CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 giugno 2013, n. 14571
Tributi – IRPEF – Redditi di impresa – Determinazione del reddito – Plusvalenza da cessione di terreno edificabile – Presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato – Accertamento in via induttiva sulla base del valore in sede di applicazione dell’imposta di registro – Legittimità – Prova contraria – Onere gravante sul contribuente
Osserva
La CTR di Bari ha accolto l’appello dell’Agenzia -appello proposto contro la sentenza della CTP di Bari n. 158-01-2008 che aveva rigettato il ricorso di E. M.- ed ha così confermato l’avviso di accertamento ai fini IRPEF per l’anno 2000, emesso per la rettifica del corrispettivo di vendita (dal dichiarato di £ 55.000.000 all’accertato di £ 262.125.000) della quota indivisa di un terreno edificabile sito in Bari, terreno trasferito con atto notarile del 4.8.2000.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che l’A.F. è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro (alla luce della presunzione che ciascun operatore si comporta secondo la comune prassi di mercato e non vende ad un prezzo inferiore a quello di comune commercio), mentre è onere probatorio del contribuente superare -anche con il ricorso adelementi indiziari- la presunzione di corrispondenza tra prezzo e valore di mercato. Essendosi il contribuente avvalso -in sede di impugnazione dell’avviso ai fini dell’imposta di registro- della definizione finalizzata alla chiusura della lite fiscale pendente circa il negozio di vendita, il cui valore è perciò rimasto cristallizzato a seguito di ordinanza di estinzione del giudizio, ciò implicava una forma di accettazione del maggior valore accertato, perciò legittimamente utilizzato nel calcolo della plusvalenza tassabile. Quanto -poi- agli argomenti indiziari addotti dal contribuente (circa la congruità del prezzo dichiarato, alla luce del fatto che l’immobile era gravato da iscrizioni ipotecarie) la Commissione ha evidenziato che lagaranzia ipotecaria priva il proprietario di qualsiasi discrezionalità nella determinazione del prezzo di vendita, giacché il ricavato è destinato in via prioritaria al soddisfacimento dei creditori.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si è difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere definito ai sensi dell’art.375 cpc.
Invero, con il primo motivo (centrato sulla violazione del combinato disposto degli art.67 e 68 del TUIR; dell’art. 16 della legge n.289/2002; 38 e 40 del DPR 600/1973, in riferimento agli art.2697, 2727, 2729 cod civ e 116 cpc), la ricorrente si duole in sostanza del fatto che il giudice del merito abbia ritenuto che la definizione della lite relativa all’impugnazione dell’accertamento concernente la tassa di registro implichi accettazione di detto valore (perciò utilizzabile anche ai fini della imposta sul reddito) mentre la base imponibile dei due tributi è radicalmente diversa (sicché non è possibile operare una automatica trasposizione). D’altronde, l’adesione al condono avrebbe potuto essere apprezzata ai fini probatori solo se proveniente dal contribuente contro cui la si invoca, mentre la definizione della lite ai fini dell’imposta di registro era avvenuta a cura e spese non della parte venditrice ma di quella acquirente (debitore principale dell’imposta di registro), come risultante dalla domanda di definizione e dall’attestato di pagamento prodotti in atti della fase di merito sub doc.3.
Il motivo di impugnazione è inammissibilmente formulato per inidonea identificazione dell’archetipo del vizio valorizzato.
Ed infatti la parte ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia supposto (come infatti è detto esplicitamente nella sentenza impugnata) che sia stato l’odierno ricorrente ad aderire alla definizione della lite, mentre invece la documentazione prodotta in atti (peraltro vagamente menzionata, in difformità dal canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione) dimostrerebbe che ad aderire alla definizione era stato l’altro coobligato-acquirente dell’immobile.
Orbene, ai fini di denunciare l’esistenza (e la rilevanza) dell’asserito fraintendimento, non vi è dubbio che la parte ricorrente avrebbe dovuto ricorrere alla categoria del vizio di motivazione giacché si tratta -per evidenza- di circostanze di fatto e divalutazioni di puro merito che concernono il potere di ricostruzione della fattispecie concreta -dalla legge di rito assegnato in via esclusiva al giudice del merito- il cui apprezzamento non può costituire oggetto di erronea interpretazione o applicazione della norma, almeno non nell’ottica prospettata dalla parte ricorrente. Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che:”In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronearicognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (per tutte, Cass. Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010).
Ciò posto per ciò che attiene al nucleo logico centrale del motivo di impugnazione, ed una volta appurato che non può prescindersi dalla ricostruzione della situazione di fatto che è stata presa in considerazione dal giudice del merito, non resta che fare applicazione anche alla specie di causa dell’indirizzo costantemente ripetuto da questa Corte secondo cui: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’amministrazione finanziaria è legittimata a procedere in via induttiva all’accertamento del reddito da plusvalenza patrimoniale relativa al valore di avviamento, realizzata a seguito di cessione di azienda, sulla base dell’accertamento di valore effettuato in sede di applicazione dell’imposta di registro, ed è onere probatorio del contribuente superare (anche con ricorso ad elementi indiziari) la presunzione di corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro, dimostrando di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore” (Cass.Sez. 5, Sentenza n. 21055 del 28/10/2005 IDEM: Sez. 5, Sentenza n. 19548 del 07/10/2005, Sez. 5, Sentenza n. 5070 del 02/03/2011).
Né conta che nella specie di causa si sia trattato di cessione di terreno e non di azienda, non essendo diversi i principi da applicare e non apparendo ragione alcuna per non applicare anche a siffatta ipotesi la presunzione derivante dall’ordinaria (salvo prova contraria che ne dimostri la disomogeneità) coerenza dei valori di uno stesso bene, accertati ai fini dell’applicazione di imposte diverse. E neppure può avere speciale rilevanza la circostanza che il valore dell’atto negoziale ai fini dell’imposta di registro sia stato definito con modalità agevolate atteso che anche a questo proposito la Corte Suprema ha avuto modo di evidenziare che “La diversità dei due tributi, escludendo la necessaria coincidenza dei predetti valori, comporta peraltro che la riduzione eventualmente conseguente alla definizione in via agevolata del valore di mercato inizialmente assunto come parametro per l’accertamento non spiega alcuna incidenza ai fini della determinazione della plusvalenza, consistendo quest’ultima nella differenza tra il valore di acquisto e quello di cessione del bene”. (Sez. 5, Sentenza n. 4057 del 21/02/2007, Rv. 595953).
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sul vizio di motivazione della sentenza) la parte ricorrente si duole del capo della decisione con cui è stato ritenuto irrilevante ai fini della soluzione della lite che il bene fosse gravato da iscrizioni ipotecarie, giacché il giudicante aveva confuso gli effetti della garanzia reale ipotecaria con quelli del pignoramento esecutivo immobiliare, i primi dei quali non impediscono al proprietario di determinare ed incassare il prezzo di vendita. Perciò non si può comprendere come il giudicante abbia potuto svilire la rilevanza del fatto dell’esistenza di iscrizioni ipotecarie al fine di ritenere congruo il corrispettivo dichiarato nell’atto di vendita.
Anche detto motivo di impugnazione appare inammissibilmente formulato, risolvendosi in una sterile critica agli argomenti valorizzati dal giudice del merito ai fini del rigetto dell’appello, senza che la parte ricorrente abbia dato conto della decisività del fatto controverso in relazione al quale è denunciato il fatto motivazionale. Ed infatti, non è dato di comprendere -nella ricostruzione della censura dianzi riassunta- in quali termini la parte ricorrente prospetti che l’esistenza delle iscrizioni ipotecarie sarebbero idonee a far venire meno la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato del bene compravenduto ed il corrispettivo di vendita oggetto di accertamento, atteso che l’eventualità (a cui probabilmente la parte ricorrente allude) che le parti contraenti abbiano decurtato dal controvalore oggettivo dei beni immobili gli oneri necessari per la liberazione di questi ultimi dai pesi ipotecari non apparirebbe in nessun caso idonea a giustificare l’attribuzione al solo conguaglio della funzione di corrispettivo, il quale invece non può che consistere nella complessiva somma dei due valori (numerario e commutativo) che costituiscono l’effettivo esborso di cui l’acquirente si fa carico. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.
Roma, 30 dicembre 2012
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che la parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa il cui contenuto non induce la Corte a rimeditare le ragioni poste a fondamento della proposta del relatore;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite non necessitano di regolazione, atteso che la parte vittoriosa non si è costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Nulla sulle spese.