Per la determinazione delle quote di ammortamento civilistico dei beni d’impresa sono le fonti sono costituiti oltre che dal codice civile dai principi contabili. Per quanto concerne la deducibilità fiscale delle quote di ammortamento la fonte è costituita dai coefficienti statuiti dal D.M. 31/12/1988 che hanno solo il compito di individuare il valore massimo di ammortamento fiscalmente deducibile.
Pertanto per determinare la quota di ammortamento di un cespite si deve fare riferimento al principi contabile OIC n. 16 che stabilisce che il valore di una immobilizzazione materiale da ammortizzare è costituito dalla differenza tra il costo dell’immobilizzazione, determinato secondo i criteri enunciati nel principio stesso, e, se determinabile, il suo valore residuo al termine del periodo di vita utile. Per valore residuo è inteso il valore presumibile di realizzo del bene al termine del periodo di vita utile.
Il principio contabile OIC n. 16 statuisce che il costo d’acquisto è rappresentato dal costo effettivamente sostenuto per l’acquisizione del bene. In particolare il costo di acquisto comprende anche i costi accessori, quali, per esempio:
- per i fabbricati: i costi notarili per la redazione dell’atto di acquisto; le tasse per la registrazione dell’atto di acquisto; i costi riferibili alla stipula dell’eventuale preliminare di acquisto; gli onorari per la progettazione dell’immobile; i costi per opere di urbanizzazione primaria e secondaria poste dalla legge obbligatoriamente a carico del proprietario; i compensi di mediazione;
- per gli impianti e i macchinari: i costi di progettazione; i trasporti; i dazi su importazione; i costi di installazione; i costi ed onorari di perizie e collaudi; i costi di montaggio e posa in opera; i costi di messa a punto;
- per i mobili: il trasporto e i dazi su importazione.
Il costo di acquisto può essere anche rappresentato dal costo di produzione il quale comprende i costi diretti (materiale e mano d’opera diretta, costi di progettazione, forniture esterne, ecc.) e i costi generali di produzione, per la quota ragionevolmente imputabile al cespite durante il periodo della sua fabbricazione fino al momento in cui esso è pronto per l’uso. Con gli stessi criteri possono essere aggiunti gli oneri relativi al finanziamento acceso per la fabbricazione (diversamente i costi legati a scioperi, inefficienze o altre cause estranee all’attività di costruzione non sono capitalizzabili e sono addebitati al conto economico dell’esercizio in cui si sostengono).
Seguendo quanto esposto dovremmo desumere che nel momento in cui si procede all’ammortamento di un bene, a definire cioè il suo piano di ammortamento, si dovrà conoscere il valore di presumibile cessione che lo stesso avrà al termine del suo utilizzo. Procedendo come comunemente accade, ammortizzando cioè l’intero valore di originario acquisto del bene, si sta implicitamente dichiarando che il valore del bene al termine del processo di ammortamento è pari a zero. Invero è più che probabile che all’atto della dismissione di un cespite completamente ammortizzato si realizzi una plus o minusvalenza.
Per adeguarsi alle indicazione dei principi contabili, un’impresa, che necessita di impianti sempre all’avanguardia, e quindi di impianti che non possono essere sfruttati sino al loro esaurimento ma che abbisognano di essere sostituiti ripetutamente e in brevi lassi temporali, dovrà stabilire, prima di iniziare l’ammortamento, quale sia il valore di presumibile realizzo del bene ed operare l’ammortamento sul valore residuo.
Per meglio definire il postulato predisponiamo il seguente esempio:
un’impresa utilizza un macchinario
- la cui durata fisica è di 5 anni,
- il cui costo di acquisto è pari a 200.000,00 euro,
- sfruttabile a causa dell’obsolescenza di settore per soli 4 anni,
- cedibile in sede di dismissione per euro 50.000,00,
il piano di ammortamento, nell’esempio indicato quadriennale, dell’azienda dovrà tener conto del solo importo di euro 150.000,00 (differenza tra 200.000,00 e 50.000,00).
Inoltre secondo il dettato codicistico, contenuto nell’articolo 2426, numero 2, prevede che il costo delle immobilizzazioni, la cui utilità è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione alla residua possibilità di utilizzazione.
In pratica, quindi, il piano di ammortamento civilistico deve:
- essere sistematico;
- prevedere quote costanti o decrescenti (è vietata dal medesimo principio contabile l’assunzione di quote crescenti contrarie al principio di prudenza);
- avere inizio quando il bene è disponibile e pronto all’uso (non dal momento di effettivo utilizzo come previsto dalla norma fiscale);
- tener conto del presumibile valore di realizzo del bene.
Lo stesso principio contabile 16 prende anche in considerazione l’ipotesi di interruzione del processo di ammortamento che si verificano in due fattispecie qualora la prima nel caso in cui i cespiti siano destinati alla vendita, l’altra ipotesi quando i cespiti sono divenuti obsoleti e quindi inutilizzabili.
Nella fattispecie in cui il bene venga destinato alla vendita esso va indicato non più tra le immobilizzazioni materiali ma nell’attivo circolante (al valore minore tra il valore netto contabile e il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, ex articolo 2426, comma 1, numero 9, codice civile) e, di conseguenza, non deve più essere assoggettato ad ammortamento.
Affinché sia realizzabile la predetta fattispecie occorre che il bene deve essere vendibile nelle condizioni in cui si trova al momento della data di riferimento del bilancio, che la vendita deve essere altamente probabile ed infine la vendita deve avvenire nel breve periodo.
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