CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 luglio 2013, n. 16456
Frode carosello – Onere della prova – Ripartizione
Svolgimento del processo
1. La società F. srl. in liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania n. 99/48/10, depositata il 23 aprile 2010, con la quale, accolto l’appello dell’agenzia delle entrate contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione della medesima, inerente all’avviso di accertamento, relativamente all’Irpeg, Irap ed Iva per il 2003, veniva rigettata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che il metodo induttivo seguito era stato regolare, atteso che si basava su presunzioni costituite dalle rilevazioni incrociate dell’agenzia di Vicenza nei riguardi della società E.I.E. srl., e del Comando regionale della Guardia di finanza del Friuli Venezia Giulia, oltre che dalla verifica svolta dagli ispettori erariali a carico della F. stessa, per le quali si era trattato di operazioni inesistenti, a fronte della documentazione prodotta dalla contribuente, per cui invece gli acquisti delle autovetture usate, estere e nazionali, sarebbero stati effettuati presso le ditte I.C.A. di C. I. ed S.G. Auto di – G. S., essendo rilevante il fatto che queste poi non avessero pagato l’Iva; non possedessero un’effettiva organizzazione d’impresa; avessero fatto sì che il prezzo di cessione finale fosse addirittura inferiore rispetto a quello di mercato e di acquisto iniziale presso le ditte intracomunitarie e nazionali. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre la ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto la CTR non considerava che in realtà le autovetture venivano acquistate o importate direttamente dalle intermediarie, con cui la F. effettivamente trattava, senza peraltro sapere che in realtà fossero solo delle cartiere, peraltro prive di organizzazione; magazzino; personale; punti vendita, ed inoltre avessero contabilità in nero, avendo piuttosto la contribuente agito in buona fede. Né essa aveva l’obbligo di indagare in ordine alla correttezza delle operazioni poste in essere dalle intermediarie stesse.
Il motivo è inammissibile, giacché con la suindicata doglianza la ricorrente denunzia la mancata valutazione del materiale probatorio acquisito secondo la sua prospettazione difensiva. Ciò non è possibile, posto che in sede di legittimità non è dato proporre un vaglio alternativo degli elementi acquisiti dal giudice di merito.
Al riguardo la giurisprudenza insegna che la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (V. anche Cass. Sent. 00322 del 13/01/2003).
Tuttavia, ciò premesso, comunque la censura non ha pregio, atteso che, com’è noto, in particolare in tema di IVA, nelle cd. “frodi carosello” – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomuniari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società o ditte filtro (“buffers”) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraitele ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari, come nella specie (V. pure Cass. Sentenza n. 867 del 20/01/2010, Sezioni Unite: n. 30055 del 2008). Gli stessi rilievi valgono anche in ordine alle altre imposte evase, trattandosi di effetti consequenziali alla “frode carosello”.
Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia vizi di motivazione, giacché il giudice di appello non considerava che l’onere di provare la fittizietà delle operazioni del tramite delle cd. cartiere gravava proprio sull’amministrazione, atteso che la contribuente aveva operato in buona fede; non doveva previamente accertarsi del pagamento dell’Iva da parte delle ditte fornitrici; né era a conoscenza che l’imposta non venisse corrisposta, posto che le fatture venivano di volta in volta rilasciate, e quindi esse costituivano supporto per ritenere l’effettività delle operazioni, la cui falsità di contro doveva essere provata dall’ agenzia.
Si tratta all’evidenza di censura che rimane sostanzialmente assorbita dal motivo testé esaminato. Tuttavia – “ad abundantiam” – essa è palesemente infondata. Infatti appare opportuno rilevare al riguardo che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione non può essere ravvisato, atteso che esso si configura solamente allorquando non è dato desumere l'<iter> logico-argomentativo condotto alla stregua dei canoni ermeneutici seguiti per addivenire alla formazione del giudizio. In proposito si osserva che non v’ha dubbio che il vizio di omessa, o insufficiente o contraddittoria motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, come nella specie (V. pure Cass. Sez. U Sent. 05802 dell’11/06/1998).
4. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
5. Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in €12.000,00(dodicimila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
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