La Corte di Cassazione sez. penale con la sentenza n. 28514 del 02 luglio 2013 interviene in materia di condotta distrattiva affermando e confermando che accordo commerciale che manleva l’ex amministratore di una S.a.s. da tutti i debiti verso quest’ultima sorti prima del fallimento, non elide la responsabilità del medesimo per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Gli Ermellini hanno evidenziato che il “permanere o meno dl tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l’offesa tipica dei reati di bancarotta (Sez. 5, n. 39043 del 21/09/2007, Spitoni, Rv. 238212), che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un’azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta; non tralasciando di considerare la natura di reati di pericolo che connota i delitti in esame, e che attribuisce valenza lesiva anche alla mera potenzialità di un danno per le ragioni dei creditori (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214860; sez. 5, n. 11633 dell’08/02/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932). Tenuto conto dl questo, la decisione impugnata è senz’altro corretta nella ritenuta irrilevanza, ai fini che qui interessano, della manleva prestata dagli acquirenti delle quote.”
In particolare nel caso (caso Tassan Din) richiamato dai giudici «l’elemento psicologico del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale (fu ravvisato: N.d.A.) nel dolo generico, cioè nella consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori, essendo al riguardo sufficiente non solo la consapevolezza che dalla propria condotta possano scaturire gli eventi tipici del reato (dolo generico) ma anche l’accettazione del rischio che questi si verifichino (dolo eventuale)»(Cass. pen. 11 dicembre 1999 (6 ottobre 1999), n. 12897, Tassan Din, GDir, 1999 (48), 98. Sulla sentenza cfr. Cervio 1999, 122).
Nel casi di specie esaminato dalla sentenza 28514 non viene all’attenzione il dolo eventuale, mentre le osservazioni dei giudici di legittimità sono coerenti con quanto affermato nella giurisprudenza di merito.
L’orientamento dei giudici di merito rileva che «il dolo richiesto nelle ipotesi di dissipazione e distrazione di beni è quello generico, consistente nella coscienza e volontà di commettere il fatto, preventivamente accettando la possibilità di un pregiudizio delle ragioni dei creditori» (App. Bari 9 febbraio 1982, CBLP, 1984, 85. Sulla sentenza v. Giovannitti 1984, 87).Tranne che da questo ormai remoto contributo, la fattispecie considerata da Cass. 28514/2013 non ha ricevuto (secondo l’accurata ricerca dello scrivente) ulteriore specifica attenzione in dottrina.La questione è invece affrontata dalle trattazioni generali sulla bancarotta per distrazione. In queste si sottolinea che la dismissione di cespiti aziendali — quando l’impresa è insolvente, sebbene non ancora soggetta a procedure concorsuali —, in linea di principio pregiudica i creditori.
Come statuito dalla giurisprudenza, la coscienza di tale possibile pregiudizio e la volontà di commettere l’atto distrattivo integrano il dolo dei delitti previsti e puniti dagli artt. 216, 1º co., n. 1), e 223, 1º co., l. fall.Eliminazione del pericolo e persistenza del reato. L’affermazione secondo cui basta immaginare il potenziale pregiudizio ai creditori per l’esistenza dei delitti previsti e puniti dagli artt. 216, 1º co., n. 1), e 223, 1º co., l. fall. è coerente con la struttura della bancarotta fraudolenta patrimoniale.Quest’ultima è infatti ricostruita come «reato di pericolo» alle ragioni dei creditori. Le interpretazioni inerenti alla tipologia del pericoso se debba esere astratto o concreto sono divergenti. Anche se i giudici di legittimità che hanno emesso la sentenza in esame sembrano concordare con l’ultima configurazione.
La natura astratta o concreta del pericolo ha, non solo valenza di studio, ma ha effetti concretti. Infatti se si aderisce alla tesi che il pericolo è astratto, ne consegue — stante la teorica «idoneità dei comportamenti spesi a sottrarre i beni all’esecuzione fallimentare, verificata per giusta regola ex ante» —, l’irrilevanza di «contro-manovre che pure si rivelino economicamente efficaci nell’ottica del risanamento aziendale» (Falcinelli 2010, 717, vers. DVD).Sempre nell’ottica del pericolo astratto, non presenta effetti estintivi dell’incriminazione neppure «la chiusura del fallimento per sopravvenuta mancanza del passivo. (Infatti questa: N.d.A.) non esclude la legittimità e l’efficacia della sentenza dichiarativa di fallimento e non fa venir meno sul piano oggettivo il reato di bancarotta fraudolenta (…). Su tale reato incide solo la revoca del fallimento, pronunciabile in caso di insussistenza dello stato di insolvenza al momento della dichiarazione di fallimento»(Cass. pen. 25 marzo 2010, n. 21872, Laudiero, CED Cass., RV 247443).
A quest’interpretazione (guardata con favore da Pajardi e Formaggia 1992, 72) si contrappone quella secondo cui il pericolo concreto per le ragioni creditorie è eliminato reintegrando il patrimonio sociale mediante la restituzione del maltolto. «Se (infatti: N.d.A.) il fatto, in quanto sia riparabile, venga riparato prima che accada la dichiarazione di fallimento (…) il reato non viene fuori, sia pure che la riparazione accada indipendentemente dalla volontà del debitore» (Rovelli R. 1953, 137).Ma ciò non significa elidere completamente la responsabilità penale. Se infatti le condotte riparatrici non annullano completamente le condotte descritte dagli artt. 216, 1º co., n. 1) e 223, 1º co., l. fall., residua la punibilità a titolo di tentativo [il tema è dibattuto in dottrina. Il tentativo è ammesso, ad es., da La Monica 1999,620.
I giudici di legittimità hanno confermato la condanna a tre anni di reclusione inflitta dalla Corte d’appello di Genova all’ex socio amministratore di una S.a.s. dichiarata fallita nel 2004. Per come accertato dai giudici del merito, l’imputato aveva distratto ingenti quantitativi di denaro dalla casse della società, in pregiudizio dei creditori; pregiudizio che invece la difesa ha negato, posto che l’imputato, nel 2001, aveva ceduto le proprie quote societarie agli altri soci che lo avevano manlevato da tutti i precedenti debiti verso s.a.s., ivi compresi quelli derivanti dalle somme sottratte.
La Suprema Corte ha mantenuto ferma la sentenza di condanna, giacché
Nella fattispecie il ricorrente non ha messo in discussione il prelievo delle somme di cui all’imputazione, per cui i giudici di legittimità hanno confermato la condanna, ma si è limitato a escludere la configurabilità del reato contestato per la sostanziale restituzione delle somme distratte, individuata nell’accordo raggiunto con i cessionari delle quote societarie. A tal proposito la Quinta Sezione Penale ha argomentato che la restituzione è rilevante nel momento in cui la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento e impedisca l’insorgenza di alcun effettivo pregiudizio per i creditori (cfr. Cass. sentenza n. 8402/2011). È pertanto al permanere o meno di tale pregiudizio, costituente per questo come per altri aspetti l’offesa tipica dei reati di bancarotta, che deve essere riferita la valutazione sulla sussistenza di un’azione restitutoria idonea a rimuovere gli effetti distrattivi della precedente condotta; non tralasciando di considerare la natura di reati di pericolo che connota i delitti in esame, e che attribuisce valenza lesiva anche alla mera potenzialità di un danno per le ragioni dei creditori (cfr. Cass. sentenze n. 11633/2012 e n. 3229/2012).
Per cui alla luce del principio di diritto,la Corte Suprema ha ritenuto che l’accordo dedotto dal difensore dell’imputato ha esaurito i suoi effetti all’interno dei rapporti tra i soci della fallita, e non ha mutato i rapporti con i creditori della stessa; rispetto alle ragioni dei quali, al di là della soggettiva assunzione di responsabilità per la sottrazione, è rimasto fermo il pericolo derivante dall’incidenza di dette sottrazioni sulla garanzia patrimoniale dei debiti della società; pericolo che avrebbe potuto essere rimosso solo con l’effettiva immissione di somme corrispondenti a quelle prelevate.
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