Segnalazione dei reati fiscali
Lo studio del Notariato individua il momento in scatta l’obbligo di segnalazione
In base allo studio il Consiglio nazionale ritiene, ai sensi dell’art. 41 del D.Lgs. n. 231/2007, che l’obbligo di segnalazione sussiste qualora i soggetti sappiano, sospettino o abbiano motivi ragionevoli per sospettare che siano in corso o che siano state compiute o tentate operazioni di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo, nello studio viene affermato che il “sospetto”, per assumere rilevanza ai fini della normativa antiriciclaggio, non deve essere riferito esclusivamente al “reato tributario”, bensì al “riciclaggio” di beni provenienti da quella particolare specie di attività criminosa rappresentata dalla violazione di obblighi fiscali penalmente sanzionati.
Pertanto è necessario che siano in corso o siano state tentate operazioni di riciclaggio, e deve risultare essenziale essere a conoscenza di un’attività criminosa dalla quale i beni provengano o almeno il sospettare che gli stessi provengano da un’attività criminosa. Nello studio si indaga quindi la possibilità che nell’ambito delle attività criminose dalle quali un bene proviene vengano inclusi i reati tributari e si dà atto dei dubbi che, al riguardo, sono stati espressi da una parte della dottrina, secondo cui non è configurabile la possibilità che un bene, di regola una somma di denaro, possa provenire da un’attività di evasione fiscale, dal momento che quest’ultima di per sé non genera proventi, limitandosi a determinare un risparmio fiscale su una ricchezza.
Ai fini della segnalazione di operazioni sospette di riciclaggio (ex art. 41 del DLgs. 231/2007), peraltro, occorre considerare talune macro-limitazioni. In particolare:
- il DLgs. 74/2000 attiene alle imposte dirette ed all’IVA. Di conseguenza, in presenza di evasione (ed elusione) concernente l’IRAP e le imposte indirette diverse dell’IVA, le relative condotte non possono qualificarsi come attività criminosa e, quindi, in relazione ad esse, non può mai parlarsi di riciclaggio;
- la maggior parte dei reati tributari è caratterizzato da soglie quantitative al solo superamento delle quali la condotta assurge a rilevanza penale (soglie di punibilità) e, quindi, ad eventuale presupposto di riciclaggio;
- nei reati dichiarativi l’attività di riciclaggio dei relativi proventi può concepirsi solo dal relativo momento consumativo (presentazione od omessa presentazione della dichiarazione).
In base alle considerazioni fatte nello studio del Notariato una rilevante quantità dei delitti tributari sarebbero esclusi dall’area di quelli suscettibili di costituire presupposto del riciclaggio, in quanto, appunto, non in grado di provocare un effettivo incremento del patrimonio. Nello studio, si elimina l’ipotesi in cui non si sia ancora verificato né il reato presupposto né la conseguente attività di riciclaggio e si chiarisce che, in simili casi, un obbligo di segnalazione potrà configurarsi solo eccezionalmente, in presenza di inequivocabili indizi in ordine all’integrazione prima del reato tributario e poi dell’attività di riciclaggio.
Nella circostanza che esistano elementi da cui possa sorgere il sospetto che già in precedenza siano stati commessi uno o più reati fiscali e che mediante l’acquisto di un determinato bene con il profitto di tali reati tributari, si intenda riciclare le somme frutto dei reati fiscali medesimi, nello studio viene illustrato che in tale ipotesi la problematica non riguarda tanto i limiti giuridici dell’obbligo di segnalazione, quanto piuttosto alla valutazione degli elementi a disposizione del notaio per considerare come sospetta l’operazione e si evidenzia che tale valutazione deve avvenire sulla base dei soli documenti che il notaio è tenuto a chiedere per il corretto svolgimento delle proprie funzioni, senza dunque che possa configurarsi a suo carico un obbligo di penetranti indagini tese ad escludere l’esistenza di pregressi reati fiscali.
La parte finale dello studio e dedicata ad esaminare i confini dell’obbligo di segnalazione di operazione sospetta nell’ ipotesi di elusione fiscale. Infatti non tutte le forma di elusione assurge a reato e che certamente rimangono fuori dal perimetro della rilevanza penale le condotte elusive diverse da quelle relative a imposte sui redditi e da quelle che, pur attinenti alle imposte sui redditi, non comportano il superamento delle soglie di imposta e imponibile previste dalla legge.
Viene, infine, ricordato come, nonostante l’orientamento avverso della prevalente dottrina, la SupremaCorte, nella sentenza 28 febbraio 2012 n. 7739 (si veda anche la recentissima Cass. 3 maggio 2013 n. 19100), abbia stabilito che le condotte elusive corrispondenti ad ipotesi espressamente previste dalla legge (art. 37-bis del DPR 600/73) possono presentare rilevanza penale ex art. 4 del DLgs. 74/2000.
Per tal via:
- da un lato, sono esclusi quei casi nei quali la contestazione tragga origine non dall’applicazione di una specifica norma antielusiva, quanto piuttosto dall’applicazione del generale principio di divieto di abuso del diritto di matrice giurisprudenziale;
- dall’altro, restano fuori le condotte elusive relative ad imposte diverse da quelle sui redditi (l’art. 37-bis del DPR 600/73 non si riferisce all’IVA) ovvero ad esse attinenti, ma senza integrare alcuna delle operazioni elencate nella citata disposizione tributaria.
In ogni caso, anche nei casi di rilevanza penale dell’elusione fiscale dovrebbe configurarsi l’obbligo di segnalazione delle operazioni sospettate di riciclare il relativo risparmio d’imposta. Rispetto ad esse, tuttavia, è evidenziato come non sia affatto agevole ravvisare una violazione del dovere di segnalazione in relazione ad una fattispecie così articolata e dai contorni così fortemente discrezionali.
Documentazione allegata
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