La Corte di Cassazione sez. Tributaria con la sentenza n. 19697 depositata il 28 agosto 2013 interviene in tema di accertamento fiscale affermando che un bilancio poco chiaro e l’inattendibile complessiva delle scritture consentono all’Agenzia delle Entrate di accertare induttivamente il reddito d’impresa.
La vicenda ha visto protagonista una società a cui era stato notificato un avviso di accertamento con cui l’Ufficio Finanziario aveva rettificato ai fini dell’IRPEG il reddito dichiarato per 1998 e la relativa dichiarazione IVA per il medesimo anno. L’Ufficio aveva proceduto alla rettifica dei valori indicati nelle dichiarazione dei redditi ed IVA con metodo induttivo basando la sua applicazione sull’inattendibilità delle scritture esaminate e delle inesattezze riscontrate nella dichiarazione.
La società provvedeva alla presentazione del ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale avverso l’atto impositivo. I giudici di primo grado accogliendo le doglianze del contribuente annullavano l’avviso. L’amministrazione finanziari avverso la decisione dei giudici di prime cure proponeva ricorso inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che ribaltando la sentenza di primo grado accoglieva l’appello del Fisco.
Il contribuente proponeva ricorso alla Corte Suprema per la cassazione della sentenza dei giudici di appello.
Ora la Cassazione ha dato definitivamente torto alla società, condannandola al pagamento di 13mila euro, a titolo di spese di lite.Gli Ermellini nelle motivazioni, con cui hanno rigettato il ricorso del contribuente, ella sentenza in esame hanno chiarito che quando si è in presenza di irregolarità della contabilità meno gravi, contemplate dal primo comma dell’art. 39 D.P.R. n. 600 del 1973, l’Ufficio può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all’art. 2729 C.c., l’inesattezza o incompletezza delle scritture medesime. Quando invece constati – come nel caso di specie – “un’inattendibilità globale delle scritture”, l’Amministrazione è autorizzata a prescindere da esse e a procedere in via induttiva (ex art. 39, secondo comma), avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva. La circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé sola legittima l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti per il ricorso a esso incidano le modalità con cui tale forma di accertamento viene poi eseguita: l’Amministrazione può quindi utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture, ma anche dati da queste emergenti, nella misura in cui risultino singolarmente affidabili. L’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo non esclude infatti che l’Ufficio possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento, del metodo analitico, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (cfr. Cass. n. 27068/2006).
I giudici della Corte Suprema hanno condiviso l’assunto della Commissione Tributaria regionale secondo cui il bilancio di esercizio che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, secondo comma, cod. civ., è illecito, con conseguente nullità della deliberazione assembleare che l’abbia approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche nei casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. La situazione appena descritta è stata riscontrata nel PVC posto a base dell’accertamento, sicché l’Ufficio ha “legittimamente fatto ricorso al metodo induttivo di ricostruzione del reddito effettivo”, con inversione dell’onere della prova in capo al contribuente.
I giudici della Corte Suprema hanno condiviso l’assunto della Commissione Tributaria regionale secondo cui il bilancio di esercizio che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423, secondo comma, cod. civ., è illecito, con conseguente nullità della deliberazione assembleare che l’abbia approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche nei casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte. La situazione appena descritta è stata riscontrata nel PVC posto a base dell’accertamento, sicché l’Ufficio ha “legittimamente fatto ricorso al metodo induttivo di ricostruzione del reddito effettivo”, con inversione dell’onere della prova in capo al contribuente.
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