetto di tutti i costi attinenti al servizio previsto nel capitolato tecnico, tra cui il costo del personale, che deve essere dichiarato dall’impresa concorrente, ai sensi dell’art. 95, comma 10, primo periodo, del Codice dei contratti pubblici, come modificato sul punto dal decreto legislativo n. 56/2017, ed espressamente verificato dalla stazione appaltante (art. 95, comma 10, secondo periodo). E’ in ogni caso obbligatorio il rispetto dei trattamenti minimi salariali inderogabili per legge o sulla base di fonti autorizzate dalla legge (art. 97, comma 6 del Codice). I valori del costo del lavoro potranno essere desunti dalle apposite tabelle elaborate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell’art. 23, comma 16, del medesimo Codice. L’impresa concorrente ha comunque la possibilità di giustificare adeguatamente eventuali scostamenti rispetto al costo medio del lavoro individuato nelle predette tabelle, fatto salvo il rispetto dei minimi salariali inderogabili.
La stazione appaltante, inoltre, nel verificare la serietà dell’offerta potrà considerare anche la percentuale di utile indicata dal concorrente. Sebbene secondo alcuni partecipanti alla consultazione quest’ultima non potrebbe essere pari a zero in considerazione dello scopo di lucro perseguito dagli operatori economici; sul punto occorre considerare che secondo la giurisprudenza amministrativa non è possibile fissare una quota rigida di utile al di sotto della quale l’offerta debba considerarsi per definizione incongrua, dovendosi invece avere riguardo alla serietà della proposta contrattuale, atteso che anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio importante (cfr. Sentenze del Consiglio di Stato, sezione III, 1° marzo 2018, n. 1278; sezione VI, 16 gennaio 2009, n. 215 e sezione IV, 23 luglio 2012, n. 4206).
5. Cambio appalto e imponibile di manodopera
Ai fini dell’inquadramento generale della problematica in esame, si richiama l’art. 50 del Codice dei contratti pubblici, ai sensi del quale per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi diversi da quelli aventi natura intellettuale, con particolare riguardo a quelli relativi a contratti ad alta intensità di manodopera, i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti inseriscono, nel rispetto dei principi dell’Unione europea, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. Al riguardo, si ritiene che tali clausole rappresentino condizioni di esecuzione, che producono effetti nella fase esecutiva dell’appalto.
Come rilevato dalla Corte costituzionale – pronuncia n. 68 del 3 marzo 2011 – la clausola in questione opera nell’ipotesi di cessazione d’appalto e subentro di nuove imprese appaltatrici e risponde all’esigenza di assicurare la continuità del servizio e dell’occupazione, nel caso di discontinuità dell’affidatario.
In linea generale, si precisa che per costante giurisprudenza (cfr. tribunale amministrativo regionale Toscana, sentenza del 2.1.2018, n. 18; tribunale amministrativo regionale Calabria Reggio Calabria, sentenza del 15.3.2017, n. 209; Sentenza del Consiglio di Stato, sezione III, 9 dicembre 2015, n. 5598; sentenza Consiglio di Stato, sez. III, 10 maggio 2013, n. 2533) detta clausola non deve essere intesa come un obbligo di totale riassorbimento dei lavoratori del pregresso appalto, anche ove la stazione appaltante sia tenuta ad inserirla nella disciplina di gara per disposizione di contrattazione collettiva nazionale e/o in base all’art. 50 del Codice dei contratti pubblici e, pertanto, non sono previsti automatismi assoluti nell’applicazione della clausola in fase esecutiva. Infatti «l’amministrazione non può ritenersi vincolata in maniera indefinita ad utilizzare un servizio con un numero di addetti variabile solo in aumento, nonostante l’evoluzione tecnologica consenta la realizzazione del servizio con un numero minore, con corrispondente risparmio di spesa pubblica» (ibidem, sentenza n. 2533/2013).
Viceversa, la clausola deve essere interpretata nel senso che il riassorbimento sia armonizzabile con l’organizzazione dell’impresa subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto, in modo da non attribuirle un effetto escludente. La clausola, pertanto, può essere inserita soltanto nel caso in cui il nuovo affidamento abbia ad oggetto il medesimo servizio per il quale è cessato l’appalto; conseguentemente è necessario che la stazione appaltante definisca correttamente l’oggetto dell’appalto secondo un’esatta applicazione del decreto del Ministro dell’interno 269/2010, evitando di qualificare come servizio di vigilanza privata attività che invece ne esulano.
Secondo il consolidato orientamento dell’Autorità sul punto l’obbligo di reperimento dei lavoratori dal precedente affidatario può essere consentito soltanto previa valutazione di compatibilità con l’organizzazione di impresa, nel duplice senso che sia il numero dei lavoratori sia la loro qualifica devono essere armonizzabili con l’organizzazione d’impresa della ditta aggiudicataria e con le esigenze tecnico-organizzative previste (cfr. Sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 26 maggio 2015, n. 2637; parere sulla normativa, AG 44/2013). La clausola sociale, infatti, non può alterare o forzare la valutazione dell’aggiudicatario in ordine al dimensionamento dell’impresa e, in tal senso, non può imporre un obbligo di integrale riassorbimento dei lavoratori del pregresso appalto, senza adeguata considerazione delle mutate condizioni del nuovo appalto, del contesto sociale e di mercato o del contesto imprenditoriale in cui dette maestranze si inseriscono. La giurisprudenza, infatti, ha affermato che «l’appaltatore subentrante deve prioritariamente assumere gli stessi addetti che operavano alle dipendenze dell’appaltatore uscente, a condizione che il loro numero e la loro qualifica siano armonizzabili con l’organizzazione d’impresa prescelta dall’imprenditore subentrante». Aggiungendo, inoltre, che alla clausola sociale deve essere data una lettura «flessibile», secondo il diritto vivente e, pertanto i lavoratori che non trovano spazio nell’organigramma dell’appaltatore subentrante o vengono adibiti ad altri servizi o sono destinatari delle norme in materia di ammortizzatori sociali (cfr. Sentenze del Consiglio di Stato, sezione III, 30 marzo 2016, n. 1255; Consiglio di Stato, sezione IV, 2 dicembre 2013, n. 5725; in argomento si veda anche il parere di pre-contenzioso dell’Autorità, n. 44/2010 e il parere sulla normativa, AG 41/2012).
Per il servizio di vigilanza privata, il C.C.N.L. di categoria a partire dal 1° febbraio 2013 ha introdotto una disciplina contrattuale cogente in materia di cambio appalto, stabilendone la relativa procedura (artt. 24-27 C.C.N.L. 2013-2015).
In disparte da qualsiasi analisi su detta disciplina, istituita «al precipuo fine di mantenere i livelli di occupazione» e per evitare, nei confronti dei lavoratori, soluzione di continuità fra i due appalti, in questa sede occorre individuare la corretta applicazione della clausola sociale nelle procedure di gara per l’affidamento del servizio di vigilanza privata, al fine di assicurare piena trasparenza nella procedura, circolarità delle informazioni e creare i presupposti affinché la stazione appaltante sia in condizione di valutare l’attendibilità dell’offerta.
In particolare la presenza di specifici obblighi in materia di assorbimento del personale determina la necessità di prevedere che nella documentazione di gara sia contenuta in maniera chiara ed espressa la clausola sociale, quale modalità di esecuzione dell’appalto. A titolo esemplificativo, il tenore della predetta clausola potrebbe essere il seguente: «Al fine di garantire i livelli occupazionali esistenti, si applicano le disposizioni previste dalla contrattazione collettiva in materia di riassorbimento del personale». Al riguardo, si deve richiamare il costante indirizzo interpretativo di questa Autorità, secondo il quale è opportuno che la stazione appaltante:
a) dia alla clausola adeguata e autonoma evidenza, trasponendola in un articolo specifico rubricato «clausola sociale» o espressione equivalente;
b) riporti una clausola di identico tenore nello schema di contratto;
c) curi che gli operatori economici concorrenti dichiarino in sede di offerta di accettare le condizioni di esecuzione.
Nella documentazione di gara, inoltre, nell’ambito dei dati e informazioni utili alla definizione dell’oggetto dell’appalto, la stazione appaltante deve prevedere l’indicazione del personale che attualmente svolge il servizio, corredata dall’indicazione del livello, comprensivo di eventuali scatti di anzianità, e della retribuzione corrisposta al lavoratore. Ciò in quanto la previsione di cui all’art. 50 del Codice dei contratti pubblici, laddove prevede l’inserimento della clausola sociale nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti è destinata a salvaguardare il principio, non eludibile, che il concorrente sia messo in condizione di conoscere, prima della presentazione dell’offerta, quali oneri assume con la partecipazione alla gara (si veda la Sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 6 agosto 2013, n. 19).
Non da ultimo, l’indicazione nella documentazione di gara del personale impiegato nell’appalto e della relativa retribuzione, costituisce un elemento per la valutazione dell’attendibilità dell’offerta, la cui sostenibilità è calcolata anche con riferimento al numero di personale uscente.
Dopo l’aggiudicazione, in caso di subentro di altro istituto di vigilanza nei medesimi servizi già oggetto del precedente appalto, con riferimento all’istituto uscente e agli altri soggetti individuati dal C.C.N.L. 2013-2015 (organizzazioni sindacali, istituto subentrante, Prefettura e Questura), trova applicazione la disciplina prevista dagli articoli 24-27 del citato C.C.N.L.. Il mancato rispetto della clausola sociale, costituendo la stessa modalità di esecuzione del contratto, potrà essere valutata dalla stazione appaltante di volta in volta, al fine di verificare se l’appaltatore abbia commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione del contratto.
6. Entrata in vigore
Le presenti Linee-guida aggiornate al decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, entrano in vigore quindici giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
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