CONSIGLIO NAZIONALE DOTT. COMM. E ESP. CON. – Circolare 03 dicembre 2013, n. 36/IR
Recenti chiarimenti sugli obblighi antiriciclaggio dei professionisti: alcuni profili di criticità
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Obblighi antiriciclaggio del collegio sindacale. – 2.1. Comunicazione al MEF ex art. 51 del d.lgs. n. 231/2007. – 2.2. Segnalazione di operazioni sospette ex art. 41 del d.lgs. n. 231/2007. – 3. Adeguata verifica della clientela. – 3.1. Identificazione del cliente. – 3.2. Identificazione del titolare effettivo. – 3.3. Obblighi semplificati. – 4. Conservazione e registrazione delle informazioni. – 4.1. Modalità di registrazione. – 4.2. Casistica: la registrazione dei contratti di affitto. – 5. Limitazioni all’uso del denaro contante. – 6. Segnalazione di operazioni sospette. – 6.1. Termine di prescrizione. – 6.2. Cessioni di quote di s.r.l.
1. Premessa
Nei giorni scorsi sono state diffuse alcune risposte fornite dal Ministero dell’economia e delle finanze, dall’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia e dalla Guardia di Finanza a fronte di quesiti aventi ad oggetto l’adozione delle misure antiriciclaggio previste dal d.lgs. n. 231/2007 (di seguito anche: Decreto) da parte dei professionisti destinatari della normativa (NOTA 1).
Attese le numerose lacune della disciplina generale e la mancanza dei regolamenti previsti per l’attuazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela e per quelli di conservazione e registrazione dei dati, è divenuto sempre più frequente nel corso degli anni il ricorso alle sopra elencate autorità (NOTA 2) al fine di ottenere chiarimenti in merito alle modalità di predisposizione delle misure imposte ex lege (NOTA 3).
Le tematiche affrontate nei quesiti rispecchiano i problemi comunemente riscontrati dai professionisti in fase di adempimento dei principali obblighi antiriciclaggio: dalla corretta individuazione delle prestazioni oggetto della adeguata verifica alla identificazione del titolare effettivo; dalla conservazione dei dati nel fascicolo della clientela alla registrazione delle operazioni; dalla segnalazione di operazioni sospette alle transazioni in denaro contante. Particolare attenzione è posta altresì alla individuazione univoca dei soggetti destinatari degli obblighi aventi ad oggetto una comunicazione nei confronti delle autorità preposte alla vigilanza, nonché alla natura e agli esiti delle attività di verifica poste in essere dagli organi di controllo presso gli studi professionali.
Le risposte fornite da MEF, UIF e GdF in parte confermano alcune interpretazioni ormai consolidate nella prassi comune in materia di adempimenti antiriciclaggio, mentre, in relazione a specifici adempimenti, smentiscono il modus operandi finora ritenuto corretto.
Ritenendo che i suggerimenti contenuti nei chiarimenti in oggetto possano contribuire – se non a risolvere – quanto meno ad attenuare i numerosi dubbi normalmente correlati alla predisposizione delle misure antiriciclaggio da parte dei professionisti, la presente circolare analizza le principali questioni affrontate, comparandole con le posizioni in precedenza assunte sull’argomento anche nei documenti del CNDCEC e dell’IRDCEC, nel tentativo di fornire una soluzione univoca ai problemi maggiormente ricorrenti.
2. Obblighi antiriciclaggio del collegio sindacale
L’art. 12, comma 3-bis, del d.lgs. n. 231/2007 (rubricato “Professionisti”) recita: “I componenti degli organi di controllo, comunque denominati, per quanto disciplinato dal presente decreto e fermo restando il rispetto del disposto di cui all’articolo 52, sono esonerati dagli obblighi di cui al titolo II, capi I, II e III”. La citata disposizione non ha sciolto del tutto i dubbi insorti sull’argomento sin da quando gli organi di controllo sono stati coinvolti attivamente nel complesso sistema di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo.
In particolare, se per effetto dell’art. 52 gli specifici obblighi di vigilanza sull’adempimento della normativa antiriciclaggio posti in capo agli organi di controllo delle società destinatarie del d.lgs. n. 231/2007 appaiono ormai chiaramente definiti, non altrettanto può dirsi per ciò che concerne gli adempimenti effettivamente richiesti agli organi di controllo di tutte le altre società, né per quanto riguarda le misure imposte ai singoli componenti degli organi di controllo.
Uno dei quesiti maggiormente ricorrenti riguarda proprio la modalità, individuale o collegiale, di predisposizione delle misure antiriciclaggio da parte del collegio sindacale incaricato della revisione legale dei conti. Sul punto, l’IRDCEC aveva argomentato come gli adempimenti legati all’adeguata verifica della clientela, alla registrazione dei dati e alla segnalazione di operazioni sospette gravassero in capo ai sindaci-revisori e non al collegio, in quanto nell’ipotesi descritta i componenti dell’organo di controllo, essendo necessariamente iscritti nel registro dei revisori legali dei conti, rientrano tra i soggetti destinatari della normativa ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b) del Decreto (NOTA 4).
A parere del MEF, interpellato sull’argomento, la soluzione al quesito necessita di una lettura combinata delle disposizioni di cui agli artt. 12, comma 3-bis, e 13 del d.lgs. n. 231/2007. In particolare, il MEF rammenta che la ratio dell’intervento legislativo con cui è stato introdotto il comma 3-bis dell’art. 12 risiede nell’esigenza di chiarire che “i singoli componenti degli organi di controllo non svolgono una prestazione professionale per conto della società, essendo invece inquadrabili nell’ambito di un rapporto organico con la medesima”.
Per effetto del richiamo operato dall’art. 12, comma 3-bis all’art. 52 del d.lgs. n. 231/2007, nelle società destinatarie della normativa antiriciclaggio gli obblighi di vigilanza permangono in capo a ciascun componente del collegio sindacale, tenuto ad effettuare le comunicazioni previste dal secondo comma del predetto art. 52 (NOTA 5). Tale interpretazione trova conferma nelle disposizioni sanzionatorie del Decreto e, in particolare, nell’art. 55, comma 5, che alla violazione degli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 52 collega una sanzione di tipo penale a carattere personale.
Con riferimento ai sindaci di società non destinatarie della normativa antiriciclaggio, la circostanza che non operi la deroga prevista dal comma 3-bis dell’art. 12 (in merito al rispetto degli obblighi posti dall’art. 52) rafforza – a parere del MEF – le argomentazioni sopra esposte: anche in tal caso, dunque, i sindaci sono tenuti singolarmente ad ottemperare agli obblighi di legge.
Nella risposta ministeriale si aggiunge che, attesa la sanzionabilità penale dell’obbligo a carico del singolo sindaco, nessuna valenza esimente può essere attribuita alla eventuale verbalizzazione del dissenso da parte di uno dei componenti dell’organo, la cui responsabilità deve dunque essere valutata caso per caso, tenuto conto delle specifiche circostanze.
2.1. Comunicazione al MEF ex art. 51 del d.lgs. n. 231/2007
Nel disporre l’esonero dagli adempimenti di cui al Titolo II del d.lgs. n. 231/2007, l’art. 12, comma 3-bis, nulla ha disposto in merito all’obbligo di comunicazione delle violazioni al divieto di trasferimento di contante o di titoli al portatore imposto dall’art. 49. L’obbligo in questione è inserito nel Titolo III del d.lgs. n. 231/2007, ove l’art. 51 al primo comma dispone che “I destinatari del presente decreto che, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12, 13 e 14 e all’articolo 50 ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell’economia e delle finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e per la immediata comunicazione della infrazione anche alla Guardia di Finanza la quale, ove ravvisi l’utilizzabilità di elementi ai fini dell’attività di accertamento, ne dà tempestiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate”.
Nessun dubbio si è posto per i sindaci incaricati del controllo contabile che, in quanto iscritti nel registro dei revisori legali dei conti, rientrano tra i soggetti destinatari del decreto e, quindi, devono ritenersi assoggettati all’obbligo di cui al predetto art. 51.
Più problematica, invece, è risultata la questione con riferimento alla sussistenza dell’obbligo di comunicazione al MEF in capo al collegio sindacale non incaricato della revisione legale dei conti.
Sul punto, si è argomentato (NOTA 6), in primis, che agli obblighi in commento siano chiamati esclusivamente i “destinatari del decreto”, intendendosi per tali i soggetti elencati dall’art. 10, nonché dai successivi artt. 11, 12, 13 e 14 del .lgs. n. 231/2007, nell’ambito dei quali non rientra né il collegio sindacale né, più in generale, gli organi di controllo (ad eccezione dei revisori legali dei conti). Non solo, le violazioni in oggetto dovrebbero essere rilevate dai destinatari della norma “in relazione ai loro compiti di servizio”. Ora, non sembra che si possano ravvisare “compiti di servizio” in capo al collegio sindacale incaricato del solo controllo di legalità che, come detto, non rientra nemmeno tra i soggetti destinatari della disciplina antiriciclaggio (NOTA 7). Né va trascurato che dette violazioni devono essere riscontrate dai soggetti a ciò obbligati “nei limiti delle loro attribuzioni e attività”: sotto il profilo oggettivo il collegio sindacale non incaricato della revisione contabile difficilmente può verificare operazioni, quali appunto le transazioni in contanti, delle quali solo una verifica contabile può consentire di accertare il corretto svolgimento (NOTA 8). A favore di tale interpretazione depone infine la circostanza che il legislatore all’art. 52, comma 2, lett. c) richiama espressamente l’obbligo di comunicazione al MEF delle violazioni alle limitazioni all’uso del contante e dei titoli al portatore per gli organi di controllo delle società destinatarie della normativa antiriciclaggio: detto richiamo sarebbe a dir poco pleonastico, ove l’obbligo imposto dall’art. 51 fosse rivolto in generale anche agli organi di controllo.
Sulla scorta di tali considerazioni interpretative, si è giunti ad escludere, alla luce della normativa attualmente vigente, che in capo al collegio sindacale sussista, ai sensi dell’art. 51, uno specifico obbligo di comunicazione al MEF delle violazioni alle limitazioni dell’uso del contante e dei titoli al portatore di cui all’art. 49.
La suddetta conclusione non è condivisa dal MEF.
Interpellato sul punto, il Ministero ha infatti precisato che l’esenzione di cui all’art. 12, comma 3-bis, deve ritenersi circoscritta alle disposizioni di cui al Titolo II, capi I, II e III, mentre l’obbligo di comunicazione di cui all’art. 51 è inserito nel Titolo III del decreto. Ne consegue che tutti i sindaci, siano essi revisori legali dei conti ovvero destinatari della normativa in quanto “professionisti” ai sensi dell’art. 12, sono tenuti all’osservanza dell’obbligo di comunicazione in commento, che grava su ciascuna persona fisica componente il collegio e, come tale, non è delegabile né ottemperabile collegialmente a mezzo del presidente.
La risposta ministeriale, se da un lato appare corretta in termini giuridici, in quanto fondata sulla interpretazione strettamente letterale della norma di esonero di cui all’art. 12, comma 3-bis, dall’altro non tiene conto dei rilievi interpretativi, egualmente fondati, di cui si è detto in precedenza. Nemmeno sotto il profilo operativo l’interpretazione del MEF è scevra da critiche, non valutando con la dovuta attenzione la circostanza che, in presenza di un organo di revisione diverso dal collegio sindacale, quest’ultimo di fatto non svolge controlli di natura contabile e, dunque, non ha la possibilità di verificare le eventuali irregolarità commesse dalla società controllata sulle transazioni in contanti (NOTA 9).
2.2. Segnalazione di operazioni sospette ex art. 41 del d.lgs. n. 231/2007
Interpellato in merito alla natura – individuale o collegiale – dell’obbligo di segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo (art. 41 del d.lgs. n. 231/2007) posto a carico del collegio sindacale incaricato della revisione legale dei conti, l’UIF ha precisato che il collegio sindacale in quanto organo non è espressamente “destinatario” di uno specifico obbligo di segnalazione. L’art. 52, comma 2, lett. b), del Decreto impone agli organi di controllo di società destinatarie della normativa antiriciclaggio l’obbligo di comunicare al titolare dell’attività, al legale rappresentante o al delegato alle segnalazioni di operazioni sospette le infrazioni di cui all’art. 41 di cui abbia notizia, sanzionando l’inadempimento con la reclusione fino ad un anno e con la multa da 100 a 1.000 euro. Nel caso di collegio sindacale incaricato della revisione legale dei conti, i singoli componenti sono tenuti alla segnalazione in quanto, essendo iscritti nel registro dei revisori legali dei conti, sono destinatari “in proprio” degli obblighi antiriciclaggio ex art. 13 del d.lgs. n. 231/2007.
Di contro, l’eventuale segnalazione trasmessa da un sindaco non revisore (cioè componente di un collegio sindacale non incaricato della revisione legale dei conti) sarebbe comunque tenuta in considerazione dalla UIF nell’ambito della propria attività istituzionale. È il caso che potrebbe verificarsi laddove i sindaci incaricati del solo controllo di legalità, venuti a conoscenza di un’operazione “sospetta” così come definita dall’art. 41 del Decreto, pur beneficiando dell’esonero di cui all’art. 12, comma 3-bis, decidano di segnalarla comunque alla UIF, anche al solo fine di evitare una eventuale responsabilità da concorso nel reato degli amministratori.
Infine, con riferimento alla tipologia di indicatori di anomalia che devono essere utilizzati dai sindaci revisori o dai revisori unici di società non quotate, l’UIF correttamente ritiene che i revisori di cui all’art. 13, lett. a) del d.lgs. n. 231/2007 (“società di revisione iscritte nell’albo speciale previsto dall’art. 161 del TUF”) debbano fare riferimento al provvedimento della Banca d’Italia del 30 gennaio 2013 (NOTA 10); mentre, per quanto riguarda i revisori di cui alla lett. b) della medesima norma (“soggetti iscritti nel registro dei revisori contabili”), questi ultimi debbano applicare gli indicatori previsti dal decreto del Ministero della giustizia del 16 aprile 2010 (NOTA11). Ciò in quanto, a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 39/2010 alla disciplina della revisione legale dei conti annuali e dei conti consolidati, il comma 2-bis dell’art. 13 (NOTA 12) precisa che la lettera a) del primo comma si riferisce ai revisori legali e alle società di revisione con incarichi di revisione su enti di interesse pubblico, mentre la lettera b) del medesimo comma si riferisce ai revisori legali e alle società di revisione senza incarichi sui medesimi enti.
3. Adeguata verifica della clientela
3.1. Identificazione del cliente
In sede di attuazione degli obblighi di adeguata verifica della clientela, uno degli argomenti più controversi attiene all’obbligo (rectius, alla necessità) di acquisire copia del documento di identità del cliente (NOTA 13). Sul punto, le Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela redatte dal CNDCEC suggeriscono ai professionisti di acquisire fotocopia del documento di identità del cliente e conservarlo nel fascicolo della clientela, da istituire ai sensi dell’art. 38, comma 2, del Decreto (NOTA 14). Analogamente, con riferimento agli obblighi di adeguata verifica a carico degli intermediari finanziari, la Banca d’Italia richiede a questi ultimi di effettuare il riscontro su un documento d’identità originale non scaduto, tra quelli di cui all’Allegato tecnico del Decreto, acquisendone copia, in formato cartaceo o elettronico (NOTA 15).
Interpellato in merito all’esistenza di un “obbligo espresso” di fotocopiare e conservare il documento sulla base del quale è stata eseguita l’identificazione del cliente, il MEF riporta quanto stabilito dall’art. 36, comma 1, lett. a) che, con riferimento agli obblighi di adeguata verifica della clientela, prevede la conservazione della copia o anche dei riferimenti dei documenti richiesti. Ne consegue, a parere del MEF, che ove non sia possibile acquisire la copia del documento utilizzato per l’identificazione, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di conservazione risulta valida anche la sola acquisizione degli estremi dello stesso. Quanto detto è riferibile anche a tutti gli altri documenti comunque acquisiti per l’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo.
3.2. Identificazione del titolare effettivo
L’art. 18, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 231/2007 impone, ai fini del corretto adempimento degli obblighi di adeguata verifica della clientela, l’identificazione dell’eventuale titolare effettivo e la verifica della sua identità che, ai sensi del successivo art. 19, comma 1, lett. b), deve essere effettuata contestualmente all’identificazione del cliente e impone, per le persone giuridiche, i trust e soggetti giuridici analoghi, l’adozione di misure adeguate e commisurate alla situazione di rischio per comprendere la struttura di proprietà e di controllo del cliente. La stessa norma, infine, suggerisce ai destinatari di ottenere le informazioni relative al titolare effettivo attraverso il ricorso a pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque, ovvero di farne richiesta ai propri clienti. Speculare alle disposizioni appena citate è l’art. 21 del Decreto, che impone ai clienti di fornire, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai destinatari della normativa di adempiere agli obblighi di adeguata verifica, aggiungendo che, ai fini dell’identificazione del titolare effettivo, “i clienti forniscono per iscritto, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate delle quali siano a conoscenza”.
Come emerge dalle Linee Guida del CNDCEC, sotto l’aspetto operativo, è il cliente che, ai sensi dell’art. 21:
– dichiara l’esistenza, eventuale, di un diverso titolare effettivo;
– fornisce al professionista le informazioni necessarie per l’identificazione dello stesso.
Ne consegue che l’identificazione del titolare effettivo deve essere effettuata dal professionista, sulla scorta delle informazioni ricevute dal cliente, ovvero mediante l’utilizzo delle altre modalità suggerite dall’art. 19, comma 1, lett. b) (NOTA 16). Nondimeno ci si è chiesti se, anche nell’ipotesi in cui il titolare effettivo di una società sia facilmente individuabile (nel quesito rivolto al MEF viene ipotizzato il caso in cui un socio possieda l’80% delle quote, secondo le risultanze di una recente trascrizione al Registro delle imprese), l’identificazione possa essere effettuata direttamente dal professionista o sia in ogni caso necessaria una dichiarazione scritta e sottoscritta da parte del legale rappresentante della società che fornisca al professionista il documento identificativo del titolare effettivo e ne sottoscriva la veridicità.
Sul punto, tutt’altro che chiara appare la risposta ufficiale del MEF, a parere del quale il titolare effettivo non può essere individuato autonomamente dal professionista in quanto, ai sensi del d.lgs. 231/2007, “l’obbligo di identificazione del titolare effettivo è in capo al cliente”. In effetti, la formulazione letterale non proprio felice della risposta può generare dubbi sul destinatario effettivo dell’obbligo, che invece è individuato in maniera univoca dalla norma. In altre parole, il dubbio non riguarda l’identità del soggetto destinatario dell’obbligo, che nel caso di specie è il professionista, bensì l’obbligatorietà o meno della dichiarazione scritta resa dal cliente ai sensi dell’art. 21 del Decreto. Il MEF sembra sgombrare il campo da tale dubbio, ritenendo necessaria in tutti i casi la dichiarazione del cliente, anche quando l’identificazione del titolare effettivo sia possibile mediante il ricorso ad un pubblico registro, come nel caso riportato a titolo esemplificativo. L’interpretazione resa dal MEF, oltre ad essere confortata dal tenore letterale dell’art. 21 (“I clienti forniscono per iscritto …”), è conforme all’impostazione assunta dalla Banca d’Italia, che nelle istruzioni operative per l’adeguata verifica della clientela da parte degli intermediari finanziari, prevede che in ogni caso il cliente venga richiamato a fornire tutte le indicazioni necessarie all’identificazione del titolare effettivo (NOTA 17). All’atto dell’identificazione, dunque, il cliente deve essere invitato a dichiarare se il rapporto è instaurato per conto di un altro soggetto e, in tal caso, a fornire le indicazioni necessarie all’identificazione dello stesso (NOTA 18).
Sempre con riferimento al titolare effettivo, il MEF si sofferma poi sull’ipotesi in cui il cliente dichiari che quest’ultimo è una persona politicamente esposta (PEP), ricordando che l’art. 28, comma 5, del Decreto impone l’adozione di misure rafforzate di adeguata verifica, specificate nell’elenco di cui al medesimo comma, per le operazioni/prestazioni professionali con PEP residenti in un altro Stato comunitario o in uno Stato extra-comunitario (NOTA 19). Nell’ipotesi de qua le misure rafforzate non devono essere applicate solo nei confronti del titolare effettivo, ma anche nei confronti del cliente, in quanto – a parere del MEF – si tratta di operazioni ad altro rischio, per le quali la normativa impone misure rafforzate in virtù del principio generale enunciato nell’art. 20 del Decreto, ove è sancito l’obbligo di commisurare gli obblighi in base al rischio associato al cliente e, appunto, all’operazione. Tale soluzione è quella indicata, in via precauzionale, anche nelle Linee Guida del CNDCEC ove, muovendo dalla considerazione che la norma non considera il caso in cui il titolare effettivo sia una PEP, si suggerisce al professionista di applicare, nei confronti del cliente, obblighi rafforzati di adeguata verifica (NOTA 20).
Altra precisazione di rilievo per i professionisti impegnati nell’adozione delle misure antiriciclaggio concerne la conferma della attuale validità del chiarimento precedentemente fornito dal MEF in merito alla non sussistenza dell’obbligo di registrazione dei dati del titolare effettivo in archivio unico informatico/registro cartaceo (NOTA 21). In dettaglio, il MEF aveva chiarito che, mancando le disposizioni applicative in materia di registrazione dei dati – da emanarsi ai sensi dell’art. 38, comma 7, del d.lgs. n. 231/2007 – continuano a trovare applicazione le disposizioni contenute nel D.M. n. 141/2006 e le istruzioni operative UIC, laddove compatibili (NOTA 22). Nondimeno, nelle istruzioni operative emanate lo scorso anno (NOTA 23), la GdF inseriva nello schema delle prestazioni da registrare i dati identificativi del cliente “e del titolare effettivo”, in tal modo discostandosi da quanto in precedenza affermato dal MEF. Tale circostanza aveva ingenerato più di un dubbio in merito alle corrette modalità di adempimento dell’obbligo in commento: fondamentale, dunque, è apparso il chiarimento del MEF, in virtù del quale è possibile confermare che il professionista è tenuto ad identificare l’eventuale titolare effettivo e a verificarne l’identità, ma non a registrare le relative informazioni nell’archivio informatico/registro cartaceo, potendo limitarsi a conservarle nel fascicolo del cliente.
Tra le situazioni controverse figura altresì quella relativa all’individuazione del titolare effettivo mediante il ricorso ai criteri stabiliti nell’Allegato tecnico al d.lgs. n. 231/2007. Quest’ultimo, all’art. 2, stabilisce che in caso di società il titolare effettivo è:
i) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un’entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente – corrispondente al 25% più uno – delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti;
ii) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un’entità giuridica.
Sull’argomento sono stati formulati numerosi esempi al fine di agevolare l’individuazione del titolare effettivo in alcune situazioni ricorrenti, come, ad esempio, quella che si verifica allorquando in una società sia possibile riscontrare, da un lato, la titolarità di una partecipazione superiore al 50% del capitale della società e, dall’altro, quella di un’altra partecipazione comunque corrispondente al 25% più uno (ad esempio il 27%).
Secondo le Linee Guida del CNDCEC, il parametro del possesso o controllo del 25% più uno del capitale sociale costituisce un criterio residuale laddove non si riscontri la titolarità di una partecipazione superiore al 50% del capitale della società: dunque, in tal caso, il titolare effettivo è la persona fisica che possiede la partecipazione al capitale sociale superiore al 50% (NOTA 24).
Tale impostazione non è condivisa dal MEF, a parere del quale, nell’esempio formulato, l’individuazione di un unico titolare effettivo nella persona del socio di maggioranza, allorquando si sia in presenza di un altro socio che detenga una percentuale superiore al 25% più uno di partecipazione al capitale sociale, non costituisce una corretta modalità di adempimento dell’obbligo di adeguata verifica. Di contro, sulla scorta della definizione contenuta nell’art. 2 dell’Allegato tecnico al Decreto, il MEF ritiene che la qualifica di titolare effettivo debba essere attribuita ad entrambi i soci che possiedono quote superiori al 25%. È questo il criterio cui si attengono gli intermediari finanziari nello svolgimento della adeguata verifica, in quanto la Banca d’Italia precisa che la relativa attività deve essere svolta nei confronti di tutte le persone fisiche che hanno il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale superiore al 25% del capitale sociale o dei diritti di voto nella società cliente. Del resto, il MEF richiama espressamente il provvedimento della Banca d’Italia anche con riferimento al caso in cui il controllo non sia attribuibile a un soggetto persona fisica, nel qual caso il corretto adempimento dell’obbligo impone di risalire la catena partecipativa della società socio al fine di individuare la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, esercitano il controllo su tale soggetto.
Non solo. Nel caso in cui vi sia più di un soggetto, diverso da una persona fisica, che controlla una percentuale di partecipazione al capitale sociale della società cliente o dei diritti di voto nella società maggiore del 25%, il predetto criterio deve essere applicato a ciascuno dei menzionati soggetti (NOTA 25).
3.3. Obblighi semplificati
Alla volontà di graduare le condotte dei soggetti tenuti al rispetto degli obblighi antiriciclaggio in base alla rischiosità oggettiva delle situazioni, appare ispirata l’introduzione degli obblighi semplificati e degli obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela. L’adeguata verifica semplificata è disciplinata negli artt. da 25 a 27 del d.lgs. n. 231/2007; in particolare, l’art. 25 individua due aree di esenzione, una “soggettiva” (commi 1 e 3) e una “oggettiva” (comma 6), rispetto alle quali il professionista è tenuto ad un adempimento di grado inferiore, quando non è del tutto esonerato dall’obbligo (NOTA 26).
Con riferimento all’area di esenzione “oggettiva”, il terzo comma dell’art. 25 dispone che “l’identificazione e la verifica non sono richieste se il cliente è un ufficio della pubblica amministrazione ovvero una istituzione o un organismo che svolge funzioni pubbliche conformemente al trattato sull’Unione europea, ai trattati sulle Comunità europee o al diritto comunitario derivato”. Ne discende che rientrano nell’alveo della adeguata verifica semplificata gli incarichi di consulenza conferiti dalla provincia, dalla regione o da altro ente pubblico, in relazione ai quali si è chiesto al MEF di chiarire la portata della semplificazione per il professionista al quale è conferito l’incarico.
Muovendo dall’assunto che l’adeguata verifica si riferisce al cliente e che, nel caso di specie, il cliente è l’amministrazione che conferisce l’incarico, il MEF ha precisato che, trattandosi di fattispecie rientrante nella previsione di cui all’art. 25, comma 3, del Decreto, non è richiesta né l’identificazione né la verifica dell’identità del cliente.
La risposta trova piena corrispondenza con quanto affermato nelle Linee Guida del CNDCEC ove si legge che, in presenza dei requisiti soggettivi di cui all’art. 25, comma 3, il professionista, oltre ad essere esonerato dagli obblighi di identificazione dell’eventuale titolare effettivo e verifica della sua identità, dalla richiesta di informazioni sullo scopo e sulla natura prevista della prestazione professionale, dal controllo costante nel corso della prestazione professionale, è esonerato altresì dagli obblighi di identificazione del cliente, dalla verifica della sua identità e dalla verifica del potere di legale rappresentanza (NOTA 27).
4. Conservazione e registrazione delle informazioni
4.1. Modalità di registrazione
In materia di conservazione e registrazione dei dati, gli artt. 36 e 38 del d.lgs. n. 231/2007 impongono ai professionisti rispettivamente di conservare i documenti e registrare le informazioni che hanno acquisito per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela affinché possano essere utilizzati per qualsiasi indagine su eventuali operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo. Gli obblighi di conservazione e registrazione non vanno osservati:
– in caso di applicazione degli obblighi semplificati di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 25;
– per lo svolgimento della mera attività di redazione e/o di trasmissione delle dichiarazione derivanti da obblighi fiscali e degli adempimenti in materia di amministrazione del personale, ai sensi dell’art. 12, comma 3.
Ad oggi, la corretta attuazione degli obblighi di registrazione costituisce uno dei nodi più problematici della normativa antiriciclaggio. Ciò in quanto l’art. 38, comma 7, del d.lgs. n. 231/2007 subordina l’effettiva applicabilità degli obblighi di registrazione e conservazione dei dati all’emanazione di un apposito regolamento attuativo da parte del Ministero della giustizia. In assenza di detto regolamento, si ritiene unanimemente che debba rispettarsi il disposto di cui all’art. 66, comma 1, del Decreto, in virtù del quale le disposizioni emanate in attuazione di norme abrogate o sostituite devono continuare a trovare applicazione, in quanto compatibili, fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti attuativi del d.lgs. n. 231/2007. In altre parole, in materia di registrazione continuano ancora oggi a trovare applicazione – laddove compatibili con le nuove disposizioni – il d.m. n. 141/2006 e il provvedimento UIC del 24 febbraio 2006.
Dalla situazione descritta discende una comprensibile confusione interpretativa in sede di adempimento, in relazione sia al contenuto obbligatorio del registro/archivio unico, sia alle corrette modalità di tenuta dello stesso.
Sull’argomento, dunque, è stato inevitabilmente interpellato il MEF, al quale è stato chiesto in primo luogo se – in assenza delle disposizioni applicative – debba ritenersi operativa la regola sancita dall’art. 38, comma 4, del d.lgs. n. 231/2007, in virtù della quale i dati inseriti nel registro della clientela (cartaceo) possono essere resi disponibili entro tre giorni dalla richiesta e, inoltre, se tale regola sia applicabile anche nel caso di tenuta dell’archivio unico informatico.
Su quest’ultimo punto il MEF ha chiarito, come era prevedibile, che la possibilità di rendere disponibili i dati e le informazioni registrate entro tre giorni dalla richiesta è riconosciuta dal quarto comma dell’art. 38 ai soli professionisti che abbiano adottato, ai fini della registrazione, il registro cartaceo, dal momento che l’adozione dell’archivio informatico garantisce l’immediatezza delle informazioni. Nella sola ipotesi di adozione del registro cartaceo, peraltro, la disposizione in commento può ritenersi già operativa (NOTA 28).
Altra questione molto dibattuta è quella che riguarda gli obblighi di registrazione del professionista in caso di cambiamento del tipo di archivio utilizzato: il riferimento è al passaggio dal registro cartaceo all’archivio informatico (o viceversa), ovvero al trasferimento da un archivio informatico ad un altro. Sulle ipotesi descritte il MEF si era già pronunciato in passato (NOTA 29), chiarendo che nei casi di passaggio dall’archivio cartaceo a quello informatico (e viceversa), il professionista è tenuto a:
i) conservare il cartaceo (per eventuali consultazioni, ricerche, verifiche);
ii) fissare una data di passaggio per cui tutte le registrazioni precedenti sono sul cartaceo e tutte quelle successive sono nell’archivio informatico;
iii) reinserire in quest’ultimo, al fine di gestire eventuali future modifiche, soltanto le prestazioni in corso alla data di passaggio dal cartaceo all’informatico.
Analoghe indicazioni erano state fornite in relazione all’ipotesi del professionista che, dopo aver attivato l’archivio informatico, decide di cambiarlo. In particolare, il MEF aveva affermato che lo stesso deve:
i) conservare il vecchio software per eventuali consultazioni, ricerche, verifiche, ecc.;
ii) fissare una data di passaggio per cui tutte le registrazioni precedenti sono su un software e tutte quelle successive sul nuovo software;
iii) reinserire nel nuovo software, al fine di gestire eventuali future modifiche, soltanto le prestazioni in corso alla data di cambio.
Sulla scorta di tali indicazioni, si è richiesto al MEF di confermare che, in caso di cambiamento del tipo di archivio utilizzato, non è necessario trascrivere nel nuovo archivio le prestazioni che all’atto del trasferimento siano già state completamente eseguite (nel quesito si cita, a titolo esemplificativo, la gestione di una liquidazione o di un trasferimento di ramo d’azienda). In merito alla necessità di trascrivere le prestazioni continuative in itinere all’atto del trasferimento (tenuta della contabilità, consulenza periodica in materia di bilancio, ecc.), si è chiesto altresì al Ministero di chiarire se i dati dei clienti debbano essere inseriti nel nuovo archivio anche laddove il professionista conservi il vecchio archivio e la prestazione professionale continui secondo le stesse regole stabilite in passato, ovvero sia sufficiente riportare nel nuovo archivio solo eventuali situazioni modificative di quella preesistente. Tali situazioni modificative potrebbero verificarsi, ad esempio, in caso di tenuta della contabilità, ove si passi dal regime semplificato a quello ordinario; mentre, in caso di consulenza in materia di bilancio, laddove intervenga la sostituzione di uno o più amministratori.
Orbene, in risposta al primo dei due quesiti il MEF ha confermato che non sussiste l’obbligo di trascrizione nel nuovo archivio delle operazioni che hanno già avuto compiuta esecuzione, fermo restando che l’archivio precedentemente adottato deve essere conservato per dieci anni, con decorrenza dall’ultima registrazione effettuata.
Di contro, in relazione alle prestazioni in corso alla data di passaggio, a parere del MEF “è necessario trascrivere nel ‘ nuovò archivio tutti i dati necessari all’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica (compresi quelli identificativi del cliente) nonché quelli attinenti all’operazione e alla prestazione professionale”. Ritiene infatti il Ministero vigilante che solo in questo modo sia possibile dare continuità all’archivio, annotando eventuali aggiornamenti e modificazioni.
Invero, la risposta fornita è in linea con la posizione espressa in precedenza: come già riportato, il reinserimento nel nuovo archivio delle prestazioni in corso alla data di cambio è infatti ritenuto necessario al fine di gestire eventuali future modifiche. Sul punto, vale la pena di ricordare che l’oggetto dell’obbligo di registrazione, ai sensi dell’art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007, è costituito dalle informazioni acquisite per assolvere gli obblighi di adeguata verifica della clientela; questi ultimi, a loro volta, insorgono nei casi previsti dall’art. 16 del Decreto (NOTA 30), vale a dire ogni qualvolta il professionista è incaricato di eseguire un’operazione o una prestazione professionale, salvi i casi di sospetto di riciclaggio/finanziamento del terrorismo o quelli in cui il professionista nutre dubbi sulla veridicità delle informazioni in precedenza fornitegli dal cliente. Al netto di queste ultime due circostanze, dunque, l’obbligo di registrazione è normalmente correlato al conferimento di un incarico per il compimento di un’operazione/prestazione professionale; se questo è vero, il reinserimento nel nuovo archivio di prestazioni rispetto alle quali non è intervenuta alcuna modifica appare poco utile, costituendo la mera duplicazione di un adempimento già posto in essere e documentato nel precedente archivio, che – come si è detto – deve essere conservato per dieci anni.
Da ultimo, Ministero e Guardia di Finanza sono stati sollecitati anche in merito al pesante regime sanzionatorio previsto dal legislatore per le violazioni dell’obbligo di registrazione. L’art. 55, comma 4, del d.lgs. n. 231/2007 impone l’applicazione di una sanzione penale, consistente nella multa pecuniaria di importo variabile da 2.600 a 13.000 euro, a carico di chi, essendovi tenuto, ometta di effettuare la registrazione di cui all’art. 36, ovvero la effettui in modo tardivo o incompleto. Si è chiesto, prima al MEF e poi alla GdF, se nell’ipotesi di irregolarità multiple il soggetto sanzionato possa avvalersi del disposto di cui all’art. 81 c.p. (“Concorso formale. Reato continuato”), commi 1 e 2. Il primo comma prevede che “È punito con la pena che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata sino al triplo chi con una sola azione od omissione viola diverse disposizioni di legge ovvero commette più violazioni della medesima disposizione di legge”, mentre il secondo dispone che “Alla stessa pena soggiace chi con più azioni od omissioni, esecutive di un medesimo disegno criminoso, commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge”.
Sul punto, il MEF rileva correttamente come competa esclusivamente al giudice penale, in sede di determinazione e quantificazione della pena, ravvisare o meno l’esistenza del vincolo di continuazione. Conformemente, la GdF osserva che il riconoscimento di tale vincolo – nelle fattispecie a rilevanza penale – è rimesso alla insindacabile discrezionalità del giudice, che gradua la gravità della qualificazione del fatto nel rispetto dei criteri stabiliti dall’art. 133 c.p. (NOTA 31). Nel caso di specie, rileva in modo precipuo la condotta posta in essere dal reo, che il giudice dovrà valutare con particolare attenzione al fine di verificare l’eventuale sussistenza del “medesimo disegno criminoso” di cui al citato secondo comma dell’art. 81 c.p.
Richiamando la giurisprudenza esistente sull’argomento, la GdF osserva, peraltro, che detto disegno criminoso non è ravvisabile in un generico proposito delinquenziale, dovendo al contrario essere ricercato in un “programma precostituito che comprenda le azioni od omissioni concepite e volute ab initio nelle loro essenziali linee”. Ne consegue che l’applicabilità dell’art. 81 c.p. deve essere esclusa ogni qualvolta la condotta posta in essere sia frutto di una decisione autonoma determinata da circostanze occasionali.
Sull’argomento, anche alla luce dell’interpretazione sopra riportata, non può omettersi di ribadire che la sanzione penale per l’omessa o tardiva registrazione appare sproporzionata rispetto alla gravità della violazione.
Allo stato attuale la fattispecie viene trattata alla stregua di un delitto di natura omissiva: la condotta consiste nella effettuazione della registrazione in maniera insufficiente e intempestiva, vale a dire oltre il termine di trenta giorni dal compimento dell’operazione prescritto dall’art. 36, comma 3, del Decreto, mentre l’elemento soggettivo è costituito dal dolo generico (NOTA 32). Il che, francamente, appare davvero eccessivo rispetto ad un obbligo avente ad oggetto un adempimento meramente formale, peraltro nemmeno contemplato a livello comunitario (NOTA 33).
Assolutamente condivisibile appare, pertanto, la proposta di rivedere profondamente l’apparato sanzionatorio in materia di antiriciclaggio, limitando la previsione di sanzioni penali a talune rilevanti violazioni degli obblighi di adeguata verifica e di registrazione in quanto connotate, sul piano oggettivo, dall’utilizzo di dati o documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti (NOTA 34).
4.2. Casistica: la registrazione dei contratti di affitto
Nell’ambito delle prestazioni professionali oggetto dell’obbligo di registrazione – ove di valore pari o superiore a 15.000 euro – figura anche l’attività di assistenza nella redazione dei contratti di affitto.
Nel 2007 il soppresso UIC ha precisato che la redazione dei contratti d’affitto consiste in una prestazione da registrare qualora l’importo del canone periodico sia superiore alla soglia prevista dall’art. 16, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 231/2007 (allora pari a 12.500 euro), chiarendo altresì che il professionista è tenuto ad identificare entrambe le parti del contratto (locatore e conduttore) (NOTA 35).
Atteso il permanere di numerosi dubbi sul caso in esame, si è richiesto al MEF se l’obbligo di registrazione insorga esclusivamente in caso di redazione materiale del contratto di affitto da parte del professionista o anche nel caso in cui quest’ultimo presti una mera attività di consulenza avente ad oggetto specifiche clausole del contratto. In merito alla soglia di 15.000 euro a partire dalla quale si rende obbligatoria la registrazione, si è chiesto inoltre se la stessa debba essere riferita all’intera durata del contratto di affitto, all’importo annuale del contratto, ovvero alla singola rata.
Con riferimento al primo quesito, il MEF ha chiarito che l’attività di consulenza e assistenza al cliente nella predisposizione e nella successiva stipulazione di un contratto di locazione immobiliare rientra nella fattispecie prevista dall’art. 12, comma 1, lett. c), n. 2 del Decreto (gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni) e, di conseguenza, rispetto a tale attività il professionista risulta destinatario di tutti gli obblighi antiriciclaggio.
Invero, il citato riferimento normativo genera qualche perplessità, dal momento che la fattispecie richiamata è inserita nell’elenco delle operazioni in merito alle quali gli obblighi antiriciclaggio insorgono in capo a notai e ad avvocati. Probabilmente la genesi dell’obbligo, più che nella norma primaria, andrebbe invece ricercata nell’esigenza degli organi attuatori della normativa di riportare nel perimetro applicativo degli obblighi antiriciclaggio anche l’attività di tipo consulenziale posta in essere dal professionista: non a caso, la consulenza contrattuale figura tra le prestazioni oggetto di registrazione già individuate a suo tempo dall’UIC (NOTA 36).
Quanto al valore dell’operazione in relazione al quale insorge l’obbligo di registrazione, a parere del MEF lo stesso deve intendersi riferito al canone mensile, ovvero a quello periodico (ove sia concordata tra le parti una differente base di periodicità) risultante dal contratto di locazione sottoscritto dalle parti. Ne discende che la maggior parte dei contratti di affitto che prevedono un canone mensile non sono oggetto di adeguata verifica né di registrazione, mentre gli obblighi antiriciclaggio potrebbero insorgere nei casi (più rari) in cui il contratto preveda un canone semestrale o annuale di importo pari o superiore a 15.000 euro (NOTA 37).
5. Limitazioni all’uso del denaro contante
In materia di limitazioni all’uso del contante, sotto l’aspetto operativo risultano evidenti i profili di criticità connessi alla difficoltà di circoscrivere in modo univoco l’ambito applicativo del divieto posto dall’art. 49, comma 1, del d.lgs. n. 231/2007, nonostante i numerosi interventi interpretativi succedutisi nel tempo (NOTA 38). In dettaglio, il problema risiede nella individuazione del c.d. frazionamento, dal momento che il legislatore vieta il trasferimento in contanti anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia (attualmente pari a 1.000 euro) che appaiono “artificiosamente frazionati”.
Allo stato attuale, deve ritenersi che il divieto di trasferimento di contanti e titoli al portatore per importi pari o superiori a 1.000 euro operi anche quando tale limite viene superato cumulando le diverse specie di mezzi di pagamento (denaro, libretti di deposito al portatore, titoli al portatore) e che non rientrino nel divieto i trasferimenti ultrasoglia quando le singole rate, di importo inferiore a 1.000 euro, siano il frutto di una dilazione fisiologica rispetto alla natura dell’operazione – si pensi, ad esempio, ad un contratto di somministrazione – o derivante da un contratto tra le parti. In ogni caso, l’amministrazione finanziaria si riserva di valutare discrezionalmente, caso per caso, se il frazionamento sia stato realizzato con lo scopo specifico di eludere il divieto posto dall’art. 49 del Decreto.
Da quanto detto discende che il professionista deve monitorare con attenzione alcune situazioni ricorrenti, nelle quali il rischio di violazione dell’art. 49 risulta particolarmente elevato: tra queste, figurano senz’altro la distribuzione di utili dalla società ai soci e i finanziamenti fra soci e società.
Con riferimento alla prima fattispecie, si è interpellato il MEF al fine di ottenere un chiarimento in merito ad alcune circostanze ricorrenti, come quella che si verifica nelle società di persone allorquando i soci prelevano mensilmente dalle casse della società somme inferiori a 1.000 euro, a titolo di acconto sugli utili (nell’esempio riportato nel quesito due soci prelevano 12 rate mensili dell’importo di 800 euro, per un valore complessivo di 19.200 euro). Si è chiesto altresì se una società di capitali possa distribuire ai soci dividendi in contanti in più rate, ciascuna di importo inferiore alla soglia di 1.000 euro. Infine, al centro dell’attenzione sono stati posti i finanziamenti dei soci nelle società di persone, sollecitando il MEF ad esprimersi circa la possibilità che gli stessi vengano erogati mediante rate contanti in un breve arco temporale (nell’esempio formulato nel quesito, in un arco temporale di due mesi, due soci versano nelle casse sociali rispettivamente sei rate dell’importo di 600 euro ciascuna, per un valore complessivo di 9.600 euro).
Ai suesposti quesiti il MEF ha risposto ribadendo, in primis, la natura del divieto di operazioni frazionate, mediante il quale il legislatore intende monitorare e circoscrivere esclusivamente gli eventuali fenomeni di aggiramento della normativa. Ne consegue che, ogni qualvolta la pluralità di pagamenti sia connaturata ad una prassi commerciale, oppure rientri nell’ambito di una determinata dinamica contrattuale, o ancora risulti da un accordo scritto tra le parti e stipulato antecedentemente ai pagamenti stessi, deve escludersi l’intento elusivo.
Nondimeno il MEF aggiunge che, pur in presenza di un accordo tra le parti, l’amministrazione si riserva il potere di valutare discrezionalmente la concreta sussistenza di un frazionamento artificioso, commesso con lo scopo preciso – quest’ultimo desumibile dalla analisi complessiva del caso specifico – di eludere il divieto posto dalla norma. Dunque, l’esistenza acclarata di una prassi, di un accordo tra le parti o anche di una determinata dinamica contrattuale limita i rischi di contestazione di frazionamento illecito, anche con riferimento a fattispecie quali la distribuzione di dividendi ai soci o i finanziamenti dei soci alla società, ferma restando l’assenza di uno specifico intento elusivo del divieto posto dall’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007.
In tal senso, la recente risposta del MEF – da accogliersi senz’altro positivamente – sembra superare la posizione precedentemente assunta dallo stesso allorquando, interpellato dal CNDCEC (NOTA 39), aveva sostenuto che la distribuzione in contanti suddivisa in più tranches, ognuna di importo inferiore alla soglia limite (nel 2008 pari a 5.000 euro), ma riferita a un unico dividendo societario, fosse da ritenere operazione cumulabile, anche se effettuata oltre il termine di sette giorni.
E, proprio con riferimento al termine di sette giorni, si è poi chiesto al MEF se la relativa nozione, dirimente ai fini della individuazione di operazioni frazionate ex art. 1, comma 2, lett. m), del d.lgs. n. 231/2007 (NOTA 40), lo sia anche per l’individuazione del frazionamento ex art. 49, comma 1, del Decreto. In altri termini, di fronte ad un pagamento rateizzato, si chiede se – al fine di non incorrere nella violazione del divieto di frazionamento posto dall’art. 49 – sia necessario che tra una rata e l’altra decorrano almeno sette giorni.
Sul punto, il Ministero ribadisce in primo luogo che, se da un lato la presenza di un accordo tra le parti non esclude automaticamente l’artificiosità del frazionamento, dall’altro lo svolgimento di una transazione finanziaria in un arco di tempo pari o inferiore a sette giorni non vale di per sé a qualificare come artificioso il frazionamento:
ciò significa che è esclusa qualsiasi forma di automatismo, rilevando piuttosto l’esistenza di un intento elusivo della norma di cui all’art. 49, desumibile dalla documentazione e dalle informazioni rilevanti nel singolo caso. Il MEF si sofferma altresì sulla definizione di operazione frazionata ritenendo che, con l’introduzione della stessa, il legislatore abbia innovato profondamente rispetto alla normativa di cui alla l. n. 197/1991.
L’introduzione di un arco temporale determinato – pari a sette giorni – indubbiamente scioglie molti dei dubbi interpretativi sorti precedentemente, poiché in questo modo viene aggiunto al riferimento all’unitarietà dell’operazione sotto il profilo economico, già presente nella norma previgente, anche un termine rilevante ai fini della presunzione del frazionamento: in altre parole, al di sotto dei sette giorni il frazionamento si presume.
Nondimeno il MEF osserva come, sotto l’aspetto operativo, la norma ponga a carico dei destinatari l’onere di individuare eventuali elementi idonei a ricondurre ad unità una pluralità di operazioni: a tal fine, dovrà essere verificato l’oggetto della prestazione, allo scopo di appurare se i pagamenti plurimi costituiscano frazioni di un pagamento unico, anche se collocati in un arco temporale superiore a sette giorni, ovvero siano riferibili ad una pluralità di prestazioni (NOTA 41). Nel caso in cui i pagamenti siano effettuati in un arco temporale superiore a sette giorni, sarà compito dell’autorità valutare, caso per caso, se il frazionamento sia lecito (escludendo l’esistenza di un’operazione unitaria), ovvero se lo stesso configuri un’elusione del divieto imposto dalla legge.
Da ultimo, è stato affrontato il tema – di grande attualità – del pagamento rateale degli stipendi da parte del datore di lavoro (nell’esempio formulato, si chiede se è ammissibile che il datore di lavoro corrisponda al dipendente lo stipendio di 1.500 euro in tre rate in contanti a distanza di dieci giorni l’una dall’altra).
Ribadendo le evidenti esigenze di prevenzione di illeciti anche fiscali, il MEF conferma la inammissibilità del pagamento dello stipendio in tranches, ciascuna inferiore alla soglia di legge, a meno che la rateizzazione non risulti da un accordo scritto tra le parti, meglio ancora se conforme a quanto stabilito nella contrattazione collettiva, nazionale e integrativa di categoria, dalla quale si evinca che la rateizzazione dello stipendio rappresenta una modalità tipica di adempimento della prestazione gravante sul datore di lavoro.
6. Segnalazione di operazioni sospette
6.1. Termine di prescrizione
In ragione delle funzioni esercitate, il professionista potrebbe venire a conoscenza di elementi di sospetto in merito a presunte operazioni di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, sulla scorta delle indicazioni fornite nel primo comma dell’art. 41 del d.lgs. n. 231/2007. In dettaglio, da quest’ultimo emerge che “sospetta” è qualsiasi attività, compiuta o tentata dal cliente, che appare diretta sulla base della comune esperienza a riciclare denaro o altri beni frutto di attività criminose, oppure a finanziare fenomeni di terrorismo. È tenuto a segnalare ex art. 41 il professionista che abbia maturato il semplice sospetto, che abbia ragionevoli motivi per sospettare, ovvero che sia a conoscenza, anche se solo presunta poiché ancora non dimostrata sotto il profilo giuridico: in altre parole la segnalazione prescinde dall’individuazione di una fattispecie criminosa (NOTA 42). Il quarto comma dell’art. 41 stabilisce che la segnalazione deve essere effettuata “senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, appena il soggetto tenuto alla segnalazione viene a conoscenza degli elementi di sospetto”. La violazione dell’obbligo di segnalazione è punita con l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria variabile dall’uno al quaranta per cento dell’importo dell’operazione non segnalata.
Sul punto, si è già avuto modo di osservare che detta sanzione appare eccessiva, attesa anche l’ampiezza dell’intervallo di determinazione, e tale da poter generare un importo sproporzionato rispetto alla gravità della violazione e alle condizioni patrimoniali del soggetto sanzionato. Si è osservato altresì come la norma non contribuisca certo a fare chiarezza, non prescrivendo termini perentori per la segnalazione e non precisando se una segnalazione effettuata a distanza di tempo, soprattutto se in seguito all’inizio delle indagini penali o alla luce di verifiche ispettive, sia da ritenersi “tardiva” ovvero “omessa” (NOTA 43). Su questo argomento è incentrato uno dei quesiti posti alla UIF, essendo stato chiesto se esiste un termine di prescrizione dell’obbligo di segnalazione di operazioni sospette.
Dopo aver posto l’accento sull’importanza della tempestività della segnalazione, che emerge dal già citato quarto comma dell’art. 41, la UIF richiama altresì il quinto comma, che impone ai destinatari dell’obbligo di segnalazione di astenersi dal compiere l’operazione finché non hanno effettuato la segnalazione, salvo il caso in cui l’astensione non sia possibile tenuto conto della normale operatività, ovvero possa ostacolare le indagini.
Sulla scorta delle norme richiamate, la UIF ritiene fuorviante la previsione di un termine di prescrizione, attesa la natura stessa dell’obbligo di segnalazione, mentre, sotto il profilo sanzionatorio, rileva che il diritto alla riscossione della sanzione pecuniaria per omessa segnalazione di operazioni sospette si prescrive in cinque anni dal giorno della violazione (salva l’interruzione regolata dal codice civile).
6.2. Cessioni di quote di s.r.l.
Sempre in materia di segnalazione di operazioni sospette, si è chiesto infine alla UIF di precisare se le anomalie riscontrate nelle operazioni aventi ad oggetto la cessione di quote di s.r.l. debbano essere segnalate esclusivamente dai notai, ovvero anche dagli altri professionisti abilitati alla trasmissione dell’atto di cessione al registro delle imprese.
Sull’argomento, la UIF richiama l’art. 36, comma 1-bis, del d.l. n. 112/2008 convertito, con modificazioni, nella l. n. 133/2008, che consente ad altri intermediari abilitati ai sensi dell’art. 31, comma 2-quater, della l. n. 340/2000 – dottori commercialisti ed esperti contabili – di procedere al deposito telematico presso il registro delle imprese del negozio di trasferimento delle quote di s.r.l. sottoscritto con firma digitale. Anche questi ultimi, pertanto, in quanto professionisti destinatari degli obblighi antiriciclaggio, sono tenuti ad effettuare la segnalazione alla UIF qualora – in relazione all’attività esercitata – maturino un sospetto connesso con atti di trasferimento di quote di s.r.l..
Sul punto, vale la pena di ricordare che l’attività di consulenza connessa al trasferimento di quote di s.r.l. determina l’insorgere degli obblighi di adeguata verifica in capo al professionista, laddove il valore della prestazione sia pari o superiore a 15.000 euro (NOTA 44). Si è osservato, peraltro, che il commercialista al quale sia stato conferito incarico ex art. 36, comma 1-bis, della l. n. 133/2008, è tenuto in ogni caso a svolgere una serie di controlli che, nell’interesse del proprio cliente e nel rispetto della diligenza richiesta nello svolgimento dell’incarico, nonché dell’obbligo deontologico di agire nell’interesse pubblico, si rendono necessari in quanto connessi alla verifica dell’osservanza della legge e dell’atto costitutivo della società le cui partecipazioni sono oggetto di trasferimento. Rientrano senz’altro nell’ambito di tali controlli, a prescindere dalla soglia imposta dalla normativa antiriciclaggio, la verifica dell’identità e della capacità di agire delle parti nonché, nel caso di soggetti diversi dalle persone fisiche, dei relativi poteri di rappresentanza (NOTA 45).
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Note:
1) Le risposte sono state pubblicate su Italia Oggi – Sette l’11 novembre 2013, pp. 4-9.
2) Nella fase interpretativa e in quella applicativa della normativa antiriciclaggio, un ruolo di indubbia centralità è, infatti, svolto dalle autorità cui il d.lgs. n. 231/2007 demanda l’attuazione delle disposizioni in esso contenute: il Ministero dell’economia e delle finanze (art. 5), l’Unità di informazione finanziaria per l’Italia (art. 6), l’autorità di vigilanza di settore (art. 7) e, infine, le amministrazioni interessate, gli ordini professionali e le forze di polizia (art. 8).
3) Detti chiarimenti, pur essendo finalizzati ad agevolare l’applicazione degli obblighi da parte dei soggetti interessati, finiscono per essere ritenuti dagli operatori del settore quali vere e proprie interpretazioni del disposto normativo; per tale motivo, ci si è più volte interrogati sulla valenza effettiva di tali pareri e sulla loro collocazione nell’ambito della gerarchia delle fonti (l’argomento è già stato affrontato nel Documento Aristeia n. 78, Antiriciclaggio: disciplina vigente e principali problematiche operative per i dottori commercialisti, luglio 2007, in www.irdcec.it).
Sul punto, è intervenuto a suo tempo il soppresso Ufficio Italiano dei Cambi (su Italia Oggi del 27 marzo 2007, p. 34 e ss., in occasione della videoconferenza “Antiriciclaggio, istruzioni per l’uso” del 24 marzo 2007) che, nel ricordare la precisa funzione ad esso attribuita dal legislatore nell’azione di contrasto al riciclaggio, ha evidenziato come solo i provvedimenti emanati in attuazione di regolamenti ministeriali e pubblicati in pari data debbano essere considerati atti amministrativi normativi generali. Con riferimento alla natura giuridica dei chiarimenti in esame, secondo l’UIC essi “non possono essere considerati interpretazioni autentiche della legge, in quanto espressione di un organo deputato all’emanazione di una normativa tecnica di dettaglio, in applicazione di una fonte superiore”. Nondimeno, posto il ruolo di organo tecnico attribuito dalla legge all’UIC (oggi UIF), i pareri dallo stesso rilasciati fanno seguito a particolari quesiti considerati di interesse generale e, di conseguenza, sono meritevoli di essere diffusi presso il pubblico.
Sul punto R. RAZZANTE, La regolamentazione antiriciclaggio in Italia, Torino, 2007, p. 70, ove si osserva che nella gerarchia delle fonti del diritto speciale degli intermediari finanziari le istruzioni emanate dagli organi di vigilanza costituiscono veri e propri precetti, la cui inosservanza dà luogo all’applicazione delle sanzioni previste dalla normativa primaria.
4) Circolare CNDCEC n. 16/IR del 15 marzo 2010, Gli obblighi antiriciclaggio degli organi di controllo alla luce del d.lgs. 25 settembre 2009, n. 151, a cura dell’Istituto di Ricerca dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, p. 14.
5) Si riporta il testo dell’art. 52 (“Organi di controllo”) del d.lgs. n. 231/2007:
“1. Fermo restando quanto disposto dal codice civile e da leggi speciali, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di controllo di gestione, l’organismo di vigilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e tutti i soggetti incaricati del controllo di gestione comunque denominati presso i soggetti destinatari del presente decreto vigilano sull’osservanza delle norme in esso contenute.
2. Gli organi e i soggetti di cui al comma 1:
a. comunicano, senza ritardo, alle autorità di vigilanza di settore tutti gli atti o i fatti di cui vengono a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell’articolo 7, comma 2;
b. comunicano, senza ritardo, al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato, le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 41 di cui hanno notizia;
c. comunicano, entro trenta giorni, al Ministero dell’economia e delle finanze le infrazioni alle disposizioni di cui all’articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12 e 13 e 14 e all’articolo 50 di cui hanno notizia;
d. comunicano, entro trenta giorni, all’autorità di vigilanza di settore le infrazioni alle disposizioni contenute nell’articolo 36 di cui hanno notizia”.
6) Nostra circ. n. 16/IR del 15 marzo 2010, Gli obblighi antiriciclaggio degli organi di controllo alla luce del d.lgs. 25 settembre 2009, n. 151, cit., pp. 7-8.
7) In tal senso L. DE ANGELIS, Sindaci esclusi dagli obblighi, in Italia Oggi – Sette, 28 settembre 2009, p. 11.
8) Conforme CNDCEC, Antiriciclaggio: d.lgs. 25 settembre 2009, n. 151 (Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231) – Nota esplicativa, a cura del gruppo di lavoro “Antiriciclaggio – decreto correttivo”, in www.commercialisti.it, ove si legge che “la soluzione affermativa appare preferibile sia sotto il profilo oggettivo, trattandosi di una verifica di tipo contabile e perciò estranea alle funzioni del collegio sindacale che svolge solo il controllo legale, sia sotto il profilo soggettivo, non essendo più i componenti del collegio sindacale soggetti “destinatari”della normativa, laddove l’obbligo di comunicazione delle infrazioni di cui all’art. 51 si applica ‘ai destinatari del presente decreto che in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività hanno notizia di infrazioni”.
9) Conforme L. DE ANGELIS, Collegi sindacali, sos ai singoli, in Italia Oggi – Sette, 11 novembre 2013, p. 8.
10) BANCA D’ITALIA, Provvedimento recante gli indicatori di anomalia per le società di revisione e revisori legali con incarichi di revisione su enti di interesse pubblico, Delibera n. 61 del 30 gennaio 2013 (pubblicato nella G.U. n. 47 del 25 febbraio 2013 – Serie Generale).
11) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio da parte di talune categorie di professionisti e dei revisori contabili, Decreto del 16 aprile 2010 (pubblicato nella G.U. n. 101 del maggio 2010 – Serie Generale ). A parere dell’UIF, peraltro, a tale provvedimento devono fare riferimento anche i soggetti che svolgono attività di mediazione ai sensi dell’art. 60 della l. 18 giugno 2009, n. 69. Per questi ultimi, infatti, non sono stati ancora emanati appositi indicatori di anomalia: fino a quando ciò non avverrà, essi possono fare riferimento, oltre che al citato provvedimento del Ministero della giustizia per i professionisti, anche al decreto del Ministero dell’interno del 17 febbraio 2011 (Determinazione degli indicatori di anomalia al fine di agevolare l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio da parte di talune categorie di operatori non finanziari – pubblicato nella G.U. n. 48 del 28 febbraio 2011 – Serie Generale), aggiornato con decreto del 27 aprile 2012 (pubblicato nella G.U. n. 116 del 19 maggio 2012 – Serie Generale).
12) Comma aggiunto, privo di numero, dall’art. 27, comma 1, lett. g), del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141, come modificato dall’art. 18, comma 1, del d.lgs. 19 settembre 2012, n. 169.
13) Ai sensi dell’art. 3 dell’Allegato tecnico al Decreto, “sono considerati validi per l’identificazione i documenti d’identità e di riconoscimento di cui agli articoli 1 e 35 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445. Per l’identificazione di soggetti non comunitari e di soggetti minori d’età si applicano le disposizioni vigenti; con riferimento a nascituri e concepiti, l’identificazione è effettuata nei confronti del rappresentante legale. L’identificazione può essere svolta anche da un pubblico ufficiale a ciò abilitato ovvero a mezzo di una foto autenticata; in quest’ultimo caso sono acquisiti e riportati nell’archivio unico informatico, ovvero nel registro della clientela, gli estremi dell’atto di nascita dell’interessato”.
14) CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, a cura della Commissione di studio “Antiriciclaggio”, in www.commercialisti.it (ultimo aggiornamento: luglio 2011), p. 56.
15) BANCA D’ITALIA, Provvedimento recante disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, 3 aprile 2013 (pubblicato nella G.U n. 105 del 7 maggio 2013 – Supplemento Ordinario n. 35), p. 16.
16) CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, p. 40.
17) BANCA D’ITALIA, Provvedimento recante disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, p. 16.
18) In tal senso, in dottrina, M CARBONE, Soggetti e obblighi di adeguata verifica della clientela, in S. CAPOLUPO – M. CARBONE – S.M. BATTAGLIA – G. STURZO, Antiriciclaggio. Obblighi per professionisti, intermediari e altri soggetti, Milano, 2012, p. 251
19) Nell’ipotesi in commento, i destinatari degli obblighi antiriciclaggio devono:
a) stabilire adeguate procedure basate sul rischio per determinare se il cliente sia una persona politicamente esposta;
b) ottenere l’autorizzazione del Direttore generale, di suo incaricato ovvero di un soggetto che svolge una funzione equivalente, prima di avviare un rapporto continuativo con tali clienti;
c) adottare ogni misura adeguata per stabilire l’origine del patrimonio e dei fondi impiegati nel rapporto continuativo o nell’operazione;
d) assicurare un controllo continuo e rafforzato del rapporto continuativo o della prestazione professionale.
20) CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, cit., p. 35.
21) Si fa riferimento ad alcune risposte ufficiali fornite dal MEF e pubblicate su Italia Oggi del 21 maggio 2010, p. 20 (ulteriori riflessioni sull’argomento in A. DE VIVO, Antiriciclaggio: le recenti risposte del Mef ai quesiti dei professionisti, in Il fisco, n. 23/2010, fasc. 2, p. 3691 e ss.).
22) Tale ultima interpretazione, senz’altro quella maggiormente coerente con lo stato dell’arte della normativa, era stata accolta
anche nelle Linee Guida del CNDCEC sulla adeguata verifica della clientela (vd. p. 17).
23) Ci si riferisce all’allegato “Scheda normativa e modulo operativo n. 6” alla circolare n. 83607 del 19 marzo 2012, Prevenzione e contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e dei traffici transfrontalieri di valuta, a cura del Comando Generale della Guardia di Finanza.
24) CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, cit., p. 41, ove si precisa: “in riferimento all’individuazione del titolare effettivo nel caso di società, la relazione al Decreto sembra confermare, pur indirettamente, che trovano applicazione le nozioni di controllo contenute nel codice civile e nel testo unico in materia di intermediazione finanziaria . Il parametro del possesso o controllo del 25% + 1 del capitale sociale deve, dunque, leggersi alla luce di tale nozione, costituendo un criterio residuale laddove non si riscontri la titolarità di una partecipazione superiore al 50% del capitale della società”. In senso conforme si veda anche ASSIREVI, Normativa “antiriciclaggio”: aspetti rilevanti per le società di revisione contabile, Documento di ricerca n. 147, in www.assirevi.it, p. 11.
25) BANCA D’ITALIA, Provvedimento recante disposizioni attuative in materia di adeguata verifica della clientela, ai sensi dell’art. 7, comma 2, del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, cit., p. 36.
26) Sugli obblighi di adeguata verifica semplificata e sui conseguenti adempimenti del professionista si veda CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, cit., p. 19 e ss.
27) CNDCEC, op. ult. cit., pp. 25-26.
28) In senso conforme si era già pronunciata in precedenza la GdF che, nelle citate istruzioni operative, faceva esplicitamente riferimento alla possibilità di avvalersi del disposto di cui al quarto comma dell’art. 38 (vd. Scheda normativa e modulo operativo n. 6, p. 19).
29) Si tratta delle già menzionate risposte ufficiali del 20.05.2010 (sull’argomento vd. S. DE ROSA, Antiriciclaggio, per il cambio di archivio va fissata una data di passaggio, in Il quotidiano del Commercialista, www.eutekne.info, 24 luglio 2013).
30) Per comodità si riporta il testo integrale dell’art. 16 (“Obblighi di adeguata verifica della clientela da parte dei professionisti e dei revisori contabili”):
“1. I professionisti di cui all’articolo 12 osservano gli obblighi di adeguata verifica della clientela nello svolgimento della propria attività professionale in forma individuale, associata o societaria, nei seguenti casi:
a) quando la prestazione professionale ha ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilità di valore pari o superiore a 15.000 euro;
b) quando eseguono prestazioni professionali occasionali che comportino la trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con una operazione unica o con più operazioni che appaiono tra di loro collegate per realizzare un’operazione frazionata;
c) tutte le volte che l’operazione sia di valore indeterminato o non determinabile. Ai fini dell’obbligo di adeguata verifica della clientela, la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi integra in ogni caso un’operazione di valore non determinabile;
d) quando vi è sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile;
e) quando vi sono dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione di un cliente.
2. I revisori contabili di cui all’articolo 13 osservano gli obblighi di adeguata verifica del cliente e di controllo dei dati acquisiti nello svolgimento della propria attività professionale in forma individuale, associata o societaria, nei casi indicati alle lettere c), d) ed e) del comma 1″.
31) L’art. 133 c.p. (“Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena”) testualmente recita: “Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione;
2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato;
3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.
32) Sugli aspetti sanzionatori, ex multis, G. STURZO, Gli illeciti penali e la confisca obbligatoria, in S. CAPOLUPO – M. CARBONE – S.M. BATTAGLIA – G. STURZO, Antiriciclaggio. Obblighi per professionisti, intermediari e altri soggetti, cit., pp. 636-640; M. GALLUCCI, Il sistema sanzionatorio, in A. DE VIVO – M. GALLUCCI, Antiriciclaggio. Nuova disciplina e problematiche applicative per i dottori commercialisti e per gli esperti contabili, Milano, 2009, p. 130; A. TRAVERSI, Le nuove sanzioni penali e amministrative, in Italia Oggi – Guida Giuridico Normativa, Le nuove regole antiriciclaggio, dicembre 2007, p. 163.
33) Su questo aspetto, anche per ulteriori riferimenti normativi e bibliografici, si rinvia alla nostra circ. n. 35/IR del 31 ottobre 2013, Le novità della bozza di quarta direttiva comunitaria in materia di obblighi antiriciclaggio per i professionisti, in www.irdcec.it, p. 13 e ss.
34) È quanto si conclude nella recente proposta ministeriale formulata dalla Commissione Greco (Ministero della giustizia, Relazione conclusiva del gruppo di studio per l’autoriciclaggio, 23 aprile 2013, in www.giustizia.it).
35) UIC, Chiarimenti all’Associazione dei Dottori Commercialisti, in Italia Oggi, 27 marzo 2007.
36) UIC, Istruzioni applicative in materia di obblighi di identificazione, registrazione e conservazione delle informazioni nonché di segnalazione delle operazioni sospette per finalità di prevenzione e contrasto del riciclaggio sul piano finanziario a carico di avvocati, notai, dottori commercialisti, revisori contabili, società di revisione, consulenti del lavoro, ragionieri e periti commerciali, Provvedimento 24 febbraio 2006, in www.bancaditalia.it.
37) Così L. DE ANGELIS, Affitti, registrazione vincolata all’ammontare del canone, in Italia Oggi – Sette, 11 novembre 2013, p. 4.
38) Ci si riferisce al parere del Consiglio di Stato n. 1504/1995, il cui contenuto è stato sostanzialmente confermato dal MEF nella circolare n. 2 del 16 gennaio 2012 (per una puntuale ricognizione in merito alla corretta interpretazione dell’art. 49 del d.lgs. n. 231/2007, si veda L. DE ANGELIS, Le regole e i divieti per le operazioni in contanti e titoli al portatore, in T. ARAGNO – L. DE ANGELIS -A. DE VIVO – G. SALERNO, Gli obblighi antiriciclaggio per dottori commercialisti e revisori legali, Milano, 2012, pp. 94-98).
39) MEF, Risposte ai quesiti inviati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili al Ministero
dell’Economia e delle finanze – Dipartimento del Tesoro – Direzione V – Valutario, antiriciclaggio ed antiusura, Nota 17 giugno
2008, prot. n. 65633, in www.commercialisti.it.
40) Quest’ultimo definisce l’operazione frazionata come “un’operazione unitaria sotto il profilo economico, di valore pari o superiore ai limiti stabiliti dal presente decreto, posta in essere attraverso più operazioni, singolarmente inferiori ai predetti limiti, effettuate in momenti diversi ed in un circoscritto periodo di tempo fissato in sette giorni ferma restando la sussistenza dell’operazione frazionata quando ricorrano elementi per ritenerla tale”.
41) Si ritiene, infatti, che il termine di sette giorni individuato dalla norma non possa in alcun caso ritenersi sufficiente ai fini della concreta individuazione di un’operazione frazionata. Di ciò è evidentemente consapevole anche il legislatore, il quale ha precisato che l’operazione frazionata sussiste in ogni caso quando precisi elementi convergano nel farla ritenere tale (A. DE VIVO, L’adeguata verifica della clientela, la registrazione e la conservazione dei dati. Le misure ulteriori, in A. DE VIVO – M. GALLUCCI, Antiriciclaggio.
Nuova disciplina e problematiche applicative per i dottori commercialisti e per gli esperti contabili, cit., p.78).
42) Comando Generale della Guardia di Finanza, circolare n. 83607/2012, cit., p. 33 ss.
43) Nostra circ. n. 35/IR del 31 ottobre 2013, Le novità della bozza di quarta direttiva comunitaria in materia di obblighi antiriciclaggio per i professionisti, cit., p. 15, ove, con riferimento alle segnalazioni “tardive”, si richiama quanto affermato dalla GdF nell’allegato alla circolare n. 83607/2012 (Scheda normativa e modulo operativo n. 6, p. 39).
44) CNDCEC, Antiriciclaggio (D.Lgs. 231/2007): Linee Guida per l’adeguata verifica della clientela, cit., p. 10.
45) Cfr. nostra circ. n. 6/IR del 22 ottobre 2008, Il trasferimento delle partecipazioni di società a responsabilità limitata per atto tra vivi alla luce della l. n. 133/2008, in www.irdcec.it, p. 7.
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