La Corte di Cassazione, sez. penale, con la sentenza n. 16111 del 30 marzo 2017 intervenendo in tema di reati fallimentari ha statuito che è configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale quando agli amministratori vengono corrisposti compensi spropositati rispetto all’attività svolta, nonostante la conclamata situazione di dissesto.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società dichiarata fallita, al quale veniva imputato il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver dissipato ingenti somme per a titolo di compenso agli amministratori, pur in presenza di una grave situazione di dissesto. Inoltre lo stesso era accusato di bancarotta fraudolente documentale e bancarotta fraudolente per distrazione di disponibilità liquide. L’imputato veniva condannato in entrambi i gradi di giudizio di merito.
L’imputato proponeva ricorso in cassazione, sostenendo che le somme liquidate a titolo di compenso per gli amministratori avrebbero trovato giustificazione nel fatto che gli amministratori, come del resto i soci, fossero tutti impiegati a tempo pieno nell’impresa di famiglia, senza percepire emolumenti né utili, sicché i compensi destinati agli amministratori erano l’unica fonte di sostentamento dei soci lavoratori.
Gli Ermellini hanno respinto il ricorso dell’amministratore, confermando la condanna a suo carico. I giudici del palazzaccio precisano che risponde del meno grave reato di bancarotta preferenziale – e non di bancarotta fraudolenta per distrazione – l’amministratore che, senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro.
Integra, invece, il più grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore unico che effettui prelevamenti dalle casse sociali, provvedendo a determinare e a liquidare in proprio favore tali somme come compenso per l’attività svolta, senza nemmeno indicarne il titolo giustificativo (ad esempio una delibera assembleare o una norma statutaria) e per di più in epoca di grave dissesto per la società.
Nel caso esaminato dalla Corte Suprema, il compenso agli amministratori era stato regolarmente deliberato dagli organi sociali ma non era stato in alcun modo dimostrato che le somme percepite fossero congrue rispetto al lavoro svolto. Inoltre, era stato provato che gli emolumenti erano stati liquidati in un periodo caratterizzato da un vertiginoso calo del fatturato e da un andamento sconfortante degli investimenti, così da richiedere sforzi inusuali per procrastinare l’accesso alle procedure concorsuali.
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