CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 luglio 2013, n. 16723
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Indagini bancarie – Versamenti sul conto di un familiare del socio – Rilevanza – Sussiste
Osserva La CTR di Genova ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza della CTP di Imperia n. 146-05-2006 che aveva integralmente accolto il ricorso della C.S.D. srl avverso avviso di accertamento ai fini IVA-IRPEF-IRAP per l’anno 2001, emesso a seguito di PVC nel quale erano stati contestati indebita detrazione per fatture relative ad operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti; omessa dichiarazione di ricavi quali desunti da versamenti bancari che non avevano trovato giustificazione. L’ultima contestazione emergeva sulla scorta delle acclarate movimentazioni bancarie sui conti correnti intestati ai componenti il nucleo familiare degli amministratori della società e che non avevano trovato corrispondenza nelle registrazioni contabili.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che sarebbe spettato all’Ufficio provare che l’intestazione a terzi dei conti correnti bancari era fittizia e che i movimenti effettuati fossero riconducibili ad operazioni imputabili alla società. D’altronde, l’esiguità dell’importo dei movimenti contestati, rispetto al volume d’affari dichiarato dalla società, non lasciava supporre che vi fosse intenzione di occultare una quota così esigua di operazioni. Quanto alle fatture per operazioni inesistenti, all’Ufficio sarebbe spettato assolvere all’onere di dimostrare la falsità delle operazioni commerciali sottostanti, mentre le fatture apparivano assoggettate ad imposta e regolarmente pagate alla “cedente L.C.”. L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. La parte intimata non si è difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di censura (sostanzialmente improntato alla violazione degli art. 32 del DPR n. 600/1973 e 51 del DPR n. 633/1972, in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ.), la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia violato il disposto delle anzimenzionate norme, nella parte in cui disegnano una presunzione (relativa e vincibile con la contraria prova da assolversi da parte del contribuente) circa la riferibilità delle operazioni sui conti correnti intestati a prossimi congiunti.
Il motivo appare fondato e da accogliersi.
Invero, il ribadito indirizzo di questa Corte a proposito della questione oggetto del motivo di ricorso appare perfettamente coerente con le ragioni invocate dall’Agenzia. “In tema di infedeltà della dichiarazione IVA, derivante dall’omessa annotazione di operazioni imponibili ed omessa fatturazione, l’art. 54, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 consente di procedere all’accertamento anche mediante il controllo di dati e notizie raccolti nei modi indicati dal precedente art. 51, incluse, quindi, le indagini bancarie, previste dal n. 7 di tale norma, le quali possono riguardare anche conti e depositi intestati a terzi, inclusi i familiari del socio (nella specie la moglie), quando l’ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, che gli stessi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extra-contabile, a scopo di evasione fiscale. In questi casi, la presunzione di operazioni commerciali non registrate, discendente dalla riscontrata movimentazione di somme su conti formalmente intestati a terzi, non è qualificabile come (inammissibile) presunzione di doppio grado, poiché è l’art. 51, secondo comma, n. 2), del d.P.R. n. 633 cit., a prevedere che i singoli dati ed elementi risultanti dall’indagine bancaria debbono essere posti a base delle rettifiche e degli accertamenti, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili” (per tutte Cass. Sez. 5, Sentenza n. 374 del 12/01/2009). Consegue da ciò che il giudice del merito ha errato a supporre che fosse onere dell’Amministrazione offrire in giudizio ulteriori elementi di prova a convalida della efficacia indiziaria delle indagini bancarie di cui si è detto ed ha perciò fatto erronea applicazione della disciplina di cui la odierna ricorrente lamenta la violazione. Con il secondo motivo di censura (sostanzialmente improntato alla violazione degli art. 19 e 21 del DPR n. 633/1972, in combinato disposto con l’art. 2697 cod. civ.), la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia violato il disposto delle anzimenzionate norme assumendo che compete all’ufficio dimostrare la falsità delle operazioni commerciali sottostanti, per quanto la prova della detraibilità dell’IVA fa carico al soggetto passivo così come gli fa carico ogni volta in cui necessiti la prova dell’esistenza di componenti negative di reddito; né sarebbe potuta bastare a questo fine la sola esibizione dei mezzi di avvenuto pagamento che normalmente vengono utilizzati pure fittiziamente e che perciò rappresentano un mero elemento indiziario. Anche a questo proposito il ribadito indirizzo di questa Corte appare perfettamente coerente con le ragioni invocate dall’Agenzia.
Da un canto, infatti:”In tema di IVA, qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, e fornisca attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la dimostrazione della regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili (Sez. 5, Sentenza n. 12802 del 10/06/2011).
D’altro canto, poi:”In tema di IVA, nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione all’attività istituzionale dell’impresa, che il committente/cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonché dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al “thema probandum”, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1950 del 30/01/2007). Consegue pure da ciò che la censura debba essere accolta e che la controversia vada rimessa al medesimo giudice di secondo grado che – in diversa composizione – tornerà a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell’atto di appello proposto dalla parte pubblica, alla luce dei corretti principi di diritto da applicarsi, e regolerà anche le spese del presente grado di giudizio.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
– che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
– che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
– che le spese di lite possono essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR Liguria che, in diversa composizione, provvedere anche sulle spese di lite del presente grado.
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