Il Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti con la circolare n. 36-IR del 3 dicembre 2013 , ha analizato alcuni profili di criticità in tema di antiriciclaggio soffermandosi su alcuni chiarimenti forniti di recente dal Mef, dall’Uif e dalla Guardia di Finanza in risposta a specifici quesiti attinenti all’applicazione della normativa di prevenzione antiriciclaggio dettata dal Dlgs 231/2007 con riguardo in particolare agli adempimenti a carico dei professionisti.
Per quanto concerne gli obblighi del collegio sindacale in tema di norme sull’antiriciclaggio qualora l’organo sia investito della revisione legale dei conti, il Mef, nel confermare la correttezza delle indicazioni operative a suo tempo fornite dall’Istituto di ricerca dei commercialisti (circolare n. 16/2010 dell’Irdcec), ha puntualizzato che gli obblighi di adeguata verifica della clientela, registrazione dei dati e segnalazione di operazioni sospette gravano in capo a ciascun dei componenti e non al collegio in quanto organo della società.
Il Ministero argomenta la propria tesi dalla lettura dell’articolo 12, comma 3-bis, del Dlgs 231/2007, introdotto con il Dlgs 151/2009 che ha dato opportunamente spazio all’esplicita previsione secondo cui «i componenti degli organi di controllo, comunque denominati» sono esonerati dai menzionati obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione di operazioni sospette anche laddove rivestano detta funzione in società che, per proprio conto, sono invece destinatarie di detti obblighi. La ratio dell’esclusione è fondata sulla considerazione che i componenti degli organi di controllo, a prescindere dal contesto societario di riferimento, non svolgono una prestazione professionale per conto dell’ente collettivo, ma sono inquadrabili nell’ambito di un rapporto organico con esso.
Fermo restando che laddove il collegio sindacale oltre al controllo di legalità svolga anche la revisione contabile, saranno i singoli sindaci a dovervi ottemperare, trattandosi di soggetti comunque tenuti al rispetto degli obblighi antiriciclaggio in quanto iscritti nel registro dei revisori contabili, categoria professionale destinataria del Decreto n. 231 ai sensi della specifica previsione dell’articolo 13. In tal caso, pertanto, ciascun sindaco dovrà identificare la società al momento dell’accettazione dell’incarico e registrare la relativa prestazione nel proprio archivio antiriciclaggio.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a conferma della propria interpretazione evidenzia il contenuto del comma 3-bis fa salvo in ogni caso il rispetto dell’articolo 52 del Dlgs 231/2007 in capo agli organi di controllo (collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di gestione, l’organismo di vigilanza e tutti gli altri soggetti incaricati del controllo di gestione comunque denominati), «ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni e competenze» in carica presso soggetti destinatari della normativa di prevenzione del riciclaggio (quali, ad esempio, enti creditizi e finanziari).
I componenti del Collegio sindacale e degli altri organi di controllo pur non essendo tenuti ad effettuare l’adeguata verifica della clientela, né a registrare e conservare i dati, né tanto meno a segnalare all’Uif eventuali operazioni sospette di riciclaggio, sono comunque obbligati alle seguenti comunicazioni:
a) all’Autorità di vigilanza di settore (quali, Banca d’Italia, Consob e Isvap) le eventuali infrazioni, di cui abbiano notizia, commesse nelle società e concernenti le disposizioni sulle modalità di adempimento degli obblighi di adeguata verifica, di organizzazione, di registrazione, di procedure e controlli interni;
b) al titolare dell’attività o al legale rappresentate o a un suo delegato le violazioni in materia di segnalazioni di operazioni sospette;
c) alla stessa Autorità di vigilanza di settore le infrazioni relative agli obblighi di registrazione di cui all’articolo 36 del Dlgs 231/2007;
d) al Mef le infrazioni in materia di utilizzo del contante e dei titoli al portatore di cui all’articolo 49 del decreto.
Si rammenta che la violazione dei predetti obblighi sono tutti presidiati da sanzioni penali e dunque a carattere necessariamente personale.
La norma come interpretata dal Ministero presenta rilevanti problemi applicativi in tutte quelle ipotesi i casi in cui emergano difformità di pensiero tra la persona fisica che intenda, ad esempio, effettuare la segnalazione, e l’organo collegiale che invece, deliberando a maggioranza, decida di non effettuarla. In detta circostanza la persona fisica singolo componente dell’organo di controllo potrà sempre pretendere la verbalizzazione del proprio dissenso rispetto alla delibera ma l’unico modo per mettersi al riparo da contestazioni è effettuare comunque la comunicazione prevista. Lo stesso Ministero ha precisato che trattandosi di obblighi, sanzionati anche penalmente, del singolo sindaco e non dell’organo collegiale, l’eventuale verbalizzazione del dissenso da parte di uno dei componenti l’organo non ha alcuna valenza automaticamente esimente della sua eventuale responsabilità, da valutare e graduare, in ogni caso, tenuto conto delle circostanze del caso di specie. Lo stesso discorso è valido anche con riguardo alle irregolarità sui contanti. I tale ipotesi, inerenti i contanti, gli obblighi antiriciclaggio gravano su ciascuna persona fisica componente il collegio e come tali non sono delegabili né ottemperabili collegialmente a mezzo del presidente.
Già in precedenza il CNDCEC in virtù del disposto del comma 3-bis dell’articolo 12 aveva affermato che gli organi di controllo, in particolare per i loro componenti, delle società non destinatarie del D.Lgs. n. 231 (società non rientranti nella tipologia di enti creditizi e finanziari) non fossero tenuti a segnalare al Mef le violazioni in materia di contante e titoli al portatore, benché per effetto del Dlgs 151/2009 gli organi di controllo societari, come si è visto, siano stati espressamente esonerati solo dagli obblighi di adeguata verifica, registrazione e segnalazione di operazioni sospette.
Il Ministero, con una interpretazione letterale della norma, contraddice la conclusione del CNDCEC sostenendo, pertanto, che i componenti del collegio sindacale, a prescindere anche dalla circostanza che questo sia investito della funzione di revisione legale (nel qual caso l’adempimento sarebbe stato comunque dovuto ai sensi dell’articolo 13), sono sempre tenuti all’osservanza degli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 51 del Dlgs 231/2007.
Fermo restando che il predetto obbligo in questione scatta con riferimento alle violazioni rilevate dai destinatari degli obblighi antiriciclaggio «in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività» e che sotto tale profilo il collegio sindacale non incaricato della revisione dei conti difficilmente può verificare operazioni come le transazioni in contanti delle quali è possibile accertare la regolarità solo dopo una verifica contabile.
Nelle ipotesi di società destinatarie degli adempimenti antiriciclaggio (quali enti creditizi e finanziari) l’Uif, in tema di obblighi del collegio sindacale, chiarisce che ciascun componente del collegio deve effettuare la comunicazione in merito alle violazioni in materia di segnalazione di operazioni sospette eventualmente riscontrate al titolare dell’attività o al legale rappresentate o a un suo delegato a mente dell’articolo 52 citato, dal momento che, si ribadisce, i componenti degli organi di controllo degli enti societari sono linea di massima esonerati dagli adempimenti antiriciclaggio di adeguata verifica, registrazione e segnalazione di operazioni sospette.
Pertanto le eventuali comunicazioni inviate direttamente all’Uif dai membri del collegio sindacale costituirebbero semplici elementi informativi che l’Unità può tenere in considerazione nell’ambito della propria attività istituzionale.
Discorso diverso nell’ipotesi in cui il collegio sindacale eserciti la revisione legale dei conti poiché i singoli sindaci restano invece destinatari in proprio degli obblighi antiriciclaggio a mente dell’articolo 13 del Dlgs n. 231, sicché essi saranno tenuti a procedere con la segnalazione di operazioni sospette direttamente all’Uif secondo le regole ordinarie.
In merito alle modalità attuative delle operazioni di adeguata verifica della clientela, il Mef ha chiarito che i documenti validi ai fini dell’identificazione sono quelli di cui agli articoli 1 e 35 del Dpr 445/2000 (carta di identità ed equipollenti, ossia il passaporto, la patente di guida, la patente nautica, il libretto di pensione, il patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici, il porto d’armi, le tessere di riconoscimento, purché munite di fotografia e di timbro o di altra segnatura equivalente, rilasciate da un’amministrazione dello Stato), precisando che qualora non sia possibile estrarne copia, è sufficiente acquisirne gli estremi ed ottemperare così all’obbligo di conservazione. Medesima procedura anche per gli altri documenti comunque acquisiti per l’adempimento dell’obbligo di adeguata verifica del cliente e del titolare effettivo, ossia della persona fisica per conto della quale è realizzata un’operazione o un’attività, ovvero, nel caso di entità giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano tale entità, ovvero ne risultano beneficiari.
Alta precisazione del Mef in ordine al titolare effettivo e che lo stesso non può essere individuato autonomamente dal professionista, neppure nel caso in cui ciò risulti agevole, in quanto tale obbligo, in base all’articolo 21 del Dlgs 231/2007, è posto in capo al cliente atteso che questi è tenuto a fornire, sotto la propria responsabilità, tutte le informazioni necessarie e aggiornate per consentire ai destinatari del Decreto stesso di adempiere gli obblighi in parola.
Il Mef ha chiarito anche alcune problematiche connesse alla registrazione dei dati. In particolare i dubbi sorti a seguito di una istruzione operativa di segno contrario emanata dalla GdF.
Infatti per il Ministero è confermato che in assenza delle disposizioni in materia di registrazione dei dati attuative dell’articolo 38, comma 7, del Dlgs 231/2007 trovano ancora applicazione le disposizioni contenute nel Dm 141/2006 e nelle relative istruzioni operative dell’ex Uic in base alle quali è sufficiente che il titolare effettivo venga individuato e identificato con conservazione dei dati nel fascicolo del cliente senza obbligo di registrazione in archivio informatico/cartaceo. In merito, il Mef ha chiarito che la possibilità di rendere disponibili i dati e le informazioni registrate entro tre giorni dalla richiesta degli organi preposti alla vigilanza è riconosciuta dal citato articolo 38, comma 4, del Dlgs n. 231 ai soli professionisti che abbiano adottato, ai fini della registrazione, l’archivio cartaceo, dal momento che l’adozione di quello informatico garantisce l’immediatezza delle informazioni.
Con riferimento alla portata degli obblighi di registrazione che a mente dell’articolo 36 del Dlgs n. 231 attiene alle prestazioni professionali di valore pari o superiori a 15mila euro, il Mef ha poi spiegato che qualora la prestazione consista in un’attività di assistenza al cliente nella predisposizione e successiva stipulazione di contratti di locazione di immobili la stessa è sicuramente soggetta agli obblighi antiriciclaggio poiché inquadrabile nella fattispecie di cui all’articolo 12, comma 1, lettera c), n. 2, del Dlgs 231/2007, cioè «gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni». Quanto al valore-soglia (15mila euro) dell’operazione, bisogna fare riferimento al relativo canone mensile ovvero (se diversamente concordato) a quello periodico risultante dal contratto di affitto sottoscritto dalle parti: ricadono dunque nell’alveo di applicazione degli obblighi antiriciclaggio soltanto le locazioni più importanti, ossia quelle con canone periodico (verosimilmente semestrale o annuale) superiore a 15mila euro.
Anche in merito alla limitazione dell’uso del contanti vengono forniti importanti accenni. Le difficoltà di applicazione maggiormente rilevato sono state rilevate in merito al frazionamento, atteso che, com’è noto, è vietato il trasferimento in contanti anche quando è effettuato con più pagamenti inferiori alla soglia (attualmente pari a 1.000 euro) ove appaiano artificiosamente frazionati per aggirare la normativa che limita la circolazione del contante.
I questi posti al Mef hanno riguardato in particolare la liceità di prelevamenti effettuati dai soci di società di persone a titolo di acconti di utili in rate mensili inferiori ai mille euro ovvero l’ammissibilità per le società di capitali di pagare ai soci, entro il limite indicato, dividendi in contanti in più rate.
Ai quesiti il ministero ha risposto evidenziando la ratio del divieto ed escludendo di conseguenza l’intento elusivo in quelle ipotesi in cui l’effettuazione di una pluralità di pagamenti sia connaturata ad una determinata prassi commerciale, rientri nella dinamica propria di un determinato tipo contrattuale (contratto di somministrazione) ovvero se risulti da un accordo scritto tra le parti, stipulato prima dell’effettuazione dei pagamenti oggetto di accordo.
Purtuttavia, osserva ancora il Mef, l’Amministrazione, pur in presenza di uno specifico accordo tra le parti, riserva a sé la valutazione discrezionale, in ordine alla concreta sussistenza di un frazionamento artificioso, commesso con lo specifico scopo, desumibile dalla complessiva analisi della fattispecie concreta, di eludere la normativa. La stessa “elasticità” di valutazione vale anche nel caso in cui la pluralità di operazioni siano poste in essere in un arco temporale superiore ai 7 giorni, periodo entro il quale invece a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera m) del Dlgs 231/2007 l’operazione si presume unica.
È stato infine posto anche il problema del pagamento rateale dello stipendio per importi complessivi superiori a mille euro. Il Mef ha in proposito rimarcato che al rateizzazione dello stipendio in tranches, ciascuna inferiore alla soglia di legge, non è ammissibile, salvo che dall’accordo scritto delle parti – a maggior ragione se conforme a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva, nazionale e integrativa di categoria – risulti che la corresponsione dello stipendio in ratei rappresenti una modalità tipica di adempimento della prestazione gravante sul datore di lavoro.
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