CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 giugno 2013, n. 13973
Detrazione dell’aliquota Iva per i beni a disabili – Scadenza per la presentazione al Ministero – Legittimità.
Osserva La CTR di Napoli ha parzialmente accolto l’appello della “E. srl” – appello proposto contro la sentenza n. 39/40/2008 della CTP di Napoli che aveva già parzialmente accolto il ricorso della predetta società – ed ha così parzialmente annullato l’avviso di accertamento relativo ad IVA-IRPEG-IRAP per l’anno 2003 con il quale erano stati recuperati a tassazione costi detratti a fronte di operazioni inesistenti, ovvero privi dei requisiti di detraibilità.
Esaminando nel merito le specifiche ragioni della ritenuta indetraibilità, il giudice del secondo grado ha finito per riconoscere ulteriori detrazioni di costi per € 150.280,00 e l’applicabilità dell’aliquota IVA ridotta a tutte le fatture emesse per cessione di beni a disabili (quanto a quest’ultima, evidenziando che tutte le fatture risultavano corredate dalla documentazione rilasciata dai competenti organi sanitari e dalla prescritta dichiarazione di non averne già usufruito, sicché “la comunicazione all’Ufficio IVA di avere emesso fatture a norma”….”costituisce un adempimento che non può risolversi a danno di chi, sostanzialmente, è ammesso a godere del beneficio della riduzione dell’IVA)”.
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. La contribuente non ha svolto attività difensiva.
Il ricorso – ai sensi dell’ art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all’art. 376 cpc – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc. Infatti, con il primo motivo di censura (centrato sulla nullità della sentenza ex art. 36 comma 2 del D.Lgs. 546/1992) la ricorrente si duole – dopo avere dato autosufficiente allegazione delle eccezioni proposte nel secondo grado in relazione alla specifica questione della riconosciuta effettività delle operazioni fatturate dalla “Edilprogetto del geom. G. M. “) – dell’omessa pronuncia del giudice dell’appello in relazione alla censura espressamente formulata nell’atto di appello incidentale proposto dall’Agenzia circa la detraibilità dei costi derivanti dalle predette operazioni.
Il motivo è fondato e deve essere accolto, appunto perché non risulta che il giudice del merito abbia in alcun modo riscontrato le censure di cui si è detto contenute nell’appello incidentale, dovendosi rimettere poi la questione al giudice del merito affinché torni a pronunciarsi sugli aspetti delle ragioni di gravame su cui ha omesso di soffermarsi. Ne consegue poi l’assorbimento del secondo motivo di impugnazione. Quanto al terzo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art. 1 e 2 della legge n. 97/1986; dell’art. 50 della legge n. 342/2000 e degli art. 2 e 3 del D.M. 16.05.1986), con esso la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia ritenuto corretta l’applicazione dell’aliquota agevolata alle cessioni di beni a favore di disabili, e ciò “in contrasto con la normativa di settore che sullo specifico tema detta adempimenti rivestenti carattere sostanziale ai fini dell’applicazione dell’agevolazione”, e con peculiare riferimento al DM. 16.5.1986 nel quale si fa obbligo al cedente di emettere la fattura relativa ai predetti beni con la chiara annotazione che trattasi di operazione soggetta ad aliquota agevolata e con l’indicazione della relativa norma”. Entro 30 giorni dalla cessione il cedente deve poi comunicare all’ufficio competente la data della cessione, i dati del cessionario e la targa del veicolo ceduto.
Il motivo di impugnazione è in parte inammissibile ed in parte fondato. Inammissibile per ciò che concerne la censura nella quale si ribadisce l’esistenza dell’obbligo di annotare la fattura con la esplicita natura di operazione soggetta ad aliquota agevolata e l’indicazione della relativa norma, atteso che la parte ricorrente non ha dedotto in maniera autosufficiente di avere proposto sul punto uno specifico motivo dì gravame in appello, nel mentre nulla si dice a questo proposito nella sentenza qui impugnata.
Fondato per ciò che concerne la questione dell’omessa comunicazione al competente ufficio dei dati di cui già si è detto.
Prevede infatti l’art. 1 della legge n. 97 del 1986 che:”1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge, le cessioni e le importazioni di veicoli di cilindrata fino a 2.000 centimetri cubici, se con motore a benzina, e a 2.500 centimetri cubici, se con motore Diesel, adattati ad invalidi per ridotte o impedite capacità motorie, anche prodotti in serie, sono assoggettate all’imposta sul valore aggiunto con l’aliquota del 2 per cento.
3. Con decreto del Ministro delle finanze saranno stabiliti i criteri, le modalità e le procedure per l’applicazione delle disposizioni della presente legge”. L’art. 3 del menzionato D.M. 16.05.1986 prevede poi che “Entro trenta giorni dalla data della cessione o importazione del veicolo il cedente o l’ufficio doganale debbono comunicare all’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto competente nei confronti del cessionario: 1) la data della cessione o dell’importazione del veicolo; 2) il nome e il cognome, il luogo di residenza e l’indirizzo del cessionario; 3) la targa del veicolo ceduto”.
Orbene, siccome delegato dalla anzimenzionata disposizione di legge, il Ministro delle finanze, nell’emanare il decreto di cui appena si è detto, altro non ha fatto che fissare le procedure per l’applicazione delle previsioni normative che consentono di riconoscere il beneficio qui in parola. Nell’esercizio della predetta potestà delegata, il Ministro ha ritenuto di fissare anche l’onere della comunicazione postuma dei dati di cui si è detto, onere che non può che considerarsi condizione per la fruizione del beneficio (per le evidenti finalità che lo animano, di consentire il controllo circa la regolarità dei concessi benefici), sicché – in difetto della prova dell’assolvimento di detto adempimento – non si può che concludere che correttamente l’Agenzia ha esercitato il potere di disconoscere l’applicabilità dell’aliquota ridotta con riferimento alle fatture oggetto di causa.
Non resta che cassare la sentenza di appello anche sullo specifico capo correlato al secondo motivo di impugnazione, con conseguente rimessione al giudice di appello perché riesamini la questione controversa, alla luce dei corretti principi ad essa applicabili.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza delle censure come sopra proposte.
Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
– che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
– che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Campania che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente grado.
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