La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 22827 depositata il 08 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento fiscale ha affermato che qualora il fisco annulla il provvedimento di autotutela con il quale ha reso invalido un atto impositivo deve procedere a un nuovo accertamento non potendo rivivere il vecchio procedimento.
La vicenda nasce da un controllo fiscale effettuato nei confronti di una società dal quale erano emersi una serie di rilievi in materie di IVA ed imposte dirette sulla base del quale venivano emessi un avviso di accertamento per le imposte dirette ed un avviso di rettifica IVA. Con provvedimento, in autotutela, del 31.1.2002 l’Ufficio annullava detto atto di contestazione riconoscendo l’insussistenza di responsabilità in capo alla società ed individuando in un terzo, professionista, il trasgressore responsabile delle violazioni amministrative in materia fiscale. Successivamente al provvedimento in autotutela si svolgeva il contraddittorio, tra contribuente ed Amministrazione finanziaria, relativo al procedimento di accertamento con adesione che veniva definito con un atto con il quale si determinavano maggiori imposte oltre interessi, mentre le sanzioni venivano annullate.
A tal punto l’Ufficio procedeva ad annullare il precedente provvedimento emesso in autotutela e, sui presupposto che tale secondo annullamento facesse rivivere il precedente atto di contestazione relativo alle sanzioni, assegnava alla contribuente termine per la proposizione di eventuale impugnazione.
Avverso tali provvedimento la società contribuente ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale, i cui giudici accoglievano il ricorso della ricorrente con l’annullamento degli atti contestati. L’Ufficio ricorreva avverso la sentenza dei giudici di prime cure alla Commissione Tributaria Regionale che, invece, confermava la decisione della CTP. Infatti i giudici della CTR evidenziavano che “l’annullamento dell’annullamento dell’ atto in autotutela non era previsto da alcuna norma e che, in ogni caso, non si poteva fare rivivere un provvedimento che aveva perso efficacia con ulteriore conseguente illegittima sospensione dei termini per il ricorso.”
L’Agenzia delle Entrate ricorreva avverso la decisione dei giudici di merito alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza basando, il relativo ricorso, su un unico motivo di censura.
Gli Ermellini nel rigettare il ricorso proposto dall’Agenzia hanno precisato che “l’esercizio del potere di autotutela non implica consumazione del potere impositivo, sicché rimosso con effetto “ex tunc” l’atto dì accertamento illegittimo od infondato, l’Amministrazione finanziaria conserva ed anzi è tenuta ad esercitare -nella permanenza dei presupposti di fatto e dì diritto- la potestà impositiva (Cass.n.16115/07; id.n.14377/07, id.n.10376/2011 tutte in materia di imposte reddituali); che il potere di sostituzione dell’atto impositivo incontra i soli limiti del termine decadenziale previsto per la notifica degli avvisi di accertamento e del divieto od elusione del giudicato sostanziale formatosi sull’atto viziato(Cass. n.11114/2003; id.n.24620/2006) nonché del diritto di difesa del contribuente (Cass.n.7335/2010).”
Pertanto alla stregua dei principi esposti, i giudici di legittimità, ed in considerazione delle circostanze nel caso di specie in cui l’Ufficio si limitava ad annullare l’atto, hanno precisato che da “tale annullamento non può farsi conseguire, come al contrario ritenuto dall’Agenzia delle Entrate, l’ulteriore effetto di riviviscenza dell’originario atto impositivo il quale, travolto dal primo provvedimento, è stato definitamene eliminato dall’ordinamento.”
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