La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 31218 del 22 luglio 2013 interviene in materia di bancarotta affermando che il rientro delle somme prelevate, prima della dichiarazione di fallimento, esclude la configurazione del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
La vicenda ha riguardato un imprenditore ritenuto responsabile per il reato di cui all’art. 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso quale amministratore di fatto dal 1997 al gennaio del 1998 della M. s.r,l., dichiarata fallita in Milano il 16/05/1998, distraendo somme per complessive £.411.000.000 mediante emissione di assegni circolari e tenendo le scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società, con condanna del R. alla pena dì anni due e mesi sei di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
L’ex amministratore veniva condannato con sentenza del Tribunale e la stessa sentenza veniva confermata anche se parzialmente riformata. L’imputato avvero al decisione dei giudici di appello ricorreva alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza dei giudici di merito.
Gli Ermellini hanno ritento fondate le doglianze dell’imputato è pertanto hanno annullato la sentenza della Corte d’appello che lo ha condannato a due anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni alla parte civile, per il reato di cui all’articolo 216 Legge fallimentare. Secondo l’ipotesi accusatoria, l’imputato, quale amministratore di fatto della X s.r.l. poi fallita, aveva distratto dalle casse della società la somma di 411 milioni di lire mediante emissione di assegni circolari e tenuto le scritture contabili in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita.
Con il ricorso per cassazione, presentato avverso la decisione della Corte di Appello, la difesa ha dedotto una compensazione delle contestate distrazioni con il versamento in favore della società di un assegno circolare di 448 milioni di lire. Tale assunto ha colpito nel segno. Gli Ermellini hanno ritenuto che la Corte d’appello non abbia congruamente motivato circa la predetta compensazione, essendosi limitata a osservare che il versamento dell’assegno poteva essere imputato a una pluralità di causali ipotizzabili.
Pertanto a giudizio degli Ermellini è vero che, a fronte del dato oggettivo di un’uscita priva di giustificazione contabile, incombe sull’imputato l’onere di allegazione dell’esistenza di una giustificazione reale (anche nella forma) del rientro delle somme nella disponibilità della fallita, ma è altrettanto vero che l’imputato ha fornito tale allegazione “nel riferimento all’accertata circostanza di un’entrata corrispondente, sia nel mezzo di pagamento che, oltretutto in sovrabbondanza, nel valore rispetto alle uscite. E rispetto a tale elemento, difetta nell’argomentazione dei giudici di merito la verifica della plausibilità di una immediata destinazione dell’assegno versato alla copertura di altri e diversi debiti della fallita, che lasciasse indimostrata l’ipotesi difensiva della copertura delle passività derivanti dai precedenti prelievi. Irrilevante è in tal senso il richiamo della sentenza impugnata alla omessa tenuta delle scritture contabili, una volta che il versamento dell’assegno veniva dato per accertato; ed altrettanto lo è l’accenno all’essere le somme uscite pari a due terzi del capitale sociale, nel momento in cui il tema in discussione è quello del possibile rientro delle somme stesse, che in quanto verificatosi precedentemente al fallimento esclude la configurabilità del reato di bancarotta per distrazione” (cfr. Cass. Sez. V, sentenze n. 39043/2007 e n. 402/2011).
Alla luce di quanto sopra, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello.
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