CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 gennaio 2014, n. 422
Tributi – ICI – Fabbricato rurale – Accatastamento – Qualificazione ai fini fiscali – Requisiti – Strumentalità del fabbricalo all’attività agricola – Variazione catastale
«Il Comune di Mirandola ricorre contro la società A.I. Cooperativa Agricola per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, confermando la sentenza di primo grado, ha annullato un avviso di accertamento ICI 2007 relativo ad un fabbricato accatastato con categoria D/8.
La Commissione Tributaria Regionale – premesso in diritto che, ai sensi dell’articolo 23 del decreto legge 207/08, convertito con la legge 14/09, per la qualificazione di un fabbricato come rurale ai fini fiscali sarebbe rilevante non la categoria catastale al medesimo attribuita, bensì la concreta sussistenza dei requisiti di ruralità indicati dall’articolo 9 del decreto legge 557/93, convertito con la legge 133/94 – ha ritenuto in fatto che la contribuente, cooperativa di servizi a favore dei soci frutticoltori, avesse provato la sussistenza dei suddetti requisiti di ruralità, documentando la destinazione del fabbricato allo svolgimento della propria attività istituzionale di raccolta, conservazione, manipolazione, trasformazione e commercializzazione, nel settore ortofrutticolo, della produzione conferita dai soci.
Il ricorso del Comune si articola su quattro motivi.
Col primo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 d.l. 557/93, dell’articolo 23, comma 1 bis, d.l. 207/08 e degli articoli 2, primo comma, lettera a), e 9 D.Lgs. 504/92 in cui il giudice di merito sarebbe incorso affermando l’irrilevanza della categoria catastale attribuita ad un immobile ai finì del relativo assoggettamento all’ICI.
Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 d.l. 557/93 e successive modificazioni (con particolare riguardo a quella introdotta dall’articolo 42 bis d.l. 159/07), dell’articolo 23, comma 1 bis, d.l. 207/08, dell’articolo 2, primo comma, lettera a), D.Lgs. 504/92 e degli articoli 2135 e 2697 cc in cui il giudice di merito sarebbe incorso omettendo di accertare la necessaria strumentalità del fabbricalo de quo all’attività agricola esercitata dalla contribuente.
Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 d.l. 557/93 e successive modificazioni (con particolare riguardo a quella introdotta dall’articolo 42 bis d.l. 159/07), degli articoli 1, comma 2, e 3, comma 1, L. 212/00 e dell’articolo 11 disp. prel. cc in cui il giudice di merito sarebbe incorso attribuendo efficacia retroattiva alla formulazione del comma 3 bis dell’articolo 9 d.l. 557/93 introdotta dall’articolo 42 bis d.l. 159/07.
Col quarto motivo si denuncia il vizio di omessa o insufficiente motivazione della sentenza gravata su fatti controversi e decisivi per il giudizio, indicati nella sussistenza, per l’annualità oggetto di contestazione, del requisito della qualità di imprenditore agricolo dalla contribuente, del requisito dell’adibizione in concreto del fabbricato ad un’attività strumentale all’attività agricola, del requisito della necessità di detto fabbricato per lo svolgimento dell’attività agricola.
La contribuente si è costituita con controricorso.
Con riferimento al primo motivo di ricorso si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito, con la sentenza 18565/09, che “In tema di ICI, l’immobile che sia stato iscritto nel catasto dei fabbricati come “rurale”, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’articolo 9 del d.l. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992, come interpretalo dall’art. 23, comma 1-bis del d.l. n. 207 del 2008, aggiunto dalla legge di conversione n. 14 del 2009. Qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI. Allo stesso modo, il Comune dovrà impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricalo all’imposta.”, Tale principio – con il quale la sentenza n. 24299/09, invocata dal contro ricorrente, si è posta in contrasto inconsapevole (l’arresto delle Sezioni Unite, ancorché già pubblicato al momento del deposito della sentenza n. 24299/09, non viene in quest’ultima nemmeno menzionato) – è stato successivamente riaffermato con la sentenza n. 20001/11, che, proprio con riferimento ad un immobile di una cooperativa agricola, ha ribadito che “In tema di ICI, per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è rilevante l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), per cui l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; ne consegue che qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, nella specie D/10, e onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi, altrimenti, quest’ultimo assoggettato; allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta. (Nell’applicare detto principio, la S.C. ha escluso che in fabbricati di pertinenza di cooperativa agricola siano automaticamente da ritenersi rurali, e dunque esclusi dal campo di applicazione dell’lCI). “
Alla stregua di tale consolidato orientamento giurisprudenziale (vedi anche, da ultimo, Cass. 19872/12), il primo motivo di ricorso si deve giudicare fondato ed assorbente degli altri motivi. Né tale conclusione potrebbe essere sovvertita dalla menzione, contenuta nel controricorso della contribuente, del fatto che quest’ultima avrebbe chiesto ed ottenuto il classamento dell’immobile de quo in categoria D/10 a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 70/2011, convertito nella legge 106/2011. Si tratta infatti di circostanza sopravvenuta dopo il deposito della sentenza gravata, che non può formare oggetto di accertamento in questa sede, non potendosi procedere ad accertamenti di fatto nell’ambito del giudizio di legittimità, e che potrà essere eventualmente dedotta nell’ambito del giudizio di rinvio (cfr. Cass. 5224/98: È necessario cassare con rinvio la decisione di appello se, per applicare lo “ius superveniens”. che si impone in ogni stato e grado del giudizio, occorre produrre documenti o effettuare accertamenti di fatto, non ottenibili o non indispensabili nella vigenza della precedente disciplina, ed invece rilevanti ed idonei per quella successiva alla sentenza impugnata “; conf. Cass. 5888/05).
In conclusione, si propone l’accoglimento del primo motivo di ricorso, la declaratoria di assorbimento degli altri motivi e la cassazione della sentenza gravata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale perché questa si attenga al principio di diritto sopra enunciato, salva l’applicazione dello jus superveniens, ove in concreto rilevante.»;
che la contribuente si è costituita con controricorso;
che entrambe le parti hanno depositato memorie difensive;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;
che il Collegio condivide gli argomenti esposti nella relazione;
che, per quanto in particolare riguarda l’assunto della contro ricorrente di avere chiesto ed ottenuto il classamento dell’immobile de quo in categoria D/10 a seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 70/2011, convertito nella legge 106/2011, il Collegio osserva che:
– dopo la pronuncia della sentenza gravata è stato emanato il decreto legge 13.5.11 n. 70 (convertito con la legge n. 106/11), il cui articolo 7, comma 2 bis, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, conferiva ai contribuenti la facoltà, esercitabile entro il 30.9.11, di presentare all’Agenzia del territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categorie A/6 o D/10 (a seconda della destinazione, abitativa o strumentale, dell’ immobile) sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità ex art. 9 d.l. 577/93 “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.
Il successivo decreto legge 6.12.11 n. 201 (convertito con la legge n. 214/11) ha poi previsto, all’articolo 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al suddetto decreto legge n. 70/11 producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobile ad uso abitativo”, se presentate, anche dopo la scadenza del termine originariamente previsto, entro la data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge n. 201/2011.
Infine il decreto legge 31.8.13 n. 102 (convertito con la legge n. 124/13) ha previsto, all’articolo 2, comma 5 ter, che il suddetto articolo 13, comma 14 bis, del decreto legge n. 201/11 debba intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2 bis, del decreto legge n. 70/11 e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità “a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.
Lo jus superveniens recato dal corpo di disposizioni sopra riportato assegna dunque valore retroattivo alla variazioni annotate negli atti catastali a seguito della domanda di cui all’articolo 7, comma 2 bis, d.l. n. 70/11, per il periodo fino al quinto anno antecedente la presentazione della domanda stessa. Considerato che la domanda ex articolo 7, comma 2 bis, d.l. n. 70/11 non può in nessun caso risalire ad un anno diverso dal 2011 (nel quale sono comprese tanto la data di entrata in vigore del decreto legge n. 70/11, quanto la data di entrata in vigore della legge n. 214/11, di conversione del decreto legge n. 201/11), il quinquennio coperto dall’efficacia retroattiva dell’annotazione negli atti catastali della variazione conseguente alla presentazione di detta domanda è costituito dagli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010.
Pertanto, per il principio che lo jus superveniens si impone in ogni stato e grado del giudizio, nel caso in cui la contribuente, dopo la pronuncia della sentenza gravata, abbia presentato domanda ex art. 7, comma 2 bis, d.l. n. 70/11, la conseguente variazione catastale potrebbe risultare rilevante ai fini della debenza dell’lCI per l’anno al quale si riferisce l’impugnato avviso di accertamento (2007). Gli accertamenti di fatto relativi alla presentazione di detta domanda, alla relativa data, all’accoglimento della stessa con l’annotazione della conseguente variazione catastale sono preclusi in questa sede di legittimità (nella quale, peraltro, la produzione documentale effettuata al riguardo dalla contro ricorrente va giudicata inammissibile ai sensi dell’articolo 372 cpc) e pertanto alla cassazione della sentenza gravata deve seguire, in conformità ai principi giurisprudenziali già richiamati nella relazione, il rinvio al giudice territoriale, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza gravata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
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