AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 04 ottobre 2021, n. 654
Articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017 – Carried interest – Requisito dell’investimento minimo – Conversione in diversa categoria di azioni
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
La società ALFA S.p.A. (di seguito “Società” o “Istante”) i cui soci fondatori sono le seguenti persone fisiche: PF1, PF2, PF3, PF4 nonché GAMMA Holding S.r.l. e PF5 è stata oggetto di un’operazione societaria – non oggetto nel presente interpello – per effetto della quale la partecipazione di maggioranza del capitale sociale è oggi detenuta dall’investitore BETA S.r.l. (di seguito, la “Controllante”).
Più precisamente, la Controllante ha acquistato 11.860 azioni (delle originarie 34.000) da alcuni dei soci fondatori ed ha sottoscritto un aumento di capitale – ad essa riservato – pari ad euro 9.000.000 con relativa emissione di 17.791 azioni di categoria A.
A seguito di tale operazione, il capitale sociale è detenuto:
– al 57,25 per cento dalla Controllante;
– al 17,12 per cento da PF1;
– al 12,48 per cento da PF2;
– al 12,49 per cento da GAMMA Holding Srl (il cui capitale è detenuto per il 70 per cento da PF5);
– allo 0,66 per cento da PF3.
In ragione del nuovo assetto societario i diritti di partecipazione sono suddivisi in:
– azioni di categoria A prive di valore nominale, sottoscritte unicamente dalla Controllante;
– azioni di categoria B prive di valore nominale, sottoscritte dalla restante compagine sociale, con i medesimi diritti patrimoniali delle azioni A, ma con diritto di veto su alcune decisioni assembleari, con limiti alla circolazione e con opzione di acquisto a favore della Controllante in caso di eventi di bad leaver di seguito descritti.
La Società, inoltre, avrebbe intenzione di emettere altre due categorie di azioni:
– di categoria C, prive di diritto di voto che sarebbero emesse nel solo caso in cui il sig. PF5 violasse gli obblighi di trasferimento delle partecipazioni detenute indirettamente attraverso la società GAMMA Holding S.r.l.;
– di categoria D da emettere a favore dei due amministratori delegati, PF5 e PF2, nonché del dirigente, PF3, e derivanti dalla conversione di parte delle azioni B.
Con riferimento alla conversione di azioni di categoria B in azioni di categoria D, l’Istante ha dichiarato che tale conversione comporterebbe in sostanza una mera modifica dei diritti legati alle azioni stesse, avverrebbe con il consenso unanime dei soci, sulla base di un rapporto di conversione pari a 1:1 e senza alcun conguaglio in denaro o operazione sul capitale.
In merito alla categoria di azioni D, l’Istante ha precisato che le stesse avrebbero diritti amministrativi identici alle azioni di categoria B, ma diritti patrimoniali rafforzati. Tali diritti sarebbero riconosciuti solo al verificarsi di c.d. “eventi di liquidità”, vale a dire:
– liquidazione della Società;
– cambio di controllo;
– quotazione su un mercato regolamentato;
– conferimento dell’intera azienda e conseguente distribuzione dei dividendi ai soci.
I diritti patrimoniali rafforzati che potrebbero essere riconosciuti al verificarsi di un evento di liquidità sono in ogni caso subordinati al raggiungimento di specifici parametri di performance con un hurdle rate minimo pari a 2x.
L’Istante ha, inoltre, dichiarato che con lettera di intenti i manager si sono impegnati “a mantenere un rapporto di lavoro con la Società per almeno cinque anni o per l’intera durata dell’investimento se minore”, mentre nello statuto della Società è previsto un divieto di trasferimento per tutte le categorie di azioni sino alla data di approvazione del bilancio della Società al 31/12/2023.
Con riferimento alle ipotesi di bad leaver è prevista la perdita di qualsiasi diritto ad un eventuale extra-rendimento e il diritto in capo alla Controllante di riacquistare ad un prezzo pari al valore di mercato tutte le azioni detenute (sia di categoria B che di categoria D) dal soggetto nei cui confronti si è verificato l’evento di leaver ovvero tutte le azioni di categoria B detenute da tutti i soci minoritari nell’ipotesi in cui l’evento di bad leaver si verifichi nei confronti di entrambi gli amministratori delegati. Per quanto concerne, invece, l’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro o di amministrazione in ipotesi di good leaver è previsto che il titolare possa continuare a mantenere la titolarità delle azioni e il correlato diritto all’extra-rendimento, mentre nelle ipotesi di intermediate leaver è previsto il diritto a percepire l’eventuale quota di extrarendimento in misura proporzionale alla durata del rapporto di amministrazione o di lavoro subordinato.
Ciò premesso, con riferimento alla prospettata ipotesi di conversione, l’Istante formula due quesiti. In particolare, chiede di conoscere il trattamento fiscale riservato alla conversione della azioni di categoria B in azioni di categoria D ed altresì se, per i proventi qualificabili in termini di extra-rendimento che potrebbero essere percepiti dai manager in relazione alle azioni di categoria D, possano trovare applicazione le previsioni di cui all’art. 60 del DL n. 50/2017.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
Con riferimento alla conversione di azioni di categoria B in azioni di categoria D, l’Istante , partendo dall’assunto generale che la conversione in parola sia civilisticamente legittima e quindi consentita, ritiene che la stessa sia da considerarsi neutrale da un punto di vista fiscale, in quanto non genera né un evento realizzativo ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lettera c-bis), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) né un “salto d’imposta”, in quanto non è previsto nessun conguaglio in denaro né nessuna ulteriore operazione sul capitale sociale e/o ulteriori cambiamenti dell’assetto societario.
Per quanto concerne l’idoneità delle azioni di categoria D a rispettare i requisiti di cui alla normativa sul cd. carried interest prevista dall’articolo 60, del decreto legge n. 50 del 2017, l’Istante ha dichiarato che nel caso di specie sussisterebbero tutti e tre i requisiti pervisti dalla citata disposizione.
In particolare, con riferimento al primo requisito, l’Istante ritiene debba considerarsi soddisfatto, in quanto l’investimento complessivo dei tre manager/soci “è pari al 25,63 per cento del patrimonio netto della società” e che, in ogni caso, anche qualora la presente condizione di carattere quantitativo dovesse essere verificata in capo alle sole azioni di categoria D, “le stesse saranno comunque complessivamente uguali o superiori all’1 per cento del patrimonio netto della Società”.
Per quanto concerne il secondo requisito, l’Istante ritiene che la circostanza per cui le azioni di categoria D abbiano diritti patrimoniali “di base” omogenei alle altre categorie di azioni e, solo in presenza di un “evento di liquidità” riconoscano un extrarendimento, fornisca una prova della postergazione del diritto al carried interest richiesta dalla norma. Il diritto all’extra-rendimento risulterebbe altresì provato dalla circostanza che lo stesso è subordinato al raggiungimento di specifici parametri di performance.Da ultimo, il terzo requisito dovrebbe considerarsi rispettato in base alle previsioni contenute nella lettera di intenti che prevede che “ai fini del perfezionamento dell’operazione, ….ritiene essenziale l’impegno dei Sig.ri ……. a mantenere un rapporto di lavoro con la Società per almeno cinque anni o per l’intera durata dell’investimento se minore”.
Parere dell’Agenzia delle entrate
L’articolo 60, comma 1, decreto legge 24 aprile 2017, n. 50 prevede che i «proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati», si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, «in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi».
La presunzione in questione, operante ope legis, è applicabile in presenza delle condizioni individuate dal medesimo articolo, comma 1, lettere a), b) e c), ovvero:
«a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori di cui al presente comma, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1 per cento dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;
c) le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».
Come chiarito dalla relazione illustrativa al citato decreto legge n. 50 del 2017, la sussistenza dei richiamati requisiti è garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ciò che costituisce la ratio dell’assimilazione dei proventi in argomento ai redditi di natura finanziaria.
Con particolare riferimento al requisito dell’ammontare dell’investimento minimo previsto dalla lettera a) dell’articolo 60 citato, nella Circolare 16 ottobre 2017, n. 25/E è stato chiarito che al suo raggiungimento concorrono tutti i dipendenti e amministratori titolari di diritti patrimoniali rafforzati nonché l’ammontare sottoscritto dagli stessi manager e dipendenti in strumenti finanziari senza diritti patrimoniali rafforzati.
I quesiti prospettati nella presente istanza riguardano in primo luogo la qualificazione fiscale dell’operazione di conversione di una parte delle azioni di categoria B in una differente categoria (azioni D) che prevede i medesimi diritti amministrativi, ma diritti patrimoniali ulteriori (c.d. extra-rendimento) subordinati al raggiungimento di specifici livelli di performance aziendale ed altresì al verificarsi di uno degli eventi di liquidità statutariamente previsti.
In base a quanto illustrato in istanza, l’operazione di conversione delle suddette azioni “è da intendersi quale mera conversione di azioni di una categoria, in azioni di altra categoria, senza alcuna soluzione di continuità e senza modifica nel valore delle stesse. Tale conversione comporterebbe una mera modifica dei diritti legati alle stesse azioni senza in alcun modo modificare al momento della conversione il valore delle stesse”.
Inoltre tale conversione avverrebbe con il consenso unanime dei soci facenti parti della nuova compagine sociale e sulla base di un rapporto di conversione pari a 1:1, senza che sia previsto alcun conguaglio in denaro.
Da quanto indicato nell’istanza, la conversione in esame comporta l’annullamento di una parte delle azioni di tipo B e l’emissione di azioni di tipo D, senza aumento del capitale sociale (le azioni sono prive di valore nominale) e con un rapporto di cambio alla pari. Di conseguenza, l’operazione non produce effetti realizzativi in capo ai titolari delle azioni oggetto di conversione.
Per quanto concerne invece la riconducibilità della fattispecie descritta alle previsioni dell’articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, ed in particolare in merito alla percentuale di partecipazione degli amministratori e manager, l’Istante ha affermato che l’investimento complessivo da parte degli stessi è pari al 25,63 per cento del patrimonio netto della Società e che, considerando anche solo le azioni di categoria D, le stesse saranno comunque complessivamente uguali o superiori all’1 per cento del patrimonio netto della Società.
Al riguardo si evidenzia, che il summenzionato meccanismo di conversione da azioni di categoria B ad azioni di categoria D risulta essere incoerente con il dettato normativo in esame.
In particolare si vuole porre l’attenzione sul concetto di “esborso effettivo” pari ad almeno l’1 per cento del patrimonio netto espressamente previsto dalla norma.
Con tale nozione il legislatore ha inteso riferirsi ad un esborso monetario effettivo da raffrontare al patrimonio netto effettivo della società, da computarsi a valori correnti determinabili sulla base di apposite perizie di stima, tenendo conto anche dell’investimento effettuato dai manager o dai dipendenti.
L’Istante al riguardo ha affermato che l’operazione di conversione “non è da intendersi quale scambio/permuta di azioni di una determinata categoria con azioni diverse, bensì è da intendersi quale mera conversione di azioni di una categoria, in azioni di altra categoria, senza alcuna soluzione di continuità e senza modifica nel valore delle stesse. Tale conversione comporterebbe una mera modifica dei diritti legati alle stesse azioni senza in alcun modo modificare al momento della conversione il valore delle stesse”.
Ne consegue che l’acquisizione delle azioni con diritti patrimoniali rafforzati non sarebbe accompagnata da alcun “esborso effettivo” da parte dei manager come invece richiesto dalla disposizione in esame.
Del resto, anche prendendo in considerazione gli importi versati dai manager per l’originaria sottoscrizione delle azioni di categoria B, si ritiene che il parametro di commisurazione dell’entità dell’investimento minimo non possa prescindere da una valutazione dall’effettivo esborso monetario sostenuto dagli stessi per la sottoscrizione delle azioni con diritti patrimoniali rafforzati. Ed altresì, da un raffronto con i dati riportati nella lettera d’intenti, sembrerebbe emergere che l’esborso monetario originario in relazione alle azioni di categoria B attualmente detenute dai manager sia ampiamente inferiore al limite richiesto dalla norma in esame.
Una differente interpretazione, del resto, comporterebbe una violazione della ratio del decreto legge n. 50 del 2017 che richiede un allineamento degli interessi tra manager e soci ordinari, laddove – nel caso di specie – l’allineamento è già presente in re ipsa nella qualifica di socio ordinario che ciascun manager riveste nella medesima percentuale già da prima della conversione delle azioni.
In considerazione di quanto premesso, si ritiene che il progetto di investimento descritto nell’istanza e consistente nella conversione di azioni di categoria B in azioni di categoria D dotate di diritti patrimoniali rafforzati, non possa rientrare nella presunzione legale di cui al citato articolo 60 del decreto legge n. 50 del 2017, in quanto non è volto all’allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, essendo i manager/soci esposti a tale rischio nella medesima misura già prima della conversione di parte delle azioni detenute.
Il presente parere viene reso esclusivamente in relazione al quesito formulato, sulla base degli elementi rappresentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, ed esula da ogni valutazione circa fatti e/o circostanze non rappresentate nell’istanza e riscontrabili solo in eventuale sede di accertamento anche sotto il profilo dell’abuso del diritto ai sensi dell’articolo 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212.
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