CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 21 giugno 2013, n. 15743
Tributi – Elusione fiscale – Cessione frazionata d’azienda – Contestabilità in caso di concordato preventivo – Sussiste
Svolgimento del processo
1. La società Cap S. Spa. propone ricorso principale per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 61/44/09, depositata l’8 giugno 2010, con la quale essa accoglieva in parte l’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione della medesima, inerente all’avviso di liquidazione dell’imposta complementare di registro, dovuta con riferimento alla cessione di azienda industriale per la produzione di mobili da parte della cedente società Produzione M. Spa. in liquidazione, nonché in concordato preventivo, e già Cappellani Spa., veniva ritenuta fondata parzialmente. In particola la CTR osservava che l’atto finale di cessione di azienda del mese di dicembre 2004 doveva essere valutato nella sua dimensione “dinamica”, e quindi non poteva essere interpretato in funzione “statica” con i negozi precedenti di cessione condizionata dell’opificio, e vendita delle merci e prodotti di magazzino, sicché tutte le varie operazioni andavano valutate come contratto a formazione progressiva, a fronte delle quali sì configurava un’ipotesi di elusione fiscale, mentre invece l’avviamento come stabilito nel prezzo dalle parti non poteva essere rideterminato in misura maggiore, secondo l’esatta formula enunciata dall’ agenzia, giacché si trattava di vendita effettuata nel corso della procedura di concordato preventivo, e quindi con la prevista omologazione del giudice delegato, potendosene semmai stabilire un valore maggiore, purché solo nell’ambito del prezzo definitivo, già stabilito dalle parti. Il Ministero e l’agenzia delle entrato resistono con controricorso, e a sua volta la seconda ha proposto ricorso incidentale sulla base di un unico motivo, cui la ricorrente principale resiste con altro controricorso, ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. In via pregiudiziale va disposta la riunione dei ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c., atteso che essi sono stati proposti contro la stessa sentenza.
3.Inoltre va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero, sollevata appunto da questo per mancanza di legittimazione.
Essa è fondata, atteso che tale amministrazione centrale non era stata parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva essere evocata in giudizio con l’impugnazione della sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto contro di essa va dichiarato inammissibile.
Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.leg.vo n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1°. 1.2001 a norma del DM. 28.12.2000, senza che il dante causa Ministero delle Finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).
A) Ricorso principale
4. Ciò premesso, col primo motivo la ricorrente Cap S. deduce il vizio di omessa pronuncia, in quanto il giudice di appello non delibava la questione sottopostagli circa la mancanza di motivazione dell’avviso di liquidazione, cui non venivano allegati, né richiamati gli atti sui quali esso si basava.
A parte la genericità della doglianza, dal momento che la ricorrente non ha riportato il tratto dell’atto di controdeduzioni con cui avrebbe sollevato la questione, comunque essa è infondata, dal momento che sostanzialmente il secondo giudice disattendeva correttamente la censura alla luce delle varie ed amnicolate argomentazioni svolte circa l’interpretazione unitaria ai fini fiscali di tutte le varie operazioni negoziali poste in essere, col considerarle finalizzate ad esclusivo intento elusivo.
5. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norma di legge, giacché il giudice di appello non considerava che tutti i negozi non dovevano essere valutati come una complessa operazione unitaria, essendo stati stipulati ciascuno con finalità diverse, dettate dalla circostanza che la società Produzione M. aveva chiesto l’ammissione al concordato preventivo, e bisognava garantire il ciclo produttivo e commerciale, per il quale essa ritenne opportuno addivenire alla cessione separata delle scorte di magazzino, onde assicurarne la produttività e la commercializzazione, posto che anche tale operazione consentiva un risparmio d’imposta con la detrazione dell’Iva.
Il motivo non ha pregio, dal momento che in tema dì imposta di registro, la scelta, compiuta dal legislatore con l’art. 20 del d.P.R. 2 6 aprile 1986, n. 131, di privilegiare, nella contrapposizione fra “la intrinseca natura e gli effetti giuridici” ed “il titolo o la forma apparente” di essi, il primo termine, unitariamente considerato, implica, assumendo un rilievo di fondo, che gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria. Ciò comporta che, ancorché non possa prescindersi dall’interpretazione dellavolontà negoziale secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare, con conseguente tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola, sicché l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale) restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perché altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 13580 del 11/06/2007, n. 10273 del 04/05/2007}. Invero in materia tributaria, costituisce condotta abusiva l’operazione economica che abbia quale suo elemento predominante ed assorbente lo scopo elusivo del fisco, sicché il divieto di siffatte operazioni non opera ove esse possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi di imposta (V. pure Cass. Sentenze n. 19234 del 2012, n. 21782 del 2011). Peraltro il principio secondo cui, in forza del diritto comunitario, non sono opponibili alla Amministrazione finanziaria quegli atti posti in essere dal contribuente che costituiscano “abuso del diritto”, cioè che si traducano in operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale, deve estendersi a tutti i settori dell’ordinamento tributario, e dunque anche all’ambito delle imposte indirette, prescindendosi dalla natura fittizia o fraudolenta della operazione stessa, essendo all’uopo sufficiente anche la mera prova presuntiva, come nella specie. Pertanto incombe sul contribuente la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti con carattere non meramente marginale o teorico (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 8772 del 04/04/2008, n. 25537 del 30/11/2011).
Su tale punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
B) Ricorso incidentale
6. Col motivo addotto a sostegno del ricorso incidentale la ricorrente per incidente lamenta falsa applicazione dell’art. 44 Dpr n. 131/86, posto che il giudice di appello non poteva ritenere applicabile nella specie la norma eccezionale “de qua”, di stretta interpretazione, secondo cui l’imposta di registro va determinata in base al prezzo di aggiudicazione in caso dì vendita fatta in sede di espropriazione forzata, o di asta pubblica ovvero di contratti stipulati in seguito a pubblico incanto, dal momento che il prezzo della cessione non viene determinato in modo uguale o molto vicino a quello venale di mercato come nelle ipotesi suddette, ma liberamente dalle partì ove si tratti di concordato preventivo o fallimentare, nel quale l’intervento de giudice delegato attiene sostanzialmente alla fase successiva di omologa o autorizzazione.
La doglianza ha condivisa. Al riguardo va evidenziato che la giurisprudenza di legittimità è costante nel ritenere che il citato art. 44 del TUR, di stretta interpretazione, non è suscettibile di applicazione analogica, e che l’elencazione ivi contenuta è tassativa (ex multis, Cass. n. 6403 del 22 aprile 2003; n. 763 del 19 gennaio 2001; n. 85470 dell’11 luglio 1992).
In proposito, con la risoluzione n. 102/E del 17 maggio 2007, l’Agenzia ha precisato, tenendo conto dell’indirizzo espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 6403 del 22 aprile 2003, che “… la norma (art. 44, comma 1, TUR , n. d. r. ) comporta dunque presupposti rigidi di applicabilità, richiedendo: a) che il trasferimento sia fatto in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica (oppure tramite contratti aggiudicati o stipulati a pubblico incanto); b) che vi sia un prezzo di aggiudicazione fissato in sede di una pubblica gara, cui commisurare la base imponibile …”. In tema di imposta di registro, il trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato preventivo con cessione dei beni non può essere compreso, né mediante interpretazione estensiva, né in via di applicazione analogica, tra le ipotesi (espropriazione forzata e trasferimenti coattivi) per le qualil’art. 44 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 predetermina la base imponibile per l’imposta di registro – con norma di natura eccezionale, sostanzialmente identica a quella di cui al previdente art. 42 del d.P.R. n. 634 del 1972 – nel prezzo dell’aggiudicazione o nell’ammontare dell’indennizzo. Ne consegue che all’amministrazione finanziaria non è precluso l’accertamento di un valore del bene maggiore di quello dichiarato nell’atto di trasferimento.
Infatti nelle alienazioni adottate in regime di concordato preventivo con cessione dei beni non si riscontra né la determinazione giudiziale del prezzo dell’immobile (data la natura negoziale del concordato e degli atti di cessione), né la finalità di realizzare il maggior prezzo possibile (scopo dell’istituto essendo piuttosto quello di raggiungere la maggior convenienza economica dei creditori); e ciò rende manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986, sotto il profilo dell’ingiustificata disparità di trattamento delle alienazioni in esame rispetto a quelle rientranti nel suo ambito applicativo (V. pure Cass. Sentenze n. 3420 del 08/03/2002, n. 763 del 2001).
Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
7. Ne deriva che il ricorso proposto nei confronti del Ministero va dichiarato inammissibile; quello principale va rigettato; l’altro incidentale dell’agenzia va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al secondo, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2 c.p.c.., con conseguente rigetto del ricorso in opposizione della contribuente avverso l’atto impositivo.
8. Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre le altre di questo giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, dichiara inammissibile quello contro il Ministero; rigetta l’altro principale; accoglie l’incidentale; causa la sentenza impugnata in relazione al secondo, e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna la ricorrente principale al rimborso di quelle di questo giudizio a favore dei controricorrenti, che liquida per entrambi in complessivi euro 8.000,00(ottomila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
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