AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 31 maggio 2019, n. 177
Interpello articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212 – articolo 6 del d.l. n. 119 del 2018 – definizione agevolata controversie tributarie
Con l’interpello specificato in oggetto è stato esposto il seguente
Quesito
La società [ALFA] (di seguito istante) fa presente quanto qui sinteticamente riportato.
L’istante ha realizzato due impianti fotovoltaici nel 2010, investimenti per i quali, all’epoca della loro realizzazione, era prevista l’agevolazione di cui all’articolo 6, commi da 13 a 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (cd. Tremonti ambiente), ai sensi della quale la quota di reddito delle piccole e medie imprese destinata ad investimenti ambientali, tra cui gli investimenti in impianti fotovoltaici, non concorreva alla formazione del reddito imponibile.
Avuto riguardo alla spettanza di tale agevolazione, l’istante avrebbe subito, nel periodo d’imposta di competenza (2011), una perdita fiscale di […] euro, che, tuttavia, erroneamente non indicava nella relativa dichiarazione dei redditi; senza la variazione in diminuzione corrispondente al valore dell’investimento ambientale rilevante ex articolo 6, comma 13 e ss., della l. n. 388 del 2000, l’istante assume di aver così dichiarato, per il predetto periodo d’imposta, un reddito di […]euro, con una conseguente IRES di […]euro.
L’istante presentava quindi all’Agenzia delle entrate […], in data […], apposita istanza di rimborso della maggiore IRES versata per effetto della mancata deduzione, nell’originaria dichiarazione per l’anno 2011, dei costi ambientali di cui al citato articolo 6. Nell’istanza di rimborso l’istante domandava, in ragione della spettanza dell’agevolazione “Tremonti ambiente”, il rimborso dell’imposta pagata per il 2011.
Inoltre, l’istante presentava successivamente, sempre per il 2011, oltre il termine annuale all’epoca previsto, dichiarazione integrativa in diminuzione, ai sensi dell’articolo 2, comma 8-bis, del decreto del Presidente della Repubblica del 22 luglio 1998, n. 322, a rettifica dell’errore che assume di avere commesso. La conseguente perdita veniva parzialmente utilizzata nelle dichiarazioni relative ai successivi periodi d’imposta.
L’Agenzia delle entrate ha inviato all’istante, sia per il 2012 che per il 2013, le comunicazioni d’irregolarità delle relative dichiarazioni, seguite dalle successive cartelle di pagamento, tramite le quali, non riconoscendo la spettanza della perdita dichiarata dalla società mediante la dichiarazione integrativa relativa al 2011, ha disconosciuto conseguentemente la quota di essa utilizzata relativamente al 2012 e 2013, quantificando l’IRES dovuta per tali anni.
A tali cartelle è seguita poi la notifica (alla data dell’interpello) anche di quelle relative al 2014 e 2015.
Dalla vicenda è scaturito un contenzioso.
Con un primo ricorso, notificato il […], l’istante ha impugnato sia il rifiuto tacito formatosi in riferimento alla predetta istanza di rimborso sia le comunicazioni di irregolarità per 2012 e 2013; il ricorso è stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale con la sentenza n. […]. Impugnata in sede di appello, tale decisione è stata integralmente riformata dalla Commissione tributaria regionale, che, con la sentenza n. […], ha accolto le domande dell’istante. Il processo tributario è pendente in Corte di cassazione, a seguito di ricorso dell’Agenzia delle entrate.
L’istante ha altresì impugnato:
– le cartelle di pagamento per 2012 e 2013, annullate dalla Commissione tributaria provinciale con sentenza n. […]. Il processo tributario è attualmente pendente in Commissione tributaria regionale, a seguito dell’appello dell’Ufficio;
– la cartella di pagamento per il 2014; il relativo processo è pendente in Commissione tributaria provinciale, che, con ordinanza n. […], ha sospeso il giudizio ai sensi dell’articolo 39 del decreto legislativo del 31 dicembre 1992 n. 546 per dipendenza rispetto alla controversia pendente in Cassazione.
Tanto premesso, l’istante chiede di sapere se sia possibile definire la controversia concernente il rifiuto tacito di restituzione di tributi pendente in Cassazione ai sensi dell’articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, al fine di conseguire l’”affrancamento” della perdita che assume di aver maturato nel periodo d’imposta 2011.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’istante assume come la descritta controversia possa essere definita ai sensi dell’articolo 6 del d.l. n. 119 del 2018, con conseguente possibilità di affrancare la perdita derivante dalla spettanza dell’agevolazione (e di riportarla quindi negli esercizi successivi a quello di sua formazione, con conseguente cessazione dei contenziosi relativi ai periodi d’imposta successivi al 2011), per le ragioni di seguito esposte.
L’articolo 6 del d.l. n. 119 del 2018 prevede che siano definibili le controversie tributarie, in cui è parte l’Agenzia delle entrate, pendenti in ogni stato e grado alla data di entrata in vigore del decreto-legge e aventi ad oggetto atti impositivi.
Nella circolare n. 6/E del 1° aprile 2019, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto che non sono definibili le controversie concernenti:
1) il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi;
2) la spettanza di un’agevolazione, poiché la definizione agevolata della controversia tributaria pendente presuppone che la stessa esprima un determinato valore sul quale calcolare le somme dovute, valore che risulta carente laddove la lite riguardi esclusivamente la spettanza (an) senza quantificazione (quantum) di un’agevolazione tributaria.
Ebbene, nel caso in esame, assume l’istante che oggetto della controversia sarebbe solo formalmente il rifiuto tacito del rimborso, mentre nella sostanza sarebbe il riconoscimento della perdita rilevante ai fini della determinazione del reddito l’effettivo oggetto del contenzioso.
Ciò premesso, l’istante ritiene che la causa pendente in Cassazione possa esse definita ai sensi dell’articolo 6 del d.l. n. 119 del 2018, attesa la reale natura dell’oggetto del giudizio, da identificare nel rifiuto tacito da parte dell’Agenzia della spettanza dell’agevolazione e quindi della perdita da essa derivante, utilizzabile dall’istante per abbattere il proprio reddito. Dalla definizione conseguirebbe, assume l’istante, il venire meno delle pretese relative al disconoscimento delle perdite per gli anni successivi al 2011 con la conseguente cessazione della materia del contendere per tutti i contenziosi relativi ai periodi di imposta in cui è stata disconosciuta la perdita.
Parere dell’agenzia delle entrate
Non è condivisibile la soluzione prospettata dall’istante con riferimento alla “controversia autonoma” concernente l’istanza di rimborso.
L’articolo 6 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136, prevede che “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia è stabilito ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546”.
Si tratta di un istituto che consente ai contribuenti di chiudere la controversia tributaria con il pagamento di determinati importi correlati al valore della controversia, che viene individuato a norma dell’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui “Per valore della lite si intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.
La circolare n. 6/E del 1° aprile 2019 ha chiarito che per atti impositivi si intendono “avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati e ogni altro atto di imposizione che rechi una pretesa tributaria quantificata”.
Se dunque la definizione agevolata riguarda gli atti che recano una pretesa tributaria da parte dell’Agenzia, sono escluse le richieste del contribuente di restituzione di tributi.
Ciò vale anche quando l’istanza di rimborso dovesse contenere o presupporre il riconoscimento di un’agevolazione tributaria, difettando comunque l’atto impositivo come inteso dall’articolo 6 in commento (vale a dire recante un credito tributario quantificato e chiesto dall’Amministrazione finanziaria a rettifica di quanto dichiarato dal contribuente), pur a voler tralasciare o non affrontare in questa sede la questione sulla richiesta di riconoscimento ovvero la dichiarazione di una perdita da riportare ed utilizzare in periodi d’imposta successivi non sembra ammessa con la forma propria dell’istanza di rimborso.
Questa conclusione del resto risulta coerente col principio di carattere generale ribadito dalle sezioni unite della Cassazione con sentenza n. 16692 del 6 luglio 2017, secondo cui “Per natura, il condono incide sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti, in quanto si traduce in una forma atipica di definizione del rapporto tributario, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie […] (si veda, in particolare, sul punto, Corte cost. 13 luglio 1995, n. 321).”
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