CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 novembre 2013, n. 25576
Tributi – Accertamento – Dichiarazioni di terzi – Validità
Svolgimento del processo
1. I.N. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale del Veneto n. 104/24/10, depositata il 19 novembre 2010, con la quale, rigettato l’appello del medesimo contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione avverso gli avvisi di accertamento, relativi all’Irpef, Irap, contributi previdenziali e addizionale per gli anni dal 2002 al 2005, veniva respinta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che gli atti impositivi si basavano sulle verifiche svolte dalla Guardia di finanza sia nei suoi confronti che in quelli di altre imprese, aventi rapporti di affari con la ditta A., di cui il contribuente è titolare, la quale si occupa di commercio all’ingrosso di schede telefoniche e merci varie, per cui era stato applicato un ricarico inferiore a quello effettivo, mentre diverse operazioni risultavano in nero, giusta anche le dichiarazioni rese da vari dipendenti alla polizia tributaria, senza che di contro N. avesse fornito prova dei suoi assunti in ordine al ricarico sulle merci, come pure ai costi. L’agenzia delle entrate si è solo costituita, senza svolgere alcuna difesa, mentre il ricorrente ha depositato memoria .
Motivi della decisione
2. Col primo e secondo motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, stante la loro stretta connessione, il ricorrente deduce vizi di motivazione, in quanto la CTR non considerava che i dati e rilievi raccolti dalla Guardia di finanza non potevano essere ritenuti sufficienti ai fini degli indizi, dal momento che le dichiarazioni delle persone sentite non erano attendibili perché testimoni, peraltro non disinteressati, essendo i dipendenti, che potevano anche eventualmente avere motivi di ritorsione. Semmai era l’ufficio che doveva fornire la prova della pretesa evasione.
I motivi sono generici, in quanto il ricorrente non ha riportato il tratto del ricorso in appello con cui avrebbe addotto la doglianza inerente ai vizi di motivazione. Comunque essi sono inammissibili sotto il profilo di richiesta di un vaglio diverso in ordine all’acquisizione della prova rispetto a quello effettuato dal giudice di secondo grado. Inoltre – “ad abundantiam” – va osservato che tali censure sono infondate, in quanto, com’è noto, il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle commissioni tributarie, sancito dall’art.4, comma quarto, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo, che è necessariamente orale, di solito ad iniziativa di parte. Essa richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi, e riveste conseguentemente, un particolare valore probatorio. Pertanto tale divieto non implica l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale e rese da “terzi”, e cioè da soggetti terzi rispetto al rapporto tra il contribuente – parte e l’Erario. Invero siffatte informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi. Di contro va rilevato nella specie che gli elementi indiziari costituiti dalle dichiarazioni assunte dalla Guardia di finanza trovavano riscontro proprio in quelli acquisiti dalla polizia tributaria nel corso della verifica svolta sulla contabilità e la movimentazione delle varie operazioni annotate, e messe in relazione anche con le risultanze di altre verifiche svolte nei riguardi di altre ditte in rapporti di affari con quella di N. (Cfr. anche Corte cost., Sentenza n. 18 del 2000; Cass. Sentenze n. 16032 del 29/07/2005, n. 903 del 25/01/2002).
Su tale punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
3. Ne deriva che il ricorso va rigettato.
4. Quanto alle spese del giudizio, non si fa luogo ad alcuna statuizione, stante la mancata attività difensiva dell’intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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