CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 luglio 2013, n. 17008
Fallimento ed altre procedure concorsuali – Fallimento – Chiusura del fallimento – Contenzioso tributario – Sentenza pronunciata dopo la chiusura – Legittimazione passiva al ricorso per cassazione – Fallito tornato “in bonis” – Notifica al curatore – Responsabilità aggravata dell’amministrazione ex art. 96 c.p.c. – Esclusione
Svolgimento del processo
1. L’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Lombardia n. 117/44/10, depositata il 19 ottobre 2010, con la quale, accolto l’appello della società D.M.A. sas di D.M.A. & C. contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione inerente all’avviso di accertamento, relativamente all’Irap ed Iva per l’annualità 2002, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’atto impositivo era privo di adeguata motivazione, e che la produzione del processo verbale di verifica svolta dalla Guardia di finanza nei confronti della impresa A.E. di M.R., che aveva cessato l’attività nel 2001, la quale figurava invece come emittente delle fatture a favore della contribuente, che a sua volta aveva detratto dei costi per operazioni inesistenti, non poteva essere consentita in appello, per non essere stato allegato all’avviso di accertamento, pena la violazione del diritto di difesa della parte privata.
La D.M.A. sas di D.M.A. & C, successivamente trasformata in società D.M.A. srl., ed il già fallimento società D.M. sas. di D.M.A. & C. resistono con separati controricorsi.
Motivi della decisione
2. Innanzitutto va esaminata l’eccezione pregiudiziale del controricorrente fallimento, e per esso del già curatore M.S., secondo cui esso è carente di legittimazione passiva, atteso che era stato chiuso addirittura con decreto del 10.5.2007 dal tribunale di Monza, e quindi prima ancora che la società, tornata “in bonis”, impugnasse quell’avviso con ricorso del 12.7.2007, e quindi successivo, sicché ormai il fallimento stesso, che peraltro non era stato mai parte nel presente giudizio, non poteva esservi evocato col ricorso in sede di legittimità, sicché la ricorrente va condannata al risarcimento del danno per colpa grave.
L’eccezione è fondata in parte. Invero la procedura concorsuale in cui era stata posta la società D.M. era cessata quando il presente processo era stato instaurato, e poiché essa non era stata parte nei gradi di merito, conseguentemente, e a maggior ragione, non poteva essere evocata in giudizio nella sede di legittimità. In ordine poi alla questione della lite temeraria, va osservato tuttavia che tale ipotesi non sembra ravvisarsi nella fattispecie, posto che, peraltro come ammesso dallo stesso ex curatore S., l’avviso di accertamento era stato notificato all’inizio anche al medesimo, che l’aveva impugnato, anche se il relativo giudizio era stato definito con sentenza, passata in giudicato, di non luogo a procedere, per essere stato il fallimento dichiarato chiuso. Nei limiti di cui sopra quindi il ricorso dell’agenzia nei confronti del fallimento della società va dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione passiva, senza che tuttavia vi si ravvisino gli estremi della responsabilità aggravata dell’agenzia, atteso che l’avviso di accertamento, notificato il 7.5.2004 in realtà si riferiva all’anno d’imposta 2002, quando la società era ancora operativa prima della dichiarazione di fallimento del 18.3.2004, poi dichiarato chiuso con decreto del 10.5.2007, mentre il legale rappresentante impugnava quell’atto impositivo per conto della società, tornata “in bonis”, il successivo 17.5.2007, come riconosciuti “ex actis” dalle stesse parti. Invero la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, come pure la chiusura del fallimento, priva la società stessa o il curatore della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della “fictio iuris” contemplata dall’art. 10 legge fall.); pertanto, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo, disciplinato dagli artt. 299 e ss. cod. proc. civ., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 cod. proc. civ. (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013).
3. In ordine poi all’altra questione relativa all’inammissibilità del ricorso, sollevata dalla società controricorrente, secondo cui la CTR aveva deciso quelle di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, e l’esame dei motivi non offrirebbe elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, essa è infondata, come si dirà appresso.
4. Tutto ciò premesso, col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non considerava che quello di primo grado ben poteva disporre l’esibizione di documenti, e nella specie del pvc. della GdF relativo alla verifica svolta nei confronti dell’impresa A.E., come pure esso ben poteva essere prodotto direttamente in appello dalla parte pubblica, stante la specialità della relativa disciplina in materia tributaria.
Il motivo è fondato, dal momento che, a prescindere dalle vicende relative al primo grado, in cui la CTP aveva disposto la produzione del verbale di verifica della polizia tributaria, comunque esso era stato regolarmente prodotto in quello di appello. Invero, com’è noto, in materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – la preclusione di cui all’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo introdotto dalla legge 18 giugno 2009, n. 69) non trova applicazione, essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 18907 del 16/09/2011, n. 12008 del 2011).
Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
5. Ne deriva che, mentre il ricorso proposto dall’agenzia nei confronti del fallimento della società originaria va dichiarato inammissibile, invece l’altro relativo alla società D.M.A. s.a.s. di D.M.A. & C. va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2 cpc, e rigetto del ricorso in opposizione della contribuente impositivo.
6. Quanto alle spese dell’intero processo, quel rapporto col fallimento, limitate solo al presente giudizio, vanno poste a carico dell’agenzia soccombente, mentre per le altre del rapporto con la società contribuente, sussistono giusti motivi per compensare quelle del doppio grado, tenuto conto delle questioni trattate, e delle alterne vicende di esso nei gradi di merito, mentre invece le successive, concernenti il presente giudizio, vanno poste a carico della controricorrente, e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del fallimento; accoglie quello inerente al rapporto con la società controricorrente; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta quello introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna l’agenzia ricorrente al rimborso di quelle di questo giudizio a favore del fallimento, che vengono liquidate in € 100,00 per esborsi ed € 1.700,00(millesettecento/00) per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge; condanna la controricorrente società D.M.A. alla rifusione delle altre pure di questo giudizio a favore della ricorrente, li date in € 1.700,00(millesettecento/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.
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