La Corte di Cassazione sezione penale, con la sentenza n. 44248 depositata il 30 ottobre 2013, in tema di reato di bancarotta ed in particolare in merito alla nozione di “spese personali eccessive” richiamata dall’art. 217 l. fall. n. 1.ha statuito che la fattispecie criminosa di cui all’art. 217, comma primo, n. 1, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) disciplinando e punendo le spese personali eccessive dell’imprenditore dichiarato fallito, è tipicamente riferibile all’imprenditore individuale e non anche all’amministratore societario. Questi, invero, non può essere ritenuto legittimato a spese personali, neppure se non eccessive, mentre può essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre ipotesi di cui al citato art. 217, nn. 4 e 5, che, in tali limiti, deve intendersi richiamata dall’art. 224 della medesima normativa con riferimento all’amministratore di società dichiarata fallita.
Si riporta il contenuto dell’articolo 217 legge fall. n. 1 :“E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni, se è dichiarato fallito, l’imprenditore che, fuori dai casi preveduti nell’articolo precedente, ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica”.
La vicenda ha riguardato l’amministratore di una società (sas) dichiarata fallita ed il cui amministratore di fatto ed il socio accomandatario veniva indagati per il reato di bancarotta semplice ex articolo 217 primo comma n. 1 della Legge fallimentare, e quindi quali imprenditori individuali personalmente falliti, per avere effettuato spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alle loro condizioni economiche, così nuovamente qualificata l’originaria imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Il Tribunale condannava i due imputati erano stati ritenuti penalmente responsabili di aver effettuato spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alle loro condizioni economiche. Ed infatti, sotto la lente dell’organo giudicante era finita una serie di “ingiustificati” prelievi, che – a detta dell’accusa – non potevano trovare un fondamento legale perché non erano utilizzabili per soddisfare bisogni essenziali per il sostentamento degli imprenditori e della loro famiglia.
Avverso la decisione di primo grado i due imputati ricorrevano alla Corte di Appello che confermava la sentenza del giudice di prime cure.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dei due imputati. Infatti, per i giudici di legittimità, i giudici di merito avrebbero dovuto valutare, più che la natura e l’origine delle spese ritenute “eccessive”, l’eventuale sproporzione dell’entità delle stesse, tenuto conto del periodo di tempo al quale dovevano essere fatte risalire e del numero dei soggetti beneficiari. Nel caso di specie, nel dispositivo non era stato nemmeno dato atto dell’assai minore entità della distrazione ritenuta penalmente accertata rispetto a quella, pari al triplo, enunciata nell’imputazione.
Infine la Corte Suprema che il reato di bancarotta semplice ai sensi dell’articolo 217 comma 1 n.1 legge fallimentare appare ritenuto a carico degli odierni imputati ricorrenti nelle qualità di imprenditori dichiarati personalmente falliti.
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