CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 novembre 2013, n. 25873
Stranieri – Espulsione – Soggiorno – Applicazione dello status di rifugiato politico – Protezione sussidiaria.
Premesso
La sig.ra B.A., di nazionalità nigeriana, nel febbraio 2011 adì il Tribunale di Trieste avverso il diniego di protezione internazionale deliberato dalla competente commissione territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria.
Il Tribunale respinse il ricorso e la Corte d’appello triestina ha respinto il reclamo della soccombente osservando:
– che la reclamante deduceva di essere fuggita dal paese di origine a causa del grave pericolo in cui versava per le violenze subite ad opera del padre e della matrigna, i quali avevano cercato di imporle un matrimonio forzato con un uomo di 72 anni e, al suo rifiuto, le avevano impedito di frequentare la scuola, giungendo poi a farla rapire e a farla portare, insieme al fidanzato, in casa del suo pretendente, il quale aveva cercato di violentarla, mentre il fidanzato — già in precedenza arrestato arbitrariamente dalla polizia — era stato malmenato;
– che la medesima censurava quindi la valutazione di inattendibilità del suo racconto fatta dal Tribunale senza svolgere alcuna istruttoria e senza assumere le dovute informazioni sulla drammatica condizione di insicurezza e instabilità socio-politica in cui versa la Nigeria;
– che ai fini del rigetto del reclamo era assorbente la considerazione che lo stesso racconto della reclamante, quand’anche vero, portava ad escludere che ella fosse stata oggetto di atti di violenza per motivi giustificanti il riconoscimento dello status di rifugiato politico ad opera di gruppi di potere legittimari dallo Stato di appartenenza o comunque in grado di influenzarne la condotta sul piano dell’ordine pubblico e della sicurezza, tali non essendo i familiari della reclamante, né i presunti rapitori o i presunti poliziotti che avrebbero agito su incarico del suo pretendente: i quali, se denunciati dall’interessata, sarebbero stati con ogni probabilità perseguiti dalle autorità, e comunque non vi era né poteva essere acquisita alcuna prova del contrario;
– che altrettanto irrilevante era l’asserito clima d’instabilità socio- politica della Nigeria, comunque privo di alcuna correlazione con le vicende strettamente familiari della reclamante;
– che neppure sussistevano, in base al racconto dell’interessata, i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o della protezione umanitaria, mentre del diritto di asilo, pure invocato dalla reclamante, non ricorrevano i presupposti non sussistendo quelli dello status di rifugiato.
La sig.ra A. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolando sei motivi di censura.
L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Considerato
1. — Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto, si censura il diniego di riconoscimento dello status di rifugiato, osservando che, ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251, non è necessario che la violenza – e tale è senza dubbio la violenza sessuale o la violenza di genere — sia esercitata dallo Stato, ma è sufficiente che le autorità pubbliche non possano o non vogliano fornire adeguata protezione alla vittima; onde i giudici di merito avrebbero dovuto attivare i propri poteri di cooperazione istruttoria al fine di accertare i fatti denunciati.
2. – La censura è infondato, anche se va corretta la motivazione in diritto della sentenza impugnata in punto dì diniego di riconoscimento dello status di rifugiato.
E’ esatto, invero, che in base allo stesso racconto dell’interessata non spetterebbe alla medesima tale riconoscimento, ma la ragione consiste nel rilievo che i fatti da lei riferiti non configurano alcuno dei motivi di persecuzione in base ai quali tale forma di protezione viene assicurata ai sensi dell’art. 8 d.lgs. n. 251 del 2007, il quale contempla esclusivamente i motivi di “razza”, “religione”, “nazionalità”, appartenenza a un “particolare gruppo sociale”, “opinione politica”.
3. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura il diniego di riconoscimento del diritto di asilo previsto dall’art. 10, comma terzo, Cost. evidenziando il superamento del precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’asilo si risolve nella possibilità d’ingresso in Italia ai fini dello svolgimento della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale, e l’affermarsi di un nuovo orientamento secondo cui il diritto di asilo previsto dalla Costituzione è interamente attuato mediante i tre istituti di protezione internazionale regolati dalla legge (status di rifugiato, protezione sussidiaria, permesso di soggiorno per motivi umanitari).
4. — Il motivo è inammissibile, dato che è la stessa ricorrente a riconoscere, invocando la giurisprudenza indicata, il difetto di autonomia dell’istituto di cui all’art. 10, comma terzo, Cost. rispetto a quelli regolati dalla legge ordinaria, con riferimento ai quali, dunque, dev’essere valutata la richiesta di protezione.
5. — Con il terzo motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura il diniego di riconoscimento della protezione sussidiaria, denunciandone l’omissione o comunque insufficienza della motivazione in relazione alle notorie condizioni di instabilità socio-politiche della Nigeria, in cui è in corso un grave conflitto armato interno.
Tale motivo va esaminato, per ragioni di connessione, unitamente al quinto, con il quale, denunciando violazione dell’art. 8 d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, si lamenta la mancanza di qualsiasi accertamento officioso sulla situazione del paese di origine della ricorrente, pur obbligatorio in base ai doveri di “cooperazione istruttoria” in proposito gravanti sui giudici di merito.
6. — I due motivi predetti vanno accolti nei sensi che seguono.
La Corte d’appello, pur dando per ammessa la veridicità del racconto della reclamante, ha tuttavia escluso il diritto della stessa alla protezione sussidiaria non ricorrendone i presupposti (non è ben chiaro se in diritto o in fatto).
E’ certo tuttavia, in diritto, che la costrizione di una donna a un matrimonio forzato costituisce grave violazione della sua dignità, e dunque trattamento degradante ai sensi dell’art. 14, lett. b), d.lgs. n. 251 del 2007, che configura a sua volta danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria.
La minaccia di grave danno giustificante tale protezione, inoltre, non è necessario che provenga dallo Stato, ben potendo provenire anche — tra gli altri — da “soggetti non statuali” se le autorità statali o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio “non possono o non vogliono fornire protezione” adeguata ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. cit. (art 5, lett. c), del medesimo d.lgs.). Poste queste premesse in diritto, non è dunque affatto irrilevante la verifica della effettività dei poteri statuali e della capacità degli stessi di fornire adeguata protezione alla vittima del grave danno denunciato, ancorché le minacce provengano da soggetti privati o addirittura da familiari.
Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto illegittimamente di poter omettere tale verifica, ovvero ha ritenuto di poter senz’altro escludere l’eventualità del difetto di protezione da parte delle autorità nigeriane sulla scorta dell’apodittica affermazione che la polizia, se richiesta, avrebbe certamente perseguito i responsabili. Sarebbe stato invece suo dovere assumere anzitutto, anche d’ufficio, informazioni sulla situazione generale della Nigeria, con riferimento al tipo di problema posto dalla reclamante, attraverso i canali indicati all’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25 del 2008 o mediante altre fonti che fossero in concreto disponibili, e solo all’esito di ciò formulare una pertinente valutazione (cfr. Cass. 16202/2012, 10202/2011, 17576/2010, 27310/2008, quest’ultima resa a sezioni unite).
Il terzo motivo di ricorso va dunque accolto, mentre il quinto va accolto solo in quanto riferito alla domanda di protezione sussidiaria: infatti la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato è definitivamente respinta per accertato difetto dei presupposti, come si è visto esaminando il primo motivo, e l’esame della domanda di protezione umanitaria resta assorbito per effetto della cassazione della decisione negativa sulla domanda di protezione sussidiaria, cui essa è subordinata.
7. — Con il quarto motivo, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si censura il diniego di riconoscimento della protezione umanitaria, dato che il rimpatrio esporrebbe la ricorrente a concreto pericolo di vita attese le documentate continue violazioni dei diritti umani, specie a danno delle donne, nel suo paese di origine.
8. – Il motivo deve ritenersi assorbito per la ragione indicata a conclusione del par. 6, che precede.
9. – Con il sesto motivo, denunciando omissione di pronuncia o comunque di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello abbia omesso di procedere alla richiesta audizione dell’interessata e di prendere in considerazione le vicende personali della ricorrente e gli ulteriori fatti sopraggiunti nel suo paese di origine.
10 – Il motivo è inammissibile, rientrando la decisione di procedere o meno all’audizione dell’interessato nei poteri discrezionali della corte d’appello e proponendo la ricorrente, per il resto, pure e semplici censure di merito.
11. – La sentenza impugnata va in conclusione cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto enunciati al par. 6 e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Trieste in diversa composizione.
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