CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 maggio 2013, n. 10396
Società di capitali – Società a responsabilità limitata – Organi sociali – Amministrazione – In genere
Osserva
Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente censura il decreto impugnato laddove ha ritenuto che non fosse stata fornita la prova della esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra esso ricorrente, che aveva rivestito la qualifica di membro del Consiglio di amministrazione della società, e la società stessa.
Il motivo appare inammissibile.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che per la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato fra un membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali e la società stessa è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo della subordinazione e cioè l’assoggettamento, nonostante la suddetta qualità di membro del consiglio di amministrazione, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società nel suo complesso. L’accertamento della compatibilità dei diritti e dei doveri nascenti da un rapporto di lavoro subordinato con le funzioni di amministratore costituiscono un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici. (Cass 5418/96; Cass 1081/99; Cass 12546/00; Cass 11978/04). A tale principio si è correttamente attenuto il giudice di merito che, attraverso una attenta valutazione delle dichiarazioni dei testi P., P., B., M. e T., ha rilevato la mancanza di alcun potere di direttiva da parte di altri membri del consiglio di amministrazione sull’odierno ricorrente e che quest’ultimo svolgeva la propria attività in modo del tutto autonomo, escludendo, quindi, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Il ricorrente, pur deducendo vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia della motivazione, censura, sulla base di una rivisitazione delle dichiarazioni testimoniali, la complessiva valutazione delle risultanze processuali compiuta dal decreto a cui ha contrapposto una diversa interpretazione, così mirando alla revisione da parte della Corte di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (Cass. 8 maggio 2000, n. 5806; 20 novembre 2003, n. 17651; 12 agosto 2004, n. 15675).
Assume rilievo a tale riguardo il principio, più volte affermato da questa Corte e pienamente condiviso dal collegio, che i vizi della sentenza posti a base del ricorso per cassazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (Cass. 25 agosto 2003, n. 12467), o consistere in censure che investano la ricostruzione della fattispecie concreta (Cass. 4 giugno 2001, n. 7476) o che siano attinenti al difforme apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte (Cass. 7 agosto 2003, n. 11918). Ove si condividano i testé formulati rilievi, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio ricorrendo i requisiti di cui all’art. 375 cpc.
Considerato:
– che non emergono elementi che possano portare a diverse conclusioni di quelle rassegnate nella relazione di cui sopra;
– che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile senza pronuncia di condanna del ricorrente alle spese processuali non avendo il fallimento svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
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