CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 dicembre 2013, n. 27568
Tributi – Accertamento – Induttivo – Medie di ricarico – Comportamento antieconomico del contribuente – Rilevanza
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Campania, sez. stacc. di Salerno, n. 144/05/10, depositata il 12 aprile 2010, con la quale, rigettato l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, l’opposizione della società T.L. srl., relativa all’avviso di accertamento per Irpeg, Irap ed Iva, inerenti all’anno 2003 circa la commercializzazione di pelli conciate, veniva accolta. In particolare il giudice di secondo grado osservava che il ricarico operato dall’amministrazione non era suffragato da elementi di prova, e si basava su un numero esiguo di fatture, mentre le pelli cedute gratuitamente come campioni erano di modico valore, e riportavano la dicitura appunto di …campioni gratuiti”. La T.L. resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. Col primo motivo la ricorrente deduce vizio di insufficiente motivazione, in quanto la CTR non enunciava compiutamente le ragioni, in virtù delle quali riteneva che il metodo induttivo seguito dall’agenzia non si basava su una contabilità nel complesso considerata inattendibile, posto che il ricarico, peraltro modesto, dell’11,09 applicato, si basava su un campione di 25 fatture, e perciò ineriva ad una media semplice, inoltre diverse cessioni non erano state fatturate, ovvero lo erano state solo come inerenti a campioni gratuiti, pur non essendo questi di modesto valore, sicché ciò comportava necessariamente l’inversione dell’onere della prova sulla contribuente.
Il motivo è fondato. Invero, com’è noto, nell’accertamento tributario, fondato sulle percentuali di ricarico della merce venduta, la scelta tra il criterio della media aritmetica semplice e di quella ponderale dipende, rispettivamente, dalla natura omogenea o disomogenea degli articoli e dei ricarichi, assumendo il criterio della media aritmetica semplice valenza indiziaria, al fine di ricostruire i margini di guadagno realizzato sulle vendite effettuate “a nero”, quando il contribuente non provi, ovvero non risulti in punto di fatto, che l’attività sottoposta ad accertamento ha ad oggetto prodotti con notevole differenza di valore, e che quelli maggiormente venduti presentano una percentuale di ricarico molto inferiore a quella risultante dal ricarico medio. In mancanza di tali presupposti, è legittima la presunzione che la percentuale di ricarico applicata sulla merce venduta in evasione di imposta è uguale a quella applicata sulla merce commercializzata ufficialmente, a meno che il contribuente non provi di aver venduto a prezzi inferiori le merci non documentate, e ciò anche con riferimento alla media del medesimo settore merceologico, come nella specie (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 26312 del 16/12/2009, n. 14328 del 2009). Del resto l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, sia specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio, sia dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perché proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo, come nel caso in esame (V. pure Cass. Sentenze n. 951 del 16/01/2009, n. 24532 del 2007).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione di norma di legge e vizio di motivazione, giacché il giudice di appello non considerava che i cosiddetti campioni gratuiti di pelli non potevano essere ceduti gratuitamente, perché non riportavano la prescritta dicitura a marchio in modo indelebile, né erano di modico valore, mentre la relativa indicazione in fattura non poteva essere rilevante o determinante, e ciò nonostante che facessero parte della stessa produzione merceologica dell’impresa incisa.
La censura va condivisa. Infatti l’esenzione dall’imposizione per i c.d. campioni gratuiti è prevista, ex art. 2, comma 3, lett. d) Dpr. n. 633/72, come modificato dall’art. 1 Dpr. n. 24/79 per le merci non di produzione della ditta interessata, purché si tratti di beni aventi la prescritta apposizione intrinseca del contrassegno e riguardi capi di modico valore, mentre invece tali elementi essenziali di agevolazione non risultano enunciati nel caso in esame, sicché anche sotto tale profilo la decisione non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
Quindi anche su tale punto la decisione gravata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto ed adeguato.
4. Ne discende che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
5. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Campania, altra sezione, per nuovo esame.
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