CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 giugno 2013, n. 15862
Fallimento in esecuzione del decreto della Corte d’appello anche senza comunicazione al debitore dell’udienza
Ritenuto in fatto e in diritto
La S. Società Immobiliare Economica R. s.r.l. in persona del suo legale rappresentate p.t., con ricorso del 10.12.2009 ha reclamato innanzi alla Corte d’appello di Roma la sentenza 22.10.2009 del Tribunale di Latina, pronunciata a seguito di invio degli atti da parte della Corte d’appello ex art. 22 legge fall., dichiarativa del suo fallimento, deducendone la nullità per omessa convocazione per l’udienza prefallimentare e contestando nel merito la condizione d’insolvenza.
Il reclamo è stato respinto dalla Corte del merito adita con sentenza n. 1067 depositata il 27 febbraio 2012 e notificata il 4 giugno 2012, contro cui l’anzidetta società ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a due motivi non resistiti né dal curatore fallimentare né dall’ intimata società Assicurazioni in l.c.a. creditore istante.
Il Consigliere rei. ha osservato che:
In linea preliminare la ricorrente formula argomentata istanza di sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c. che devesi dichiarare inammissibile, in quanto “la sospensione per pregiudizialità (ipotesi prospettata nella specie) non può essere invocata per la prima volta dinanzi al giudice di legittimità, non potendosi in tale sede produrre i documenti che ne dimostrino i presupposti”- Cass. n. 7932/2012.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 15 legge fall., 101 c.p.c.e 24 cost..
Lamenta la ricorrente che il giudice del reclamo avrebbe erroneamente ritenuto escluso il denunciato vulnus del suo diritto al contraddittorio e d’aver quindi provveduto senza la sua preventiva audizione, avendo essa espletato valida difesa nel procedimento svoltosi innanzi al tribunale fallimentare e conclusosi con decreto d’archiviazione indi reclamato alla Corte d’appello che, accolto il reclamo, rimise gli atti per la dichiarazione di fallimento al Tribunale che pronunciò in conformità.
La decisione sì uniforma correttamente all’orientamento secondo cui “il tribunale che dichiara il fallimento in esecuzione del decreto emesso dalla Corte d’appello ai sensi dell’art 22 ultimo comma legge fallimentare, non è tenuto a disporre la previa comunicazione o notificazione di detto decreto al debitore né a convocare in camera di consiglio il debitore stesso, che abbia già esercitato il suo diritto di difesa avanti alla Corte d’appello, sinanche nell’ipotesi in cui nel frattempo siano state presentate contro di lui altre istanze di fallimento” che, formatosi nel vigore del precedente regime, non vi è motivo di ritenere inapplicabile, nonostante le perplessità di alcuni studiosi, nell’ attuale riformato sistema.
La censura esposta col secondo mezzo- violazione dell’art. 1 comma 2, dell’art. 5 comma 2 legge fall. e vizio di motivazione- che s’incentra sull’insussistenza della condizione d’insolvenza, che sarebbe stata desunta dalla Corte del merito da titoli giudiziali contestati in giudizio, e peraltro contraddetta dalle informative della G.F. attestante una rilevante posizione creditoria, risulta formulata con assoluta genericità, in quanto tale ostativa al controllo richiesto, che in questa sede va condotto sulla base del solo ricorso, senza ricorrere alla lettura degli atti (Cass. n. 3912/1993)”.
Il collegio ritiene di condividere la riferita proposta alle cui conclusioni la ricorrente non contrappone nella memoria difensiva depositata ai sensi dell’art. 380 bis comma 3 c.p.c. argomenti di effettiva confutazione limitandosi essa a ribadire le censure già esposte nel ricorso.
Con riguardo al primo mezzo, occorre aggiungere che l’art. 22 comma 4 legge fall., invariato nel suo schema procedimentale nella parte in cui prevede che “se la corte d’appello accoglie il reclamo del creditore ricorrente o del pubblico ministero richiedente rimette d’ufficio gli atti al tribunale per la dichiarazione di fallimento”, non ha inciso sull’attribuzione della cognizione in ordine ai requisiti di fallibilità alla Corte d’appello, cui è tuttora inderogabilmente devoluta anche nell’ipotesi, introdotta dalla novella con l’inciso” salvo che si accerti, anche su segnalazione di parte, che sia venuto meno alcuno dei presupposti necessari”. Il tenore letterale di tale disposto normativo appare sufficientemente chiaro nel prevedere che la cognizione sui fatti anzidetti, se sono intervenuti “medio tempore” prima della pronuncia, spetta inderogabilmente e funzionalmente al giudice del reclamo, vero dominus di questa fase, cui devono essere prospettati tutti gli elementi, preesistenti e sopravvenuti che abbiano rilevanza ai fini della verifica dei presupposti dì fallibilità del debitore sì da evitare che la sua pronuncia sia resa inutiliter. In chiave logica ed in coerenza sistematica, analogo potere dì cognizione deve ritenersi attribuito al Tribunale, la cui pronuncia è nel caso ordinario automatica in quanto vincolata al dictum della Corte d’appello, se le sopravvenienze incidenti sui presupposti di fallibilità del debitore sono invece intervenute successivamente alla data del decreto della Corte d’appello e dì esse ne abbia ricevuto segnalazione dalla parte. Ragionevolmente in quest’ultima nozione rientra anche e soprattutto lo stesso debitore, al quale, successivamente alla comunicazione del provvedimento che ha definito il reclamo, è pertanto attribuita la facoltà di segnalarne la sussistenza all’ organo che è funzionalmente deputato alla declaratoria di fallimento sì da consentirne l’assunzione all’attualità, rispettando il principio che ne impone il riscontro dei presupposti sulla base della situazione oggettivamente esistente alla data della pronuncia (Cass. n. 7760/1990), In questa sola evenienza il Tribunale, prima dì pronunciarsi in seguito alla rimessione degli atti da parte della Corte d’appello, verificata la sussistenza della permanenza della domanda del creditore istante ovvero dell’istanza del P.M., è tenuto a rispettare lo schema procedimentale previsto dall’art. 15 legge fall. onde consentire l’effettivo dispiegarsi del diritto di difesa sia al debitore che al creditore istante che va posto doverosamente in grado d’interloquire. In ogni altro caso, e dunque in assenza di sopravvenienze, la verifica dell’ esercizio del diritto di difesa del debitore nel procedimento di reclamo ne rende superflua l’ulteriore audizione, che finirebbe con l’incidere sugli stessi fatti sui quali egli è già stato posto in grado di contraddire non solo in quella sede, ma precedentemente anche in sede di istruttoria prefallimentare (V. Cass. n. 4417/2011).
A questa costruzione si è attenuta la Corte distrettuale la cui decisione conclusiva, attesa l’omessa rappresentazione al Tribunale di fatti sopravvenuti, non merita per l’effetto censura. Parimenti immune da errore risulta la sentenza impugnata in ordine alla rilevanza attribuita, ai fini della verifica della condizione d’insolvenza dell’odierna ricorrente, ai crediti addotti dall’ istante seppur contestati, peraltro in un caso col rimedio straordinario della revocazione. L’inadempimento, che rileva ai fini della condizione anzidetta, non necessita della sua consacrazione in un titolo definitivo essendone rimessa la valutazione al giudice fallimentare, che può trarre elementi di convincimento da tutti gli atti sottoposti al suo esame con esso unitariamente apprezzati.
Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere rigettato senza farsi luogo a provvedere sul governo delle spese stante l’assenza d’attività difensive della parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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