La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 48802 depositata il 5 dicembre 2013 intervenendo in materia di reato per bancarotta ha statuito che commette reato di bancarotta preferenziale l’amministratore unico e il liquidatore della società in dissesto che eseguono pagamenti in favore delle banche, senza rispettare il criterio di proporzionalità con gli altri creditori.
La vicenda ha riguardato l’amministratore unico ed il liquidatore di una società s.r.l. i quali avevano eseguito pagamenti in favore di tre banche in epoca in cui la società già versava in stato di dissesto. Per cui con l’apertura della procedura concorsuale venivano accusati di cui all’articolo 216 della legge fallimentare. Il GIP dichiarava il non luogo a procedere nei loro confronti evidenziando che, oltre ai pagamenti in favore delle banche, erano stati eseguiti versamenti anche in favore di altri soggetti, ha ritenuto che, pur non essendo stato rispettato il criterio di proporzionalità tra i vari creditori, la condotta degli agenti non era finalizzata a favorirne alcuni, ma solo a tentare di proseguire nell’attività d’impresa, attraverso consistenti apporti di capitale personale ad opera.
Avverso tale pronuncia il Procuratore Generale disponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del PM è scassano la decisione impugnata con rinvio. Per i giudici di legittimità il reato di bancarotta preferenziale (art. 216, comma terzo, L. fall.), sul piano oggettivo richiede la violazione della par conditio creditorum nella procedura fallimentare e, sul piano soggettivo, la ricorrenza della forma peculiare del dolo, costituito dalla volontà di recare un vantaggio al creditore (o ai creditori) soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualità di un danno per altri, finalità che deve risultare primario interesse perseguito dal debitore, con la conseguenza che la strategia di alleggerire la pressione dei creditori, in vista di un ragionevolmente presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale, è incompatibile con il delitto, soprattutto alla luce della riforma, introdotta dal D.Lgs. 269/2007, dell’azione revocatoria e specialmente dell’articolo 67 comma terzo della Legge Fallimentare.
Nel caso di specie i dati fattuali indicati nell’impugnata sentenza, del GIP, emergeva che i pagamenti, in ampia parte intervenuti anche durante la fase liquidatoria e in situazione di insolvenza solo attenuata dai versamenti alle banche (rimanendo da pagare 12 mila euro ai dipendenti e oltre 40 mila a Equitalia), sono stati indirizzati non a colmare passività assistite da titoli con prelazione ma a sanare essenzialmente debiti nei confronti degli istituti di credito, senza peraltro che siano state rese note le garanzie che assistevano questi ultimi.
Per cui, nelle motivazioni della Cassazione, risultava palese la volontà di preferire alcuni creditori con relativo danno per i restanti, rimasti insoddisfatti, “non è dato cogliere negli atti processuali alcune ragionevole prospettiva di ripresa economica, da attuarsi attraverso un equilibrato e paritario trattamento delle posizioni dei creditori stessi”.
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