La vicenda ha riguardato l’amministratore, in qualità di socio accomandatario di una S.a.s. fallita, il quale veniva condannato per il reato di bancarotta fraudolenta documentale (art. 216. c. 1 n. 2 L. Fall.) pur, risultando, essere stato precedentemente condannato per il delitto tributario di occultamento e/o distruzione della contabilità (art. 10 D.Lgs. n. 74/00).
Avverso la decisione dei giudici di appello proponeva ricorso in cassazione fondato su tre motivi. In particolare veniva eccepito la violazione del principio del ne bis in idem ex art. 649 Cod. Proc. Pen.
Gli Ermellini hanno ritenuto il ricorso infondato, quanto alla suddetta eccezione, mentre ha disposto il rinvio della causa al Giudice del merito affinché riconsideri il trattamento sanzionatorio.
Infatti, una volta escluso l’assorbimento, la Corte territoriale avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali non ha ritenuto applicabile la disciplina della continuazione (art. 81 Cod. Pen.).
Per la Suprema Corte nella vicenda esaminata non ricorreva alcuna “identità del fatto” tra l’ipotesi di cui all’art. 10 D.Lgs. n. 74/00, per il quale l’imputato era stato già condannato, e quella di cui all’art. 216/1 n. 2 L. Fall., essendo diverso il fatto storico – naturalistico oggetto delle due tipologie di reati considerando tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento e nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona. . In particolare i giudici del palazzaccio evidenziavano che occorre verificare se, alla luce della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 3315/2017, 3539/2016 e 16360/2011), e tenuto conto dei principi delle sentenze della CEDU (cfr. CEDU 15 novembre 2016, 4 marzo 2014 e 10 febbraio 2009) e della Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 200/2016), il reato tributario possa ritenersi “medesimo fatto”, ai sensi dell’art. 649 c.p.p. e in base all’art. 4 protocollo n. 7 della CEDU, di quello fallimentare.
Pertanto al fine di verificare l’identità del fatto il giudice è tenuto a confrontare il fatto storico, secondo la conformazione acquisita in esito al processo concluso con una pronuncia definitiva, con il fatto storico che il PM pone a base della nuova imputazione; il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di condotta, evento e nesso causale, assunti in una dimensione empirica.
Alla luce dei principi esposti, la Corte Suprema, ha ritenuto, nella fattispecie, che è esclusa la ricorrenza dell’“identità del fatto” ritenendo che l’art. 10 del DLgs. 74/2000 punisce la condotta di occultamento o distruzione delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione al fine di evadere le imposte sui redditi o l’IVA, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari; mentre la bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216 com 1 n. 2 L. Fall., punisce plurimi illeciti derivanti da condotte più ampie, riconducibile non solo alla sottrazione o distruzione, ma anche alla falsificazione dei libri o delle altre scritture contabili, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, ovvero la tenuta di essi in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
Peraltro, l’art. 10 del D.Lgs. 74/00 indica quale oggetto della condotta le “scritture contabili” o i “documenti di cui è obbligatoria la conservazione” ai fini fiscali, che comprendono non solo quelle formalmente istituite in ossequio a specifico dettato normativo, ma anche quelle obbligatorie in relazione alla natura e alle dimensioni dell’impresa (ad es. libro cassa, scritture di magazzino, scadenzario etc.), nonché la corrispondenza posta in essere nel corso dei singoli affari, il cui obbligo di conservazione deve farsi risalire all’art. 22, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973.
Oggetto del reato di bancarotta fraudolenta documentale sono i libri previsti obbligatoriamente dall’art. 2214 Cod. Civ. (innanzitutto libro giornale e libro degli inventari), nonché le scritture contabili richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa -indipendentemente dall’obbligo di conservazione fiscale – che consentano, tuttavia, la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari. Ulteriore elemento di distinzione è costituito dal fatto che il reato di bancarotta fraudolenta ricorre solo se sia intervenuto il fallimento e la sentenza dichiarativa di fallimento è un elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta. Senza considerare, poi, che il reato di cui all’art. 10 del D.Lgs. n. 74/00 implica l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente, sanzionando l’obbligo di non sottrarre all’accertamento le scritture e i documenti obbligatori per la ricostruzione del volume d’affari o dei redditi, laddove l’art. 216 implica la tutela del ceto creditorio.
Risulta fondata la doglianza relativa alla disciplina della continuazione, posto che i due fatti attribuiti all’imputato si sono sviluppati in un contesto temporale in buona parte sovrapponibile.
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